31-05-2014
PARANOIA INDUCTA
"Maze Of Death"
(Old Temple/Doomsday Factory)
Time: (50:19)
Rating : 7.5
Uscito la scorsa estate, l'album "Maze Of Death" rappresenta la decima release in 10 anni per il progetto creato da Anthony Armageddon Destroyer (anche attivo coi side-projects Goreghast, EWT 811 e Panzerkampf) nella primavera del 2003, condotto sin dagli inizi in solitaria col supporto di alcuni ospiti. Una carriera tutta percorsa sotto l'egida di un'etichetta importante come la Beast Of Prey (tranne che per il secondo album "The Unholy Place", edito dalla Foreshadow Productions), che vede oggi il musicista polacco accordarsi con la connazionale Old Temple per il successore del valido "Evil Angel", penultimo lavoro uscito a fine 2010. Partito da posizioni molto inclini ad una durezza death-industrial arcigna ed orrorifica (i primi due album e i primi due split, rispettivamente con Moan e Niegrzeczna Pensjonarka), già col full-length del 2006 "Gloria Laus" il suono di Paranoia Inducta ha preso una piega più lugubre, spettrale e di matrice dark ambient, che proprio con il penultimo "Evil Angel" ha raggiunto il suo massimo splendore in chiave cinematica, frutto di un lavoro tecnicamente mirabile sin dagli esordi. "Maze Of Death", opera concettuale che lo stesso autore sintetizza con le parole "solitudine, paura e morte!" e che pare voler configurare un'allegoria con l'Inferno dantesco, è il degno culmine di una carriera portata avanti con capacità, ispirazione ed impegno, a partire dalla superba resa sonora e senza dimenticare la bella veste grafica, con le ottime foto di Amellia Karina Ciepiela che adornano il digipack formato A5. Un incipit dolente, incarnato da quattro tracce dettate da tristi melodie, con tenui folate ambientali e rumori non invasivi sullo sfondo, cui segue la svolta: "Dark Messiah" irrompe cupa e minacciosa con una voce maligna e rituale, fra tetri colpi ritmici, solenni impennate marziali, sfondi sinfonici e finanche una ruvida chitarra campionata, dando il 'la' ad un frangente più spettrale e lugubre con le seguenti "The Kingdom Of Pain" e "Kill Me Once Again". Una breve incursione dai toni etnico/orientali ("Circle Of Despair") prepara la strada al piano, ispirato protagonista della splendida "Eternal Fear" prima di una porzione finale più celestiale ("Abandoned Paradise", "Digital Coma"), chiusa anch'essa dai tasti d'avorio, che emergono fra lo sbattere di legni di "I'm Just Your Remorse". Un lavoro ispirato e completo quanto basta, oltre che efficace e ben orchestrato, per un progetto che merita la piena attenzione di chi cerca nella materia dark ambient qualcosa in più dei soliti droni bui e opprimenti.
Roberto Alessandro Filippozzi
http://www.paranoia-inducta.com/