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23-06-2008
ROMINA DANIELE
La voce della (propria) coscienza
di Roberto Alessandro Filippozzi (foto: Matteo Nieddu)
L'approccio al lavoro artistico di un personaggio come Romina Daniele, per forza di cose, non può essere quello che solitamente spesso si finisce per utilizzare nel rapportarsi a buona parte della musica contemporanea che ci giunge nuova, spesso atta a reggere una stagione o poco più. A noi che seguiamo tutto quello che fa 'musica oscura' piace pensare di essere al di sopra dell'acquirente medio dell'ultima 'perla' di Madonna, quello che - per intenderci - ha comprato tale disco perché soggiogato dai ripetuti passaggi radiofonici di singoli oggettivamente orribili o perché "Madonna è un mito, lo dice anche la TV!", e se ciò in larga parte corrisponde al vero (perché in questa scena di spunti di riflessione colta ce ne sono a tonnellate, altro che '4 minuti'...), è altresì vero che il nostro contesto non esula da 'analisi' così superficiali da spingere certa gente a pensare che il top della musica dark/gothic siano le canzonette di BlutEngel o Marylin Manson... E allora capiamo subito come un lavoro quale quello della cantante partenopea, pur rimanendo aperto all'apprezzamento di varie frange differenti di ascoltatori, susciterà interesse anzitutto nelle 'nicchie', ossia in coloro i quali scelgono di analizzare quanto acquistato, e non comprano un disco solo per poter ascoltare fino alla nausea quei due singoletti 'subiti' in radio. Quello della Daniele è un lavoro che pone le sue fondamenta sulla ricerca, e che quindi esula dal concetto di semplice intrattenimento che è proprio di quell'arte usa-e-getta tanto in voga nei nostri tempi. Il lavoro di Romina, sin qui composto di due dischi, sebbene per alcuni versi accostabile a quanto fatto dalla Diva per eccellenza Diamanda Galás, spicca nel panorama delle autoproduzioni (scelta voluta, come vedremo più avanti) e della musica italiana in generale proprio per la sua volontà e capacità di ricerca, valori di certo non così comuni nel Paese di Max Pezzali e di Vasco, ma comunque presenti a più riprese nella storia della nostra nazione per opera di artisti mai dimenticati, a partire da quel Demetrio Stratos al quale la Daniele è molto legata. Nel tentativo di comprendere meglio gli obiettivi di un percorso tanto ambizioso quanto assolutamente interessante, ci siamo messi sulle tracce di un'artista che soppesa con enorme attenzione ogni parola, al fine di far giungere il messaggio nella sua forma più confacente: ecco cosa ci ha raccontato la loquace e gentile Romina in questa lunga e piacevole chiacchierata...
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Nasci a Napoli nel 1980, e là cresci fino al 2005, presumibilmente muovendo in quel lasso di tempi i tuoi primi passi nel mondo della musica: come è iniziato il tuo lavoro di artista e come hai scoperto le tue potenzialità vocali?
"Nel corso del tempo in un percorso diramato ho gradatamente approfondito la "voce-corpo", "il corpo che si dà voce", la "voce-azione", per essere e dire di essere. Dai 7 ai 14 anni studio danza classica e chitarra classica. Dopo qualche anno, con il diploma di solfeggio e teoria della musica, lascio gli studi di chitarra per quelli sulla voce. Inizio il periodo universitario e alcune riflessioni importanti. Il mio rapporto con la musica è molto poetico, e lirico, nel senso etimologico: quando inizio a vocalizzare, l'idea che mi muove è l'espressione, la messa in forma dei miei scritti e delle mie poesie. Dopo qualche esperienza collaborativa, maturo una poetica di conoscenza vocale che nel suo corso si sposta dall'interpretazione di miei testi - poesie alla cui stesura mi dedico dai 15 anni circa - alla voce in sé, che innalzo a metafora totale dell'esserci e del "dire": saper dire, essere capaci a dire, avere la forza di esprimersi vocalmente, e per paradosso anche senza lo strumento comunicativo per eccellenza: la parola. I lavori di Demetrio Stratos sono i più alti in assoluto con i quali mi confronto lungo il mio percorso. Mi si apre una porta, oltre la quale vedo uno spazio immenso, simbolo della mia esperienza a venire."
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Nel 2005 avviene una svolta senza dubbio importante per te: ti sposti in quel di Milano, per viverci. Esiste qualche motivazione squisitamente artistica dietro al tuo trasloco?
"La motivazione artistica è il Premio Stratos, e il fatto che fosse istituito a Milano, città in cui lo stesso Stratos ha vissuto. Mi trasferisco a Milano e mi precede il lavoro 'Diffrazioni Sonore', inviato alla Giuria del Premio. Ho a che fare con band locali (principalmente nella proposizione di repertori blues), poi resto in viva attesa dell'esito del Premio, in cui confido per una forma di attuazione dei miei obiettivi musicali "difuoristi" (ovvero non accessibili alla fruizione occasionale)."
