04-02-2007
BAD SECTOR
"Kosmodrom"
(Waystyx)
Time: (49:49)
Rating : 9
Chiedere a qualcuno che ascolti 'industrial' (in senso lato, sia ben chiaro) di parlare di Bad Sector è un po' come chiedere ad un amante del buon vino di parlare di un Brunello di Montalcino, o ad un amante della buona cucina di parlare del Culatello di Zibello o del lardo di Colonnata. Prevedibile l'acquolina, prevedibile l'entusiasmo, altrettanto prevedibile una logica esaltazione del prodotto in questione. Eh sì, perché pur essendo la musica (come le altre forme d'arte, ovvio) soggetta a valutazione ed apprezzamento del tutto soggettivi, esistono canoni di qualità oggettiva dai quali non si può prescindere parlando dell'opera di Massimo Magrini, aka Bad Sector. Ogni suo disco è spanne, metri, chilometri al di sopra degli altri. Per la qualità della materia prima (campioni di sopraffina pulizia), della 'lavorazione' (una padronanza degli strumenti da vero guru dell'elettronica), della confezione (strutture dei brani di rara raffinatezza) e dell'aspetto puramente 'estetico'. Quello che esce da questo crogiuolo alchemico è un disco impeccabile, nel quale le canzoni sono impressionanti, sotto ogni aspetto. Rotonde, cerebrali, potenti, evocative, stimolanti. E così come per tutti i prodotti di qualità (di nicchia e non), esiste in questa musica una forte componente di riconoscibilità: nessun altro suona come Bad Sector, pochissimi altri possono aspirare a raggiungere i livelli di Massimo quando è in forma. E in "Kosmodrom" (disco che - per inciso - è dedicato al programma russo di esplorazione dello spazio ed ai suoi pionieri), Massimo ha raggiunto uno dei picchi della sua carriera. Le parti ritmiche dei brani farebbero invidia ai mestieranti dell'elettronica - compreso qualche nome da milioni di copie vendute - e quelle più propriamente ambientali spazzano via orde di onesti 'manovali del drone'. Quello che stupisce di più in "Kosmodrom" è il numero di variazioni stilistiche dei brani, che passano con disinvoltura imbarazzante dalle trame stellari di "Energiya" all'elettronica ritmata di "Telemetry", dai desolanti drones di "Extravehicular" alle frequenze disturbate e disturbanti di "Kosmos", passando per l'impressionante melodia di "April 12, 1961" senza mostrare nemmeno un cedimento, una imperfezione, una caduta di tono. Niente da fare, è il tocco del maestro a fare la differenza. La stessa differenza che passa tra un grande chef e uno che cuoce gli hamburger da McDonald's, tra il Tavernello e un Amarone d'annata, tra un imbianchino e Rembrandt. Entrambi usano pittura, è vero, ma venitemi a dire che il risultato è lo stesso...
Mauro Berchi