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Room 104

09-02-2009

PRURIENT

"The Black Post Society"

Cover PRURIENT

(Cold Spring/Audioglobe)

Time: (47:07)

Rating : 7.5

All'interno di una discografia sterminata, fissata sui supporti più ricercati e disparati, l'act americano Prurient trova di tanto in tanto l'occasione per mettere a punto un album che non sia così spiccatamente di nicchia dal punto di vista formale. È il caso di "The Black Post Society", lavoro di buon livello che svetta prepotentemente tra le recenti uscite del settore rumoristico. Ma Dominick Fernow (titolare del progetto) non brilla solo per il noise messo in mostra: il suo è infatti un percorso che si snoda attraverso input diversi, soprattutto nella prima parte del disco. Eccoci quindi alle prese con evidenti retaggi black metal violentati e ridotti ad una massa sonora, da cui ancora emerge la passione per le ritmiche e per dei riff elettronici ed elettrizzati ("Specter Of A Child"). Se altri momenti ci collegano in maniera più diretta alla power-electro e alla vecchia scuola degli Whitehouse ("Wooden Weapons" e "Mask Of The Boys"), i veri riff di chitarra elettrica arrivano inaspettati nelle brevissime "Domina Milking" ed "Egyptian Bondage": si tratta di nitidi assolo brutalmente sporcati da una valanga di materia audio, che travolge la purezza rock modificandone i connotati, mentre nella conclusiva "Months Lengthenings Into Years" il giro di chitarra si fonde ai rumori e alle ritmiche rotte per creare un circuito di caos lento e perpetuo. Accanto alla ferocia trova spazio anche il bel pezzo black-ambient cupo e percussivo "Forever Hate", che si sposa bene alle rasoiate nere che divampano in tutto il dischetto. Gran parte del valore dell'opera risiede comunque nel lavoro fatto sulla voce, capace di assumere sembianze diverse a seconda dell'occorrenza: dallo spoken-word sulfureo alle urla filtrate che si lasciano alle spalle la tradizione punk, dai passaggi stridenti tipici dei vocalist black fino alle cacofonie più totali. "The Black Post Society" è un album che fonde il rumore tipico della scena americana (Taint, Slogun, Mark Solotroff) a suggerimenti diversi, mantenendo però una peculiare violenza sonora nel risultato finale, ottimamente macchiato di profonda oscurità. Se ne esce col mal di testa, ma sono proprio questi i casi in cui il noise ha una sua ragion d'essere.

Michele Viali

 

http://hospitalproductions.com/

http://www.coldspring.co.uk