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Il 2005 è senza dubbio l'anno della svolta per te: non solo pubblichi il tuo primo lavoro "Diffrazioni Sonore", ma vinci addirittura il famoso Premio Demetrio Stratos. Ci vuoi raccontare come hai vissuto questo anno speciale a livello umano ed artistico?
"Il CD 'Diffrazioni Sonore' viene prodotto da me in vista del Premio Stratos. Rappresenta il mio lavoro inviato alla giuria, e quello per il quale sono stata premiata. Per questo, decido poi di distribuirlo. Il Premio Stratos in sé rappresenta il primo grado di "presa di coscienza" sulle possibilità e gli sviluppi del mio lavoro. Rappresenta questo riconoscimento: quello di "essere nella ricerca". «La ricerca nel suo significato modale - un "fare" che sia un "far sorgere". Fare un'azione: agire, nel senso di "porre in essere", l'operare: l'essere e il creare, l'essere nella ricerca. - (..) La ricerca vocale non ha carattere divulgativo ed è allo scopo di apportare oggettivamente - a seguito di osservazione e comprovazione altrui - e soggettivamente - in riferimento all'autore che opera - dei contributi originali al progresso del sapere vocale, ovvero di procedere nella produzione di fenomeni vocali all'interno dell'esperienza esterna (empirica del vocalizzare) ed interna (della coscienza) di chi opera e fruisce, con caratteri specifici e individuabili.» [R. Daniele, I. Della voce per dire e IV. L'Io nella ricerca (la vocalità), in: Voce Sola (raccolta di saggi brevi sul discorso vocale), attualmente online www.rominadaniele.com/pagine/testi.htm ]"
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Ritorniamo per un attimo a "Diffrazioni Sonore": cosa ha rappresentato per te questo primo passo nel mercato discografico e quanto ne sei soddisfatta?
"'Diffrazioni Sonore' è attualmente distribuito come omaggio, non rappresenta tecnicamente il primo passo nel mercato, ma la prima forma che ha assunto il mio lavoro "nella ricerca", in quanto destinato alla fruizione altrui. Il mio lavoro era allora costituito da circa tre anni di vocalizzi. 'Diffrazioni Sonore' è invece un disco di 34 minuti; dunque la cosa più importante in quest'orbita di discorso è il passaggio dal lavoro stesso alla sua rappresentazione. «In principio, non avrei potuto immaginare la tracklist, i titoli, la durata delle tracce, la loro "struttura"; avevo però due abbozzi, il pensiero-concetto della "diffrazione" e una certezza: in studio avrei vocalizzato come ero solita fare ogni giorno da qualche anno: la registrazione avrebbe rappresentato anzitutto un saggio di tutto il vocalizzare degli anni 2002-2005, del lavoro di presa di coscienza e del modo in cui questo lavoro, in termini di pura vocalità, si è svolto.» [R. Daniele, II. L'Io nella ricerca (la progettualità) , in: Voce Sola (raccolta di saggi brevi sul discorso vocale), attualmente online www.rominadaniele.com/pagine/testi.htm ] Il disco rappresenta inoltre un saggio anche per quanto riguarda la metodologia di composizione: «Il montaggio è la composizione stessa delle tracce, non semplice editing finale, equalizzazione e missaggio, lavoro strettamente tecnico da fonico: piuttosto utilizzo questi strumenti all'interno di una concezione compositiva multimediale, digitale. "Composizione" è dunque da intendere in senso etimologico.»
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Nel periodo intercorso tra il tuo primo lavoro ed "Aisthànomai", come è cambiato il tuo approccio alla creazione artistica e perché?
"'Diffrazioni Sonore', ti dicevo, non è solo una session di registrazione, ma un saggio «del mio lavoro di creazione e di elaborazione (post-produzione), del modo in cui lavoro, dei significati che assumono per me la teoria e la pratica su concetti quali "sistema", "struttura", "composizione", "arte". È chiaro che assunti così pregnanti di senso non valgono un solo progetto, una sola sessione di registrazione, una sola seduta di elaborazione digitale o una settimana di sedute. Si tratta bensì di postulati che si pongono a fondamento di una vita e di un'opera, in rapporto ai quali, quelli di molti illustri uomini nella storia si pongono come contributi, e per il cui approfondimento non basterebbero dieci vite, in questo mondo.» In tal senso in 'Diffrazioni Sonore' c'è la voce e il montaggio: niente musica, niente parole; ma un vivo interesse ai fenomeni della percezione. In 'Aisthànomai, Il Dramma Della Coscienza', «le cose che risaltano all'orecchio, alla sensibilità e alla percezione tutta, sono due: l'elettronica e il testo. Elementi "altri"» che ho utilizzato in quanto strumenti di creazione e mezzi, e che in tal senso ho rapportato al puro vocalizzare (il vocalizzare per suoni, senza parole), interessata alle relazioni stesse e agli "interstizi" che i diversi livelli (suoni elettronici, testi poetici emblematici, puro vocalizzare) avrebbero generato, a livello percettivo."
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Veniamo ora proprio ad "Aisthànomai", album per sola voce ed elettronica: come nasce la tua volontà di esprimerti in solitaria in questa particolare forma?
