13-08-2019
LUZI
"LuZi LP"
(Retro Vox Records)
Time: CD (34:27)
Rating : 6
In un panorama musicale dove le idee scarseggiano e gli artisti sembrano rifugiarsi nelle loro zone di comfort stilistiche, c'è ancora qualche impavido temerario che, per fortuna, sente la necessità di mettere i piedi oltre certi confini prestabiliti ("preconfezionati" è probabilmente il termine più corretto): è il caso del polistrumentista LuZi, che col suo progetto tenta la strada del coraggio, con pericoli e rischi annessi. Presentato attraverso una bella copertina raffigurante un dettaglio della "Camera di S. Paolo", il disco in esame è un lavoro che frulla senza tanti complimenti sonorità tipicamente black metal, suggestioni folk, pulsazioni new wave e sporcizia da garage rock, il tutto suggellato da un cantato interamente in dialetto parmigiano. Un assaggio di questa curiosa mistura viene offerto già a partire da "Chilù", brano dove il cantato in parmigiano, opportunamente filtrato e reso volutamente straniante grazie anche ad una voce che pare venire dall'aldilà, marchia una composizione dalle sonorità dirette e ancestrali, senza dubbio suggestiva nel suo incedere sicuro e graffiante; sebbene le atmosfere siano affascinanti, la qualità di registrazione è purtroppo (volutamente?) scadente, caratteristica che, sfortunatamente, si riscontra in ogni singola canzone. La successiva "Satiri E Ninfe In Val Ceno", aperta da un lugubre e stonato flauto, si erge su ripetitivi e velocissimi power chords di chitarra acustica in stile black metal e urla distorte, proponendo un mixaggio impastato e privo di sufficiente dinamica, con i vari strumenti che appaiono quasi indistinguibili tra loro, mentre in "Roccalanzona" si odono persino interessanti cambi di tempo e riff acustici di ottima suggestione, nonostante il suono sia ancora una volta veramente molto approssimativo. Vibrazioni più rock-oriented si sprigionano in "Pietra Corva", componimento più spigliato e ritmato, ma già dalla successiva "De Dlà Da L'àcua (l'Oltretorrente)" si ritorna alla tipica ambienza folk e bucolica, in particolar modo per la presenza delle percussioni e del violino egiziano che, nell'insieme, tratteggiano un dipinto sonoro sì sbilenco, ma oggettivamente godibile. Tra aperture melodiche, quasi new wave (è il caso di "La Lon'na"), e tracce volutamente caotiche e deliranti come "Verdi È Morto", volge al termine questo stralunato e vivace lavoro fatto di riff minimali e tante piccole idee sparse qua e là, queste ultime tramortite da un deficitario uso dei singoli suoni (la batteria è paradossalmente lo strumento meglio inciso) che, a lungo andare, pesa come un macigno sul risultato finale. Concludendo, la fascinazione partorita dalle leggende locali narrate in quest'opera avrebbe meritato sicuramente ben altro trattamento, perché se è vero che a livello squisitamente produttivo il disco risulta poco curato, a livello compositivo qualcosa di buono c'è: con i doverosi accorgimenti, il prossimo album potrebbe essere assai migliore.
Denis Di Nicolò
https://retrovoxrecords.bandcamp.com/