04-12-2012
ROSE ROVINE E AMANTI
"Giorni Di Splendore E Sole"
(RREA)
Time: (45:00)
Rating : 7.5
Nel decennale dell'attività discografica, a poco più di tre anni dall'ultima fatica sulla lunga distanza "Demian", il progetto di Damiano Mercuri giunge ad apporre l'undicesimo sigillo complessivo alla propria lista di realizzazioni, preferendo abbandonare la pur solida inglese Cold Spring per affidarsi ad una produzione in proprio. L'attesa è stata sicuramente lunga, ma alla fine l'artista capitolino, che sul nuovo lavoro si è occupato praticamente di tutto (ad eccezione delle parti di batteria, più il supporto vocale di Noemi York in alcune tracce), è riuscito a tenere fede alle aspettative di quel pubblico che già aveva apprezzato la dualità acustico/elettrica del suo retaggio folk, rinvigorito proprio in occasione di "Demian" da solide venature rock. Se nei frangenti acustici Damiano sa infondere una dolcezza che tocca l'anima (l'opener strumentale "Novembre", l'intensa e accorata "Holy Mary Protect My Child", l'arioso canto "Europa Is Calling Me", la più sostenuta e ritmata - con le parole di Shelley a farsi spazio fra i colpi della batteria - "Versi Scritti Sul Golfo Di Lerici"), in quelli più elettrici preferisce imporre invece una sonante ruvidità dal respiro epico ("La Mia Germania", la più cadenzata nel suo respiro placido "My Black Europa", la stregonesca cantilena rituale "Danza La Nostra Danza"), spesso e volentieri senza lesinare sulle asperità del suono della sei corde. Molto bene anche il taglio prog della spigolosa e dagli umori scuri "The Story Of The Tiny Pure Judith" e la mesta, dolente marcia conclusiva di una title-track capace comunque di una sontuosa impennata elettrica, ma l'episodio più riuscito ed in grado di rappresentare al meglio ciò che oggi è l'essenza di Rose Rovine E Amanti è senza dubbio "Rain", cantata in italiano a dispetto del titolo anglofono: un momento poetico ed impetuoso nel suo piglio folk, che si fa possente con l'ingresso della batteria, e che ancora una volta mette in luce la qualità di scrittura e l'istrionismo compositivo - nonché vocale, come dimostrato ampiamente in tutta l'opera - del mastermind romano. Un lavoro compatto e completo, privo di cadute di tono, che senza dubbio rappresenterà una gradita conferma per chi già aveva apprezzato le gesta passate dell'act capitolino. O, viceversa, un'altra occasione per scoprire - finalmente - uno dei fiori all'occhiello della nostra scena (neo)folk.
Roberto Alessandro Filippozzi
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