"Il termine "elettronica", nell'orbita del mio fare, è un'espressione da intendere nel suo senso più puro: di (suono) "prodotto elettronicamente". Sono interessata alla multimedialità, come utilizzazione in simultanea di più mezzi, strumenti, linguaggi: diversi livelli, appunto. Internamente ai suoni ci sono poi ancora livelli, rappresentati dalle variazioni che sussistono sotto ogni aspetto acustico: altezza, dinamica, ritmo, intensità, movimento. Tecnicamente, il montaggio digitale è la chiave di questo tipo di creazione, e qui risiede la mia concezione compositiva multimediale, digitale. "Voce ed elettronica", dunque: non si tratta di una forma scelta, ma del mio precipuo interesse in seno alla metodologia di creazione e composizione. Quanto al "solitaria", dico che: l'isolare l'io profondo, l'io di crea, è condizione indispensabile della ricerca."
"In termini di lavoro e dedizione, la ricerca coincide con le mie esigenze: studio la voce per essere cosciente dei fenomeni psicofisici che mi riguardano, in quanto precipui della condizione umana. Ritengo che senza interrogazione, e ricerca, esistere sia superfluo."
(Romina Daniele)
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La tua visione dell'elettronica appare impalpabile e plumbea: era effettivamente il tipo di scenario che desideravi dipingere con le macchine impiegate?
"La mia visione dell'elettronica è, come dicevo, una concezione compositiva, articolazione dello spazio sonoro. Il movimento e l'attività di ogni singolo suono ha una importanza sua propria: in termini di dinamica, frequenza, musicalità; e un'altra che deriva dalla relazione con gli altri suoni. Ogni suono è creato elettronicamente, ovvero nel momento stesso in cui lo creo con le caratteristiche proprie suddette, esso è pronto per costituire un tassello di composizione, un rapporto. Questo non è possibile se si registra uno strumento tradizionale. Questa è precisamente elettronica. Io sono interessata ai modi della produzione del senso, ai processi di creazione, ai rapporti tra i suoni e alle relazioni che questi instaurano (in quanto costitutivi di linguaggi) con gli altri livelli/linguaggi (testi e musicalità, quest'ultima da intendere come "tensione dei suoni" verso la musica intesa comunemente). Nelle mie intenzioni iniziali, non c'è la dipintura di uno scenario, ma l'interazione tra i linguaggi: tutti quelli di cui mi servo, dalla poesia alla rappresentazione scenica stessa. Dunque, l'elettronica assume il suo senso all'interno dell'opera. Le definizioni possibili del risultato finale, a livello di pura musicalità, sono tante; dipendono dal gusto di chi ascolta. Così è nel caso della tua lettura, e dell'uso degli aggettivi "impalpabile" e "pumbleo". Se mi chiedi cosa cerco io, però, non ti parlo di aggettivi, ma di metodologia, montaggio, processi creativi in atto."
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Trovi che sia corretto inserire il tuo lavoro in un settore dai confini indefiniti come l'avanguardismo? Giudichi avanguardista quello che fai in senso artistico?
"L'avanguardia in quanto tale non indica un settore o un genere, è per definizione un a-settore, indica precisamente un movimento (azione culturale, umana, artistica) che mira "programmaticamente" alla ricerca e alla sperimentazione di nuove forme espressive, in polemica con quelle tradizionali (quali la categorizzazione stessa e la concezione del pensiero umano per settori): il programma consiste nel non avere programma, assimilabile a codici e tecniche noti, ovvero in un'indifferenziazione dei programmi e dei codici, in una reticolarità culturale da cui emerge l'assolutamente nuovo. A questo riguardo, io asserisco: «Il mio "io nella ricerca" si muove a partire dalla messa in discussione di ogni certezza in seno ai metodi e alle tecniche, in seno alle impostazioni (...) Se siamo coinvolti nella sperimentazione, va da sé che abbiamo per le categorie, gli indici, i nomi e le definizioni un puro interesse didascalico, del tutto accessorio. Tempo addietro abbiamo operato una battuta d'arresto, un'azione inibitoria, riconoscendoli come meccanismi - abituali - dello status quo culturale. Parliamo dei metodi originariamente propinatoci. Metodi e tecniche note e già date che ci siamo rifiutati di apprendere, poiché dell'imitazione e della falsa percezione.» [R. Daniele, IV. L'io nella ricerca (la vocalità) in: Voce Sola (raccolta di saggi brevi sul discorso vocale), attualmente online www.rominadaniele.com/pagine/testi.htm ] Quanto ai giudizi, essi non mi interessano."
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Musiche e testi, salvo ovviamente la cover di Miles Davis, sono esclusivamente opera tua: hai deliberatamente mantenuto il pieno controllo sulla tua arte, preferendo avvalerti di altro personale solamente per quanto concerne l'aspetto puramente tecnico della produzione? Pensi mai di coinvolgere altri artisti coi lavori futuri, oppure manterrai questo assetto?
