Come prima domanda, vorrei sapere se dopo sedici anni di attività ti senti di fare un bilancio?
Saverio: "I bilanci si fanno generalmente alla fine di una vita, di un percorso: credo che, a dispetto di tante condizioni non proprio favorevoli, non sia ancora giunto il termine di questo mio percorso artistico, e del resto Autunna et sa Rose potrà sempre comunque rimanere un contenitore per produzioni d'arte di vario genere. Resta comunque il fatto che, salvo miracoli, Phalène d'onyx sarà l'ultima opera in questo formato. D'altro canto per essa ho fatto davvero l'impossibile: è stato un lavoro ciclopico nei termini della sua produzione, terminata in realtà a fine estate 2010, dopo una gestazione altrettanto lunga, essendo le primigenie idee riguardo al concept risalenti all'autunno del 2004, periodo nel quale peraltro furono composte anche parecchie delle poesie che cementano il progetto nel suo insieme. È stato poi quindi importante cercare di accelerare - nonostante le condizioni sempre avverse... - al massimo i tempi della sua effettiva realizzazione, con l'amara consapevolezza che stiamo vivendo un'epoca di profonda crisi culturale, prima ancora che economica. Reputo che l'unica possibilità perché sia pubblicabile in futuro un altro lavoro su CD potrebbe aversi solamente nel caso in cui abbiano successo alcuni miei sforzi, volti a promuovermi come realizzatore di colonne sonore e sonorizzazioni varie. L'alternativa obbligata del digitale verrà quindi in ogni caso percorsa, casomai in parallelo con produzioni d'altro genere, e di certo senza eccessiva brama, costretti dalla situazione generale.
Pertanto un bilancio è magari possibile, o almeno sensato, se non altro perché questo 2012 ha rappresentato di fatto un punto di svolta della mia attività, per taluni aspetti anche e soprattutto un punto di non-ritorno, concentrato nell'intima essenza di quest'ultimo lavoro Phalène d'onyx. Quest'affermazione può suonare un attimo contraddittoria, ma temo che le mie future possibilità nel campo della sonorizzazione non abbiano un rapporto così stretto con la poetica specifica portata avanti sin qui negli anni da Autunna Et Sa Rose. La sensazione quindi di essere davvero ad un punto di non-ritorno è tangibile e può essere latrice di svariate conseguenze in termini strettamente artistici e non. Può certamente essere che non sia più da qui in avanti la musica il mezzo privilegiato per portare avanti le idee che intendo esprimere, e con questo non voglio in ogni caso dire che essa dovrà subire un blocco totale: i tempi evidentemente cambiano, e con essi il nostro modo di relazionarci con le loro istanze, quindi pure gli stimoli che ne derivano.
Se peraltro andiamo a guardare indietro nel passato, e lo facciamo con un'attitudine comparativa, ci rendiamo perfettamente conto che alla fine degli anni novanta vivevamo in una realtà che pare davvero lontana millenni da oggi: all'epoca aveva ancora un senso proporsi come emergenti con un contributo stimolante di idee, consci che là fuori chi deteneva il potere era ancora disposto ad ascoltarti, e, nei limiti del possibile, di concederti spazi, almeno quelli residui. Certamente agli inizi, pur essendo obiettivamente partiti con basi teoriche e tecniche piuttosto limitate, avevamo infatti immaginato ed auspicato per Autunna Et Sa Rose un futuro diverso, uno scorrere degli eventi meno travagliato e contraddittorio, convinti che vi erano delle buone idee che con i nostri mezzi d'allora, ancora da rifinire, cercavamo giorno per giorno di esprimere al meglio di noi stessi.
Del resto il tutto era partito come una scommessa che ci eravamo fatti senza minimamente immaginare che, nel giro di alcuni mesi, partendo assolutamente dal nulla, saremmo stati i creatori di un piccolo meccanismo, capace tuttavia di produrre un primo lavoro discografico e di gestirne in piena autonomia l'uscita sul mercato con la garanzia di una distribuzione europea (seppur per piccoli quantitativi), forti di un contratto firmato pochi mesi prima. Sempre restando assolutamente con i piedi ben saldi per terra, avevamo quindi assistito a una serie di primi responsi del tutto positivi della critica, italiana e non, ricevuto offerte per compilation e per esibizioni live, in parte realizzate - pur non essendo in realtà ancor sufficientemente pronti -, in Italia e all'estero e in definitiva visto crescere il progetto sotto i nostri piedi: il tutto mentre stava prendendo corpo il nuovo lavoro, necessariamente più ambizioso del precedente, cosa peraltro giustificata dalla scia di positività che aveva accompagnato la fase d'esordio.
