23-07-2019
MICHAL TUROWSKI
"Wormwood And Flame"
(Mozdok)
Time: CDr (60:26)
Rating : 6
Il polacco Michal Turowski non è certo uno a cui manca esperienza, essendo parte attiva di progetti come Mazut e Gazawat, oltre ad aver dato vita ad etichette quali Oficyna Bediota, BDTA e Positive Regression. Circoscritta agli ultimi quattro anni, la sua produzione solista (una dozzina di release in totale) si è rivelata spesso piuttosto astratta e dispersiva, in quanto costruita su spoken words montate su temi a dir poco minimali, e solo con "Na Srebrnym Globie" dello scorso anno le trame proposte hanno cominciato ad avvicinarsi ad una forma più compiuta. Proprio in virtù di ciò e della limitatissima diffusione delle precedenti uscite, il musicista residente a Varsavia tende a considerare "Wormwood And Flame" - ispirato al disastro di Chernobyl - come il suo vero esordio solista, attraverso il quale ha inteso dare un carattere più preciso al proprio sound. L'album, racchiuso in un essenziale digipack e stampato in soli 100 esemplari (cui si aggiungono i 22 dell'edizione in cassetta targata Positive Regression, che vanta un lungo brano in più rispetto al CDr), vive di una dark/industrial ambient dalla resa audio dignitosa, spesso ossessiva nel suo reiterare le soluzioni-base, ma comunque foriera di quelle algide sensazioni che possono aver caratterizzato il "dopo" del suddetto incidente nucleare. La coltre industriale si presenta subito spessa e ferrosa col binomio iniziale "26th April 1986"/"Pripyat", mentre le ambientazioni si fanno stridenti in "Black Wind" e più serpeggianti in "Sarcophagus", per poi virare più avanti - prima degli umidi cunicoli percorsi da sporadici bit in "The Woodpecker" - verso una cupa ciclicità in frangenti quali "Polissya Hotel" ed "Avanhard Stadium". Fra i momenti più interessanti dell'opera figurano senza dubbio "Red Forest", la cui indole isolazionista si fregia di più dettagli, e la tonante ed apocalittica "Azure Swimming Pool", e mentre la dolcezza del carillon si fa spazio tra i fumi di "Samosely", il finale è affidato alla mesta sottigliezza ambientale di "Life After People". Un apprezzabile punto di ripartenza per il Turowski solista, che di qui in avanti potrà sviluppare un suono dalla maggior forza didascalica ed evocativa, rifinendo spunti non certo innovativi, ma che costituiscono comunque una buona base su cui lavorare per meglio definire il discorso.
Roberto Alessandro Filippozzi