"Due tecnici di registrazione, due traduttori e un fotografo costituiscono l'altro personale. Sono molto legata agli aspetti della produzione: in particolare, il lavoro dei tecnici audio ha riguardato esclusivamente la fase di ripresa, la registrazione: editing e mastering sono invece fasi importanti della creazione, perché parliamo di elettronica; sono cose che riguardano direttamente me e la mia opera: lo spazio sonoro, i suoni e i rapporti tra i suoni, in elettronica, sono la composizione stessa, ciò che io chiamo montaggio. Come ti dicevo, il montaggio è la composizione stessa delle tracce, e la concezione multimediale è la chiave della mia ricerca in senso compositivo. Il rapporto con altri artisti lo prevedo invece per future rappresentazioni dal vivo."
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La prima cosa che emerge dalle tue nuove canzoni è la forte personalità che ti caratterizza nel tuo osare oltre i confini dei generi prestabiliti, e personalmente ritengo che sia questa l'arma in più a tua disposizione in un panorama attento quasi esclusivamente a spremere il trend del momento come un limone: quanto ti è costato, in termini di lavoro e dedizione, giungere a questo risultato, e quale importanza ha per te aver conseguito questo traguardo?
"La mia ricerca è puramente filosofica: l'arte ne è l'espressione. Questo pensiero è alla base della mia azione, delle forme che assume e che sono pertanto osservabili. In "termini di lavoro e dedizione", la ricerca coincide con le mie esigenze: studio la voce per essere cosciente dei fenomeni psicofisici che mi riguardano, in quanto precipui della condizione umana. Ritengo che senza interrogazione, e ricerca, esistere sia superfluo."
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Nonostante la forte personalità di cui sopra, risulta inevitabile il paragone tra te e la Galás, sia per quanto concerne le elucubrazioni sonore che soprattutto per quanto attiene alla grande ricerca vocale spinta oltre i limiti: come vivi un paragone tanto ingombrante quanto probabilmente gradito, essendo Diamanda una delle artiste alle quali sicuramente fai riferimento?
"La lettura della mia opera rappresenta un altro discorso rispetto alla mia opera stessa come espressione dei miei modi di creazione e degli sviluppi del mio pensiero, della mia azione. Nella lettura di ogni opera questa espressione (la mia opera come mia creazione e pensiero) diventa presunta, dipendendo principalmente dal background di chi legge. Il paragone di cui dici, come molti non hanno mancato di rilevare fino ad oggi, non è una chiave di lettura del mio lavoro, ma un aspetto alla sua base, da considerare come introduzione allo sviluppo della mia ricerca e del mio pensiero, in un'ottica delle analisi delle ascendenze. Il mio rapporto con Diamanda rimanda ai miei studi, ovvero alla propedeutica del mio lavoro. Come dissi in occasione del Premio Stratos, con lei al mio fianco, e poi ribadito più volte, l'insegnamento (virtuale) della stessa Diamanda, e di Stratos, è stato di fondamentale importanza. Grazie alla loro opera e al loro insegnamento, il mio lavoro oggi sussiste come cosa altra, con le sue ascendenze e le sue stratificazioni culturali; lo stesso Premio Stratos ne costituisce il riconoscimento."
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In comune con Diamanda hai di certo la volontà di esplorare le tue potenzialità vocali: come hai operato in tal senso sin qui?
"Il territorio in comune è quello della "ricerca vocale", per la quale fu istituito il Premio Stratos Diamanda Galás ha vinto il Premio alla carriera, io quello delle giovani proposte. Un premio intitolato a Demetrio Stratos, emblema totale del senso della ricerca in campo vocale. Stratos, nella mia visione, rappresenta tutt'oggi l'estremità oltre la quale nessuno si è esposto. Io studiavo Stratos già da due anni, quando un amico musicista mi ha fatto notare, un giorno in sala prove, che avevo una consonanza con Diamanda Galás, che non avevo però mai ascoltato. Ascoltandola, ho riconosciuto la consonanza e l'ho ricondotta ad un'idea della "forza vocale" esasperata in termini di tragicità, a partire dalle scoperte stratosiane. Ciò che intendo si chiarisce oltremodo se andiamo a (ri)ascaltore la produzione stratosiana da solista, dal '76 al '79, in cui: la voce riconquista istinto e rumore «in grado di operare trasformazioni nell'intimo degli esseri umani (...) di non farsi dominare da meccanismi culturali di controllo e dagli imperativi di una società di mercato (...) in grado di gridare, gemere e "cantarsi"». Con questo cito anche un ottimo libro: J. El Haouli, Demetrio Stratos, alla ricerca della voce-musica, Milano, Auditorium, 1999."
"Studiavo Stratos già da due anni, quando un amico musicista mi ha fatto notare che avevo una consonanza con Diamanda Galás, che non avevo però mai ascoltato. Ascoltandola, ho riconosciuto la consonanza e l'ho ricondotta ad un'idea della 'forza vocale' esasperata in termini di tragicità, a partire dalle scoperte stratosiane."
(Romina Daniele)
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Quali aspetti ami maggiormente dell'arte della Galás, dove ravvisi le maggiori similitudini tra il suo stile ed il tuo e quanto potrà pesarti l'etichetta di 'Diamanda Galás italiana' che sicuramente qualcuno ti affibbierà forse con troppa leggerezza?
