29-11-2010
ULTIMA ONDA
"Demo 2010"
(Autoproduzione)
Time: (18:29)
Rating : 8
Recensire la demo degli Ultima Onda è come tuffarsi nel passato, come vedere le cose da una prospettiva anni ottanta-novanta, come affondare nella malinconia dei tempi nei quali l'oggetto sonoro-musicale aveva ancora un che di misterioso, di puro, di inesplorato, valeva per quello che era e, se non c'erano molte informazioni riguardo ad esso, era tutto un vantaggio, un modo per acquisire punti anziché perderne. La demo in questione, con la sua copertina disegnata a mano e il nome del gruppo scritto con un pennarello indelebile sopra un dischetto vergine di una marca che si trova nei supermercati, ammetto, mi ha fatto sorridere e leggermente irritare, vista l'epoca in cui viviamo, dove è obbligatorio apparire e dimostrare una certa professionalità di facciata, anche solo per essere tenuti in considerazione. E probabilmente se si fosse trattato di un prodotto mediocre e scontato, lo avrei bocciato con convinzione ancora maggiore; il fatto è che siamo di fronte a un prodotto di altissimo livello, sia dal punto di vista compositivo che da quello emozionale, e di conseguenza la mancanza di informazioni sul terzetto di Padova (anche sul loro Myspace non c'è traccia di biografia) non fa altro che nutrire la mia curiosità nei loro confronti. Il concetto di 'bagism' di John Lennon, secondo il quale un artista andrebbe chiuso in un sacco ("bag") e giudicato per quello che fa e non per la sua immagine, è qui presente nel suo stato più puro. Se a questo aggiungiamo che la new wave degli Ultima Onda è nostalgica ma coraggiosa, ossessiva ma spumeggiante, il risultato è quello di avere la sensazione di possedere un cimelio inedito degli anni Ottanta da rispolverare e rinverdire. Chitarre 'flangerate' che seducenti si intrecciano in ghirigori ora in stile progressivo, ora in fumosi passaggi orientaleggianti. Basso che elude la pulsazione ritmica e si scinde dallo scandire metronomico della drum-machine, per rinforzare melodie allo stesso tempo eteree e claustrofobiche. Voce dissonante e atona, in bilico tra Siouxsie e la Antonella Ruggero degli esordi, che, grazie a una buona dose di effetti e a melodie ripetitive e opprimenti, dona al tutto un tocco di personalità e differenziazione non comuni di questi tempi. Si respira l'atmosfera scarna dei primi singoli autoprodotti dei Litfiba, il cupo e freddo incedere dei Cocteau Twins di "Garlands" e il confuso e avvolgente suono dei Vendemmian. "Mercurio" è sensuale e misteriosa, "Monomania" ti getta in un angolo della stanza e ti riempie la testa di fantasmi tra paranoiche reminiscenze e terrificanti visioni arcane. "Alleghe" si avvale di un refrain dolce e nostalgico che non può che colpire dritto al cuore; "La Roccia" non raggiunge il livello delle precedenti, ma non sfigurerebbe comunque in un qualsiasi altro contesto. Dopo questi quattro brani, non si può far altro che attendere il primo passo discografico ufficiale. I lati da migliorare, qualora ce ne fossero, potrebbero essere la ricerca di una più tipica forma-canzone che possa donare ogni tanto un attimo di respiro, che permetta di ritrovarsi con i piedi per terra dopo essere stati sballottati nel buio da forze a noi ignote, e la produzione un po' raffazzonata, ma che, come detto in precedenza, non fa altro che rinforzare la decisa immagine vintage del prodotto. Quindi aspettiamo con impazienza che qualche buona etichetta si prenda carico di questa band, che per ora tiene alto il nome della darkwave in Italia.
Silvio Oreste
http://www.myspace.com/ultimaonda