07-12-2018
ATARAXIA
"Synchronicity Embraced"
(Sleaszy Rider Records)
Time: CD (59:30)
Rating : 9
Due anni dopo l'eccelso "Deep Blue Firmament", i Cavalieri Erranti dell'Emilia rinsaldano il loro legame con la Sleaszy Rider rilasciando - in un bellissimo digipack completo di ampio booklet - "Synchronicity Embraced", secondo album per l'etichetta greca ed ennesima fatica di una carriera ultratrentennale che li ha visti superare ampiamente i venti lavori in studio. Numeri importanti che, nel caso dello storico act italiano, hanno coinciso con un tasso qualitativo sempre altissimo, senza mai alcun reale passaggio a vuoto. Ed è proprio pensando a tali numeri che si rimane colpiti nel profondo da un lavoro come "Synchronicity Embraced", che se da un lato conferma quell'altissima ispirazione già toccata con mano nel precedente opus, dall'altro amplia come mai prima d'ora lo spettro sonoro della band, la quale, anziché proseguire su sentieri già battuti, abbraccia con successo una strada a suo modo inedita e capace di inglobare ogni influenza che abbia contribuito a definire la natura artistica dei singoli protagonisti, ampliando senza snaturarlo un discorso artistico mai così audace in precedenza. Non che nella carriera dei Nostri siano mancate release coraggiose, la cui differente impostazione si era resa necessaria per motivi concettuali (si pensi a "Paris Spleen" o a "Spasms", ad esempio), ma la nuova fatica va oltre le necessità tematiche, suonando puramente Ataraxia attraverso un ventaglio di soluzioni ancor più ricco ed avvincente. Non soltanto, quindi, quel folk acustico dal respiro antico, la darkwave, gli spunti eterei ed il neoclassicismo che hanno animato molti dei dischi più amati del combo, ma molto di più: dall'art-rock alle robuste nervature gothic, dalle strutture prog al post-rock astrale, passando per salutari iniezioni di elettronica, verso una completezza di suggestioