07-05-2011
BLACKHOUSE
"25th Years Anniversary + Hope..."
(M-Tronic)
Time: CD1 (77:21) CD2 (66:10)
Rating : 7
Tra i più singolari progetti del panorama industrial, i Blackhouse (oscura creatura dell'americano Brian Ladd) festeggiano i 25 anni di carriera con un doppio CD uscito dopo diversi anni di silenzio. La peculiarità della band è sempre stata la contrapposizione tra un sound rude e testi cristiani, fatto che li mise in evidenza all'interno di un genere che di norma ha sempre accostato musica violenta a testi altrettanto violenti, o se non altro decisamente opposti ai principi della cristianità. La celebrazione della pseudo-band (Ladd è da sempre l'unico membro, a dispetto dei nomi fittizi che gli sono stati accostati nel corso degli anni) inizia con un disco-tributo contenente ben 25 tracce, in cui gli spoken di Brian - assai simili a dei sermoni - si alternano a reinterpetazioni o scherzosi intermezzi firmati da nomi più o meno conosciuti della scena, i quali hanno collaborato nel tempo col moniker americano. La compilation è segnata da uno spirito 'leggero' e spesso disincantato (si vedano in questo senso soprattutto il jingle blues d'apertura ed una "Happy Birthday Blackhouse" firmata in toni minimal da Scott Gibbons), in cui svettano nomi quali Hypnoskull, fautore di un power-noise più ironico che arrabbiato, un frastornante Jupitter Larsen e un ipnotico Schlafengarten, resuscitato direttamente dai più oscuri anni '80. A questi si aggiungono alcune vecchie glorie in grande spolvero (Le Syndicat) o in tono minore (Brume e Pacific 231), ma sempre accomunate da una ripetitiva insistenza. Il pezzo forte dell'opera arriva col secondo dischetto, prima ristampa del vecchio LP "Hope...", uscito nel 1985 per la titanica RRRecords e generato assemblando materiale pubblicato nelle prime due cassette, edite nel corso del 1984. I brani sono frutto d'improvvisazione diretta, creata con pochi mezzi e molta fantasia: in pratica un turbine industriale scandito da ritmiche bislacche, distorsioni curiose ma dosate con innata perizia, voci deformate e qualche indecifrabile base analogica. L'audio casalingo, da live in presa diretta messo in piedi per pochi intimi, valorizza un'ispirazione maiuscola ma evidentemente inaspettata, fatto che porta lo stesso autore a chiedersi - dopo 25 anni - "What the heck was I thinking? How did I ever do it?"... A fine album troverete un assurdo e arcano loop di mezz'ora, che però non aggiunge nulla al lavoro originario. Nel complesso un primo CD più che trascurabile, bilanciato da un secondo dischetto oltremodo necessario. Confezione elegante in digisleeve apribile a sei pannelli, con all'interno varie informazioni sulla stesura di "Hope" fornite direttamente da Brian in tono decisamente autoironico.
Michele Viali
http://www.sonic.net/~blackho/