"Della Galás amo il "lirismo", termine con cui non intendo la "tecnica lirica" (territorio che affronto all'interno di un sistema fitto di contaminazioni) ma, come ho detto anche in altre occasioni, una condizione di "singolare soggettivismo" da cui si diramano una serie di caratteristiche che possono poi essere più o meno individuate (a seconda della sensibilità del fruitore): dal dramma al cinismo; e che trova la sua dimensione ideale nella pratica performativa e interpretativa, nel rapporto con gli ascoltatori in quanto individui, coscienze singole, come soggetto indagante e perlustrante. Per il resto a cui ti riferisci, credo di aver risposto con le due domande precedenti."
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Quali altri gruppi e/o artisti sono stati effettivamente importanti per la tua crescita come artista?
"Janis Joplin e Miles Davis, Fëdor Dostoevskij e Marcel Proust, Friedrich Nietzsche e Gilles Deleuze, Jusepe De Ribera e Francis Bacon, David Lynch e Michelangelo Antonioni."
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Nel tuo nuovo lavoro hai incluso una cover di Miles Davis: perché proprio lui, e perché proprio questo pezzo? Sono altresì curioso di capire come si integra tale cover al resto del lavoro, visto che sicuramente la sua scelta non è stata casuale...
"I miei studi di storia e critica dell'arte, all'università, sono sfociati, negli ultimi anni, nella multimedialità e nel cinema, dal punto di vista teorico, estetico e linguistico. A monte di questo orientamento c'è l'idea della multimedialità come coronamento di tutte le arti. Il montaggio cinematografico, e dunque il cinema stesso, comprende: tutti i linguaggi artistici in rapporto con la tecnologia e inoltre la realtà diretta; i rapporti tra i linguaggi, quindi l'ordine tecnico, oltre l'estetico; i rapporti di questi linguaggi con la realtà, dunque le riflessioni delle discipline umanistiche convergono nel cinema; la realtà come presentazione e riproduzione; la ricerca conoscitiva. La mia tesi di laurea ha il titolo: "Ascenseur pour l'échafaud, il luogo della musica nell'audiovisione". Il primo rapporto di mio interesse nella multimedialità è quello tra musica e immagine. Ascenseur pour l'échafaud è il primo film di Louis Malle, cineasta francese tra i promotori di una rivoluzione del cinema che si chiama Nouvelle Vague, e per cui il cinema si dice moderno. La colonna sonora è di Miles Davis. Io ho visto in questo rapporto uno spaccato fondamentale su cui ho scritto molto, e di cui vi riporto il passo conclusivo, che spiega anche in tutto il perché ho omaggiato alcuni frammenti di questa colonna sonora: «L'operazione di Louis Malle si svolge dunque su almeno due livelli. Da un lato il movimento "perduto o impedito" indica la "perdita di coscienza" che è propria dell'individuo della società moderna, e su cui l'autore basa la sua poetica (la "mondanizzazione" corrispondente all'oggetto metafilmico, del "film che avrebbe voluto girare" [P. P. Pasolini, Il "cinema di poesia", in Empirismo eretico Milano, Garzanti, 1972, p. 187.]); dall'altro, il montaggio svela il meccanismo della finzione che presiede al racconto, e allo stesso reticolo audiovisivo, nella combinazione di elementi (sonori e visivi) di per sé dispari, eppure "non opposti, anzi conciliabili e armonizzabili" [cfr. G. Deleuze, Différence et répétition, Paris, Presses Universitaires de France, 1968 [tr. it. Differenza e ripetizione, Milano, Raffaello Cortina, 1997]. (...) Lo statuto "ottico e sonoro" che mette in scena il "tempo in divenire", "scolpendo il tempo" [M. Chion, L'audiovisione, suono e immagine nel cinema, cit., p. 22], corrisponde di fatto ad un livello della percezione spettatoriale fondato sul contrasto tra elementi di diversa natura e agenti in simultaneità, ciascuno con la propria identità, dalla propria parte, "differenti ma non opposti". Questo stato della percezione è il fondamento della concezione reticolare e non gerarchica o settoriale della conoscenza tanto professata dalla filosofia di Deleuze, quanto rappresentata da autori che hanno rovesciato codici e stilemi di categoria facendo coincidere l'opera con la ricerca sul mezzo, e sulle condizioni della conoscenza. Concludiamo dunque con una riflessione attuale sul problema dei rapporti tra sonoro e visivo, con le parole di Chion. Esso va da collocarsi "a livello di mentalità. Far uscire la riflessione del suono - e la sua applicazione, tanto tecnica quanto scientifica - dal solco naturalistico" [Ivi, Verso un cinema sensoriale. 4.1. Una crisi?, pp. 129-132.], significa far emergere una forma di ricerca e di preoccupazione più incisiva del semplice "sfruttamento" del suono multipista, nel mondo contemporaneo; e utilizzare la tecnologia come apprensione sensoriale e materiale, e necessità di ricerca tecnica.»
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Addentrandoci nei contenuti del disco, vorremmo partire dal titolo scelto per esso, "Aisthànomai, Il Dramma Della Coscienza", dove la parola 'Aisthànomai' sta per comprendere, percepire: quale concetto di sintesi riassume al meglio il significato da attribuire a tale titolo?
