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Room 109

06-04-2010

JUDITH

"Judith"

Cover JUDITH

(Autoproduzione)

Time: (28:47)

Rating : 7

Talvolta è capitato che sulle pagine della nostra rivista web ci si sia occupati di band che non appartengono propriamente a quelli che sono i canoni della musica oscura che abitualmente intendiamo (anche se è necessario premettere che talvolta ci sono melodie o interi brani di artisti che per tradizione o convenzione non rientrerebbero in alcune delle nostre 'Room', ma non per questo non gli si può additare il fatto di essersi accostati a sonorità oscure di vario tipo). Il caso dei Judith, band di quattro elementi proveniente dalla provincia di Venezia, rispecchia in pieno questo concetto, dal momento che la loro può essere considerata una musica di difficile catalogazione e lontana dai soliti schemi (basti dire che non hanno un cantante e la loro line-up è formata da basso, batteria, tastiere e sax), a grandi linee molto più affine con il rock progressivo anni settanta e il post-rock psichedelico piuttosto che a sonorità propriamente dark in senso lato. In effetti i Judith stessi dicono di sviluppare i brani partendo dall'improvvisazione, da una completa libertà compositiva che si distanzia da qualsivoglia genere di riferimento, sfornando intrecci strumentali che prendono la forma di chiavi di lettura soggettive nelle quali ognuno può associarvi una personale emozione. Ciò nonostante i Nostri navigano in acque già esplorate da numerose band, soprattutto nei primi anni settanta, pagando un forte dazio alla vecchia scuola di Canterbury, preludio al vero e proprio boom del rock progressivo poi condotto al grande pubblico da gruppi storici quali King Crimson, Yes e Genesis. L'approccio dei Judith al free-jazz e alla psichedelia, che personalmente mi ricorda band come Third Ear Band e la parte meno cervellotica dei Gentle Giant, è lampante e cristallino e pone spontaneo l'eterno quesito se è nato prima l'uovo o la gallina, mettendo quindi in discussione tutto il precedente discorso sulla libertà compositiva che sfocia in un genere ibrido, quando magari proprio il genere può essere esso stesso la fonte di ispirazione. Detto questo, il notturno ipnotico che i Nostri ci propinano (come recita l'incipit del loro myspace) è un viaggio affascinante e caleidoscopico, un intreccio disarmante di trame malinconiche e suggestioni emotivamente forti, saggiamente prese per mano dal sax di Daniele e dal pianoforte di Luca, che si spartiscono le melodie prevalenti senza mai andare a cozzare in quello che è il rischio principale di un genere come questo, ossia l'autocompiacimento. Difficile parlare delle singole tracce, poiché il dischetto, abbandonato ogni pregiudizio, va gustato nella sua totalità. Si possono solo descrivere le sensazioni e i possibili accostamenti, e così se "Spectre" e "Mare Di Marmora" si rifanno a una sorta di jazz che passa da Paolo Conte con l'uso dei tasti bianchi e neri sullo stile di Goblin e Devil Doll, durante "Il Mago" sembra di assistere a tipici inseguimenti polizieschi di film anni settanta grazie a frenetiche cavalcate di batteria accompagnate dall'organo; l'incedere ipnotico di "Sadi Carnot", infine, è invece accostabile al post-rock più moderno. Il tutto è suonato in modo ineccepibile, preciso nei crescendo e nelle parti più intimistiche, nonché ben registrato e azzeccato nella lunghezza totale (forse qualcosa in più dei ventinove minuti sarebbe stato eccessivo e dispersivo). In conclusione il demo d'esordio dei Judith, trattandosi di un genere tutt'altro che pop, risulta un lavoro che necessita di diversi ascolti prima di essere assimilato in ogni sua sfumatura, anche se va detto che le melodie portanti sono sostanzialmente orecchiabili: adatto quindi sia come semplice sottofondo che per un ascolto più 'dotto'. L'importante è, come detto in precedenza, accostarvisi senza pregiudizi, dato che il lavoro in questione non ha praticamente nulla a che fare con le sonorità da noi usualmente recensite. Il difetto, se bisogna trovarne uno, può essere l'assenza di una forma-canzone dovuta alla mancanza di parti cantate, e quindi la conseguente difficoltà ad inserirsi in un ben preciso settore, ma penso che questa sia una scelta voluta e ben ponderata da parte di questi quattro ragazzi, da cui attendiamo buone notizie in un prossimo futuro.

Silvio Oreste

 

http://www.myspace.com/judith999