28-08-2012
BURIAL HEX
"Book Of Delusions"
(Cold Spring)
Time: (68:43)
Rating : 7.5
Burial Hex è il progetto musicale dello statunitense Clay Ruby, attivo con questo monicker da circa cinque anni e con cui ha firmato un gran numero di produzioni nei formati più disparati e negli stili più diversi. Tale ecletticità è alla base anche di "Book Of Delusions", non un album, bensì una compilation che raccoglie materiale precedentemente stampato solo su vinile, con le prime quattro tracce estratte dall'omonimo EP edito lo scorso anno, le due seguenti pubblicate nel 2010 nel disco "Vedic Hymns" realizzato insieme a Kinit Her, ed infine i due pezzi apparsi nello split con l'allora semi-sconosciuta Zola Jesus, risalente a tre anni fa. La parte più appetitosa dell'opera è costituita proprio dai primi quattro brani, concepiti in un momento assai negativo da cui sembra che Clay sia venuto fuori grazie all'invocazione di "un'antica forza". Non è quindi un caso che le sonorità vertano spesso su un tetro ritualismo dai connotati paganeggianti, aggiustati ad esigenze stilistiche moderne. L'inizio di "Final Litany" ha le fattezze di un cerimoniale aperto da uno spoken-word, proseguito da un substrato industriale fatto di rumori sovrapposti, boati, riff striscianti, piatti che tintinnano e completato da un irriconoscibile motivo di violoncello, quasi violentato nei suoi neri riverberi accostati a cupi rintocchi di tastiera. La successiva "Urlicht" ha fattezze più sinistre: costruita su una doppia stratificazione elettronica che unisce abrasività malefica e cicalii notturni, viene poi variata con l'aggiunta di fragorosi boati che rompono l'inquietudine, fino ad assumere un andamento ritmico che si fonde con un motivo rituale. "Crowned & Conquering Child" apre invece con un intreccio puramente noise, su cui si stende una voce gutturale in stile black metal; col passare dei minuti inizia a farsi spazio una linea pulsante di synth, cui si aggiungono in crescendo un nodo di voci disperate ed un tragico tema di piano. La lunga title-track, che in origine chiudeva l'opera, è una sorta di dub-music ossessiva e continua, debitrice della new wave e, in definitiva, non troppo distante dalla classica "Black Radio", coi motivi old-style di tastiera ed alcuni riff di chitarra che non fanno che amplificare gli echi degli anni '80. Il ritualismo nero si fa sentire anche nelle due song estratte da "Vedic Hymns", entrambe incentrate su suite di piano: "God Of War And Battle" è dotata di un andamento più nervoso e di una voce cacofonica, mentre "Storm Clouds" appare più neoclassica, grazie anche alle lievi percussioni e alle note di violino cui si aggiunge un tono vocale disperato. Fanno la loro buona parte anche le due tracce conclusive: più gotica "Go Crystal Tears", costruita su riverberi elettronici, ritmiche cadenzate, riff tetri e la solita voce dilaniata dal male; più industriale "Temple Of The Flood", sorta di coacervo metallico in cui si mischiano rumori di vario genere e sensazioni sonore contrastanti. In definitiva, come tanti altri nomi dell'attuale scena underground statunitense, Burial Hex fagocita una serie di input di matrice oscura provenienti dal vecchio continente e li rivede a modo suo, tirando fuori soluzioni accattivanti senza lasciarsi attrarre dalle sirene del mainstream (come accaduto ad esempio ai Cold Cave). Industrial, dark ambient, echi goth e new wave convivono nel disco che più di tutti gli altri si propone come mezzo iniziale per addentrarsi nel mondo sonoro di Clay, sorta di bottega degli orrori fatta di atmosfere, melodie e riferimenti sinistri. La Cold Spring agisce ancora una volta in maniera perspicace, accorpando e rimasterizzando brani di qualità pescati in una discografia decisamente dispersiva.
Michele Viali
http://burialhex.bandcamp.com/