"La parola 'Aisthànomai' sta per comprendere, percepire. Il "dramma della Coscienza" deriva dalla concezione che si ha oggi, anche a livello delle scienze umane, dei fenomeni della percezione e della comprensione. Tale concezione è fallace, ecco il dramma (della Coscienza, che si rivela essere: assenza di Coscienza). I fenomeni della percezione e comprensione non sono da ricondurre alla psicologia ma alla filosofia, non al raziocinio ma all'intuizione. La parola 'Aisthànomai' è anche l'etimologia dell'estetica filosofica. «L'estetica filosofica o critica d'arte è la scienza che si occupa di scrivere di arte e sull'arte. I modi di questa scrittura indicano al massimo grado la coscienza umana sui suoi stessi processi di creazione ed enunciazione (artistica) e - considerando lo stato attuale della cultura e delle sue "discipline specifiche" sia artistiche che scientifiche, i suoi diretti riscontri sull'individuo e la sua coscienza umana - la condizione denotata ha gli attributi di un "dramma", con le implicazioni sociali che il termine comporta.» [R. Daniele, II. L'Io nella ricerca (la progettualità), in: Voce Sola (raccolta di saggi brevi sul discorso vocale), attualmente online www.rominadaniele.com/pagine/testi.htm ]"
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Quanto c'è di personale, o di analisi interiore, in questo 'dramma della coscienza' ed a cosa punta la ricerca testuale del tuo nuovo lavoro?
"In relazione a quanto appena detto, e come ho scritto altrove, il "dramma della Coscienza è il teatro delle vicende umane", deriva dall'assenza di Coscienza. «Coscienza: dal latino, "essere consapevole", nel senso di consapevolezza di sé e del mondo esterno, in quanto funzione psichica in cui si riassume ogni esperienza conoscitiva del soggetto. Quindi: essere consapevoli ovvero agire e conoscere nei confronti di sé e del mondo.» [R. Daniele, il dramma della Coscienza, saggio, booklet del CD 'Aisthànomai, Il Dramma Della Coscienza' (Milano, Romina Daniele, 2007)]. Cosa c'è di personale in questo, o di analisi interiore? In risposta ti trascrivo il testo di 'Vero (remake) I', traccia 16 del disco: «Che cosa ha amputato dell'esorcismo musicale la natura? E di tutti i simbolismi di evocazione e di deflusso, chi? / Spogliata di ogni dignità culturale, / di ogni efficacia percepibile. / Che cosa rende l'uomo a singoli episodi morbosi? / Sui quali chiamati a giudicare sono / Lo storico delle religioni e lo psichiatra, chi? (...) / Incondizionata. Sprigionatosi il mio pensiero / All'infuori del mio corpo.. / È l'assenza in tutta la sua stravaganza. / Io non vedo altro che Assenza. / - Non c'è niente qui fuori che sia più bello da vedere? / - Non c'è niente che sia più bello da vedere e da ammirare? / Non c'è altro che Assenza: chiave del mio dolore: / io non faccio altro che strapparmi dal / mio cuore io non faccio altro / che strapparmi dal mio cuore, / non faccio altro.» L'assenza è ovviamente assenza di Coscienza. Per me la "ricerca testuale" non è però soltanto il testo in sé, componimento in parole come questo di sopra. La "sintesi espositiva di un pensiero" può avvenire con diversi linguaggi, il rapporto (interazione e coestensione) tra questi dà luogo alla testualità: il livello del discorso, il discorso nel suo svolgersi. L'articolazione dell'opera, il modo o i modi con cui l'ho fatta sorgere. I modi, come i linguaggi, sono diversi: quelli della musica, della poesia, della scrittura, in un contesto (a-contesto) di "indifferenziazione". Tutti strumenti del mio pensiero. Anche il saggio, la scrittura, è per me uno strumento, uno strumento del mio "fare" e del mio "dire"."
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Nel ricchissimo booklet sia i testi quanto la tua analisi dell'opera sono riportati sia in italiano che in inglese, segno di come per te sia importante che l'ascoltatore possa comprendere al meglio l'album: cosa senti effettivamente il bisogno di comunicare a chi ti ascolta, e perché hai scelto proprio la musica per esprimere concetti così profondi ed elaborati in un periodo in cui la gente sembra non saper più né cercare né ascoltare?
"La scelta è innata, e si riconduce ai passaggi con cui sono giunta dalla danza alla poesia e alla musica ovvero alla voce, come emblema dell'esserci e dell'agire. Come mi sono provata di spiegare di recente: «La "voce" è uguale a "essere/creare", io dico: la voce è uguale al rapporto tra essere e creare. Rapporto: confronto, risultato della divisione, eccessi di senso e scarti tra connotati e aspetti dell'"essere" e del "creare". In quanto ciò, io dico, essa presiede ogni lavorazione, e diversi tipi di progettualità. » [R. Daniele, I. Della voce per dire in: Voce Sola (raccolta di saggi brevi sul discorso vocale), attualmente online www.rominadaniele.com/pagine/testi.htm ]"
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Hai mai preso in considerazione l'idea di comporre una colonna sonora, oppure di associare la tua musica a delle immagini che possano risultare un degno complemento a suoni e voce?