Fu certamente a questo stadio che il giocattolo cominciò a sfasciarsi: avevamo infatti da poco assistito al crollo del nostro distributore il quale aveva dichiarato bancarotta, subito dopo averci illuso con la produzione di una compilation promozionale (un canto del cigno morente, si potrebbe dire...) che tra l'altro ci aveva aperto un piccolo varco all'utilizzo cinematografico della musica, grazie all'impiego del brano Caresses Aux Curs all'interno della colonna sonora di un cortometraggio indipendente tedesco. Anche se la botta fu forte e comunque inaspettata, ci sentivamo forti del fatto che, in virtù di quanto era successo fin a quel momento, avevamo in fondo un buon biglietto da visita; per cui, pur rimanendo le nostre aspettative contenute per via del genere assai poco commerciale che avevamo scelto di proporre, ci eravamo messi nell'ordine d'idee di cercare una produzione, possibilmente europea per Né l'être...Éternel, lavoro ben più elaborato e raffinato del primo e con il quale speravamo davvero di "fare colpo". E d'altro canto, già all'inizio del 1998, senza neanche avere terminato le registrazioni del succitato disco, avevamo firmato un contratto con una label dell'area germanica: la cosa ci spinse a muoverci per ultimare il lavoro al più presto, convinti che fosse davvero fatta. Fu invece, davvero paradossalmente, il vertice di una parabola oltre il quale iniziò l'oblio, condito di vertenze legali e fastidiose conversazioni telefoniche, al termine delle quali il sentimento prevalente era sempre più quello dell'ineluttabilità della decadenza e della pietrificazione. Avevamo irrimediabilmente "perso il tram", il quale ci era passato davanti quasi irridendoci, con al suo interno i volti di quei gruppi - i "potenziali", per così dire, compagni di label ...- che già si trovavano e tuttora si trovano regolarmente (a caratteri cubitali) su quasi ogni numero dei vari magazine tedeschi.
La storia di Autunna Et Sa Rose, da quel punto in poi, ma anche prima di quel maledetto "giro di boa", è quella di un progetto, sicuramente più bello che redditizio (e nel contempo "popolare"), il quale, nonostante quella prima delusione e altri motivi di frustrazione che seguirono di lì a non molto, è continuato, anche imperterrito, dall'alto del principio indissolubile e nobile della coerenza. In fondo c'era un sacrificio da compiere, anche nei confronti di una persona cara che da poco era scomparsa: da quel momento, in effetti, partì un nuovo ciclo, una fase diversa, incredibilmente costruttiva e formativa. Questo perché nel corso degli anni aumentavano le competenze e con esse la qualità complessiva, indipendentemente (ossia, in misura indipendente) dalle occasioni via via maturate: in effetti le collaborazioni con Steven Brown dei Tuxedomoon prima ed Ataraxia poi furono sì viste come possibili trampolini di lancio, senza mai tuttavia connotarle nei termini di operazioni strumentalmente ruffiane, come magari tanti avrebbero potuto fare nella nostra situazione. Avevo già allora realizzato che il progetto non poteva che incorporare un'indole avanguardista, ché la qualità crescente che lo caratterizzava dipendeva anche dall'apporto di musicisti in grado di offrire allo stesso molto di più di un livello standard di genere, quello che in fondo aveva grossomodo contraddistinto le produzioni fino al 2000. Insomma, se hai in mano una Ferrari, non ha senso, è stupido viaggiare alla velocità di una Cinquecento... Questa scelta, da tanti ritenuta sempre coraggiosa e/o elitaria, fu naturalmente pagata - complici in ogni caso, a ben vedere, vari avvenimenti ancora per noi ineluttabilmente negativi - in termini di delusioni, frustrazioni, o comunque aspettative non ricambiate. Ciononostante non si è più raggiunto quel grado di depressione che ti fa venir voglia di mandare tutto all'aria, così come mi era capitato alla fine del 1999. Forse sono riuscito negli anni a formarmi una "corazza", sono più disilluso, il che non so se è sempre un bene. Ho probabilmente maturato una certa forza d'animo, questo anche grazie all'aiuto, materiale e spirituale, di alcune persone che mi sono state vicine, e che, nonostante mille difficoltà, tuttora operano perché il progetto vada avanti, alla faccia di chi ritiene che sia "troppo difficile".
Mi hanno di recente chiesto se, alla luce dell'esperienza maturata, la qualità paga: è certamente una domanda che la maggior parte del pubblico finisce per intendere in un'unica maniera, tanto che chi la riceve può sentirsi pure a disagio, specialmente se, come accade anche per me, non può vantarsi di vivere di questa sua attività. Io posso solo rispondere a quest'apparente provocazione affermando che il mio progetto, per come ha saputo evolvere nel corso degli anni e quindi nutrire sempre più il mio spirito di pane di novità, mi ha regalato una via assolutamente privilegiata verso una crescita culturale ed interiore che certo non sarei stato in grado di raggiungere se mi fossi abbandonato a squallide logiche commerciali. In fondo, toltoci ormai dalla mente il bisogno di dovere guadagnare con quest'attività, siamo forse più fortunati noi, che crediamo intimamente nella musica, paghi essa oppure no: anche un giorno dovesse farlo, il nostro approccio infatti non muterà, rimarrà intatta la passione che da decenni ci ha accompagnato, mostrandoci la strada."