11-06-2011
ALCHEMY ROOM
"Origin Of Fears" - "A Matter Of Time"
(Nomadism Records)
Time: (75:50)
Rating : 7
Gli Alchemy Room si formano a Torino nel 2007 come progetto solista del chitarrista/tastierista e compositore Fabio La Manna. Dopo alcuni cambi di formazione, una prima stabilità porta al disco autoprodotto "Origin Of Fears". In seguito firmano un contratto con la Nomadism, che decide di pubblicare nuovamente il disco d'esordio, aggiungendo ad esso tre ulteriori brani, che fanno parte di un EP dal titolo "A Matter Of Time". Quello che ne consegue è un lavoro composto da 9 brani in totale, ma di oltre 70 minuti, che si basa fondamentalmente su un progressive metal ricco di cambi di tempo e fraseggi arzigogolati (quindi decisamente eccessivo nella lunghezza totale), che tuttavia trattiamo con piacere in queste pagine perché pregno di atmosfere oscure e claustrofobiche, liquide e oniriche. L'unione di queste caratteristiche dona una singolarità al prodotto, che di per sé è già molto nell'inflazionato mondo musicale odierno; nessun paragone viene subito spontaneo (se non con i Cynic, per quanto riguarda il suono della chitarra 'clean' e per la ricerca di dissonanze e arrangiamenti fuori dagli schemi) e la tecnica è sopraffina. Rimangono tuttavia delle grosse lacune, a partire dalla produzione, veramente pessima: la batteria sembra registrata in uno scantinato, e quando parte con la doppia cassa, perde in potenza scomparendo dietro ad un muro di compressione. C'è poi la solita vecchia magagna di coloro che si accostano a questo genere, troppo spesso auto-celebrativi della propria tecnica quanto autolesionisti nel non comprendere che si potrebbe lasciare lo sfoggio della suddetta ad un particolare brano di lunga durata, evitando di somministrare al povero ascoltatore una serie di tracce che quasi mai si fermano sotto i 10 minuti. Quando poi nei brani in questione si inseriscono una ventina di riff ciascuno, allora è davvero troppo... Per carità, comprendo in pieno la devozione e la lunghezza dei tempi spesi per brani così complessi, oltre all'indiscutibile divertimento nel suonarli, ma mi chiedo perché, ad esempio, non valorizzare la voce della dotata Irene, invece di lasciarle i soli primi 2 minuti di ogni brano, per poi iniziare l'ennesima suite. Anche se, a vedere dalle nuove canzoni (quelle che fanno parte del recente "A Matter Of Time"), sembra che i Nostri abbiano assorbito a dovere questo tipo di lezione, sciorinando una serie di composizioni che mantengono un'adesione più consona alla forma-canzone e una durata più breve in generale. Pezzi come "La Fin Absolue Du Monde" e "Waking The Child I", appartenenti al primo disco, sono sicuramente affascinanti e suggestivi, ma comprendono al loro interno tutto ciò che la musica rock ha offerto negli ultimi 40 anni. Nel primo caso si passa da un serrato metal progressive a un intermezzo di parecchi minuti che fa il verso alla Floydiana "Echoes", per poi passare dai seventies dei Black Sabbath agli anni '90 del melodeath scandinavo: davvero molto ambizioso, ma anche un po' pretenzioso. Nel secondo caso si apprezza un gran ritornello che fa da collante a una suite che, nella parte finale, si perde in pirotecnici esercizi di virtuosismo. "Waking The Child II" è però un gioiello di pura classe, semiacustico nell'iniziale incedere in stile Gathering, che procede sviluppandosi tra diversi seppur omogenei spazi, senza strafare e voler stupire a tutti i costi, ma dosando alla perfezione le note appoggiate dei melodici assoli di chitarra, con il gusto barocco ma moderno di una composizione che cerca di librarsi tra gli schemi di una fiaba. Una maggiore linearità, come accennato, viene proposta con i brani di più recente estrazione, che però paradossalmente sembrano meno ispirati e privi dell'energia di quelli più datati; la malinconia di fondo viene messa in risalto (pur mancando quasi del tutto le parti di tastiera, che a mio parere erano fondamentali nel marchio di fabbrica del suono), c'è maggior spazio per le parti cantate (in bilico tra la più recente Anneke Van Giersbergen e Cindy Levinson), ma la particolarità e la singolarità del sound che caratterizzava "Origin Of Fears" si va perdendo in cullanti lamenti senza apparenti riferimenti. Probabilmente l'ideale equilibrio compositivo starebbe nel mezzo; auguro quindi a questa band di trovarlo al più presto, perché le potenzialità sono enormi ed il prossimo full-lenght potrebbe rivelarsi davvero interessante.
Silvio Oreste
http://www.myspace.com/alchemyroom
http://www.myspace.com/nomadism