"È un'idea che mi piace. Non parlerei mai però di complemento in relazione a "suono/immagine". Ho scritto la mia tesi di laurea asserendo con forza l'idea del rapporto dialettico e coestensivo tra musica e immagine a partire dalla differenza dei due linguaggi. «Come un contratto, la dialettica audiovisiva non comporta una fusione totale, ma presuppone la disparità dei suoi termini, i quali sussistono "separatamente nello stesso tempo, ciascuno dalla sua parte" [M. Chion, L'audio-vision. Son et image au cinéma, Paris, Editions Nathan, 1990 [tr. it. L'audiovisione, suono e immagine nel cinema, Torino, Lindau, 2001, p. 159.].» Lavorerei quindi nell'ambito di un «"doppio flusso", flusso visivo delle immagini proiettate e flusso sonoro della musica che si svolge mettendo "in scena quindi un secondo grado permanente" [C. Metz, L'énonciation impersonnelle, ou le site du film, Paris, Méridiens Klincksieck, 1991 [tr. it. L'enunciazione impersonale, o il luogo del film (a cura di A. Sainati), Napoli, Edizioni scientifiche, 1995, p. 171.] » [I passi sono tratti dalla mia tesi: "Ascenseur pour l'échafaud, il luogo della musica nell'audiovisione", pp. 160-161]"
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Sembra esserci interesse da parte degli addetti ai lavori di svariati settori qui in Italia nei confronti del tuo progetto artistico, al punto che di detrattori non se ne vedono, mentre le ottime recensioni non mancano: com'è il feedback generale ed il tuo umore al riguardo, e quale settore della musica è sinora stato più ricettivo verso la tua proposta?
"Io non parlerei di settori più o meno ricettivi, ma direi che gli ambiti interessati sono diversi nella misura in cui si trovano poi concordi nel riconoscere al mio lavoro "apertura stilistica", e questo significa che ognuno può far risaltare del disco ciò che più gli è vicino. A partire da questo dato, i feedback propriamente detti sono tutt'ora in corso, ma abbiamo senz'altro rilevato, come dici anche tu, un'onda generalmente positiva."
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Pensi che una proposta come la tua, vista la scelta di usare prevalentemente la lingua italiana, possa fare breccia anche all'estero? Ci sono responsi da altri Paesi ad oggi?
"Alla base della scelta della lingua, in quanto codice linguistico, c'è questo dato di fatto: laddove usata, la lingua si aggiunge al puro vocalizzare, ovvero aggiunge al "senso" del suono un "senso secondo" o "doppio", altro livello discorsivo e significante. Pertanto, non lo userei se non attribuissi ad esso tale ragion d'essere: è fondamentale allora che la parola, laddove presente, sia percepita con chiarezza, di modo che il fruitore possa "interagire" con questo livello del testo (e intendo per "testo" la composizione nel rapporto di tutti i suoi livelli, poetico, musicale, ecc.). Anche per gli show in Italia, è un mio pensiero recente e di prossima attuazione quello di proiettare i diversi testi che utilizzo. Dunque, se sono all'estero, performo in inglese poesie e improvvisazioni testuali; non si tratta però di secca traduzione, ma di altro tipo di esperienza performativa nell'orbita dell'indifferenziazione di stili, tecniche e lingue. La recente esperienza in Slovacchia testimonia in tal senso. D'altra parte, è certamente vero che, nel caso delle composizioni (non improvvisazioni dal vivo, ma esecuzioni dal vivo di parti del disco), non sono pensabili "versioni" diverse dall'italiano poiché assumerebbero, contrariamente alla mia intenzione iniziale, un altro senso rispetto le composizioni stesse. È indubbio poi che ad un certo tipo di esperienza l'Italia non sia abituata, il mio lavoro ha per sua natura una destinazione allargata. I feedback sul disco sono a tutt'oggi in corso, e in relazione ai riscontri più significativi su future iniziative estere ufficializzeremo in seguito."
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Qual è, invece, il tuo rapporto con la scena italiana prettamente 'dark', quella che si ciba della cosiddetta 'musica oscura' della quale il tuo disco può a peno titolo far parte?
"Io ho rapporti con tutte le scene o con nessuna. La mia "oscurità" non è propriamente l'adesione ad un movimento: la "scena dark". Questa definizione si riferisce ad un momento della musica con riferimento preciso all'individuazione di una certa corrente culturale, di un certo fermento, un certo ardore, che avevano una direzione ben precisa. Dal mio punto di vista tutte le manifestazioni artistiche dell'uomo (ogni sua creazione, per la verità) non possono essere osservate al di fuori del contesto di appartenenza sociale e storica. Per me la "scena dark" è quella storica (Cure, Joy Division, Bauhaus, Sisters of Mercy e il primo Nick Cave): siamo a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta. Questa musica rappresenta l'essere umano che si confronta con il vuoto ormai del tutto palese che la civiltà dei consumi ha edificato. Non avendo vissuto l'epoca in prima persona, l'aspetto che mi avvicina realmente a queste esperienze riguarda l'oscurità come dimensione umana di cui io mi sento cosciente, nel senso che il problema dell'essere è l'ombra stessa dell'uomo. Ed è per questo che io affermo: il problema dell'essere è un problema di coscienza."
