30-10-2017
PHURPA
"Ya Tog Rid Pa'i Gyer"
(Zoharum)
Time: CD 1 (49:07); CD 2 (54:43)
Rating : 7.5
Fra le otto uscite firmate dal collettivo russo in questo 2017 ancora non concluso vi è l'album in esame, quinta release per la polacca Zoharum presentata come il seguito del doppio CD "Chöd" del 2016. Doppio è anche l'oggetto di questa recensione: oltre 100 minuti divisi su due dischetti, con una lunga traccia per ciascuno di essi (entrambe senza titolo), nell'elegante confezione ecopak a tre pannelli dal suggestivo artwork di copertina. Lo stile del combo guidato da Alexei Tegin si mantiene entro il solco ben tracciato attraverso un cospicuo numero di lavori, poggiando sempre su ambientazioni droniche corredate da strumenti tradizionali (antichi ed artigianali) a supporto di quello che è il vero e proprio pezzo forte: l'ormai celeberrimo stile vocale 'rgyud-skad', meglio noto come 'overtone singing', strettamente legato alle antiche tradizioni tibetane del Bön e ad una ricerca spirituale che Phurpa è in grado di veicolare tanto ad uso personale quanto di chi si pone all'ascolto. La chiara matrice rituale del suono dei Nostri si manifesta ogni volta nella circolarità delle creazioni sonore, che prendono sempre le mosse dal particolare e suggestivo stile vocale, come subito ci conferma il primo dischetto: in un antro umido in cui si dipanano mistiche vibrazioni si fa strada una vocalità molto più catacombale del solito, destinata a cedere il passo ai consueti clangori ed a rumori disturbanti, coi suoni che prendono una piega lugubre e minacciosa prima del consueto ritorno all'overtone singing che chiude la traccia. Sicuramente uno dei pezzi più tetri ed inquietanti del collettivo, che non delude le aspettative anche col secondo CD: le ambientazioni si mantengono decisamente scure, fra colpi ora concitati, ora sparsi; la vocalità subentra col tipico piglio rituale accogliendo l'ingresso di fiati ronzanti e ossessivi, prima che i colpi echeggino nel silenzio quale degno preludio della lunga porzione finale, nella quale puntualmente torna il fatidico canto. Senza dubbio uno dei lavori più scuri e coinvolgenti del progetto, che anche sul versante live continua a guadagnare credibilità, al punto di essere diventato un vero e proprio riferimento per chi nel suono ricerca i giusti spunti per elevare anche il proprio stato di coscienza. Ennesima conferma per un nome che è ormai una garanzia nel particolare e ricercatissimo filone d'appartenenza.
Roberto Alessandro Filippozzi