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Sin qui i tuoi dischi sono stati prodotti e realizzati da te stessa in prima persona: ciò dipende dal disinteresse di case discografiche attente solo al soldo, oppure è una tua precisa scelta?
"Le proposte di pubblicazione per il disco che oggi è 'Aisthànomai, Il Dramma Della Coscienza' contenevano, ciascuna nella propria misura, delle condizioni riguardanti la produzione, che avrebbero modificato l'assetto generale dell'opera in una o più fasi della sua realizzazione. Nel mio ordine di idee e nel mio pensiero, la produzione non è però affare secondario, ma il processo tecnico ed estetico che costituisce l'opera, e di mio interesse diretto. Il senso dell'opera nasce proprio dalle modalità di creazione, dal progresso delle fasi da me curate di fatto in prima persona: dalla registrazione al montaggio finale, alla composizione del prodotto "finito" con testi e note dei testi. Da quest'ottica, il mio lavoro, e il suo senso, sussistono perché in assenza di mediatori. Anche gli editori più interessati, oggi, si attribuiscono questa funzione - quella di mediare: tecnicamente propria degli editori, ma che diventa impropria quando include un atteggiamento morale - che deriva in tutto da una cultura in cui l'arte e la musica sono prodotti di consumo, o tutt'al più prostituite. Se io faccio arte, e il risultato sono i dischi che sai, lo faccio poiché vivo altro tipo di dimensioni di pensiero, dove colui che crea lo fa con strumenti (la pittura, la musica, la poesia, ecc.) i quali veicolano un senso: questo senso è l'opera, non un accessorio da forgiare. Mi viene allora in mente un passo, che esprime esattamente cosa intendo. Lo leggevo dall'introduzione al testo L'ovvio e l'ottuso, raccolta di saggi critici di Roland Barthes, firmata dall'editore francese (De Seuil) dopo la morte dell'autore: «Barthes stesso, attento al minimo dettaglio concernente la sua attività di scrittore, ha sempre redatto la parte essenziale della scheda di accompagnamento dei suoi libri (...) di conseguenza l'editore sente come una costrizione inevitabile il suo intervento in questa sede.» Ciò che lì era avvertito come costrizione, è invece pratica frequente nelle pubblicazioni nostrane e attuali, specie musicali, dove l'editore si sente nel "diritto-dovere" di intervenire per "presentare" il prodotto in un "certo modo". Ed è esattamente questo che io rifiuto con forza."
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Cosa puoi dirci riguardo alle tue future attività, sia in studio che dal vivo?
"Sono in fase operativa. La registrazione per me significa "messa su disco" della voce, in quanto oggetto di studio. Con una certa frequenza dunque sono in studio, ad un certo punto tirerò le somme del lavoro, e allora sarà il momento di un disco. Quanto alle mie performances, al momento, esse rientrano in tutto nell'ambito dell'evento, sia dal punto di vista poetico che pratico."
"La mia 'oscurità' non è propriamente l'adesione ad un movimento quale la 'scena dark'. Dal mio punto di vista, tutte le manifestazioni artistiche dell'uomo non possono essere osservate al di fuori del contesto di appartenenza sociale e storica. Per me la 'scena dark' è quella storica: Cure, Joy Division, Bauhaus, Sisters Of Mercy e il primo Nick Cave..."
(Romina Daniele)
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Siamo in chiusura: ti lasciamo lo spazio per un messaggio che possa aiutare i lettori a comprendere ed apprezzare maggiormente il tuo lavoro, sperando che la tua risposta susciti la curiosità di chi ancora non ha ascoltato i tuoi dischi.
"La mia esperienza, intesa come parto della condizione filosofica dell'interrogazione, a cui il senso comune non è abituato, può suscitare il fermento di stati percettivi di là delle considerazioni automatiche (sistematizzazioni non coscienti e meccaniche), frutto della percezione abituale, dell'intelletto. In quest'esaltazione risiede allora il senso della teatralità e della processualità, del «sapere stesso del senso» ovvero "ri-presentato" come azione «tramite l'eccesso stesso delle sue versioni: l'espressione» [R. Barthes, Diderot, Brecht, Ejzentejn, 1973, in "Revue d'esthétique" [tr. it. L'ovvio e l'ottuso. Saggi Critici III, cit., pp. 94-95]. Corsivo mio]. E «il senso è l'espresso»: «non si chiederà dunque qual'è il senso di un evento: l'evento è il senso stesso.» [G. Deleuze, Logique du sens, Parigi, Les Editions de Minuit, 1969 [tr. it. Logica del senso, Milano, Feltrinelli, 2006, p. 27. Corsivo mio.] [R. Daniele, II. L'Io nella ricerca (la progettualità) , in: Voce Sola (raccolta di saggi brevi sul discorso vocale), attualmente online www.rominadaniele.com/pagine/testi.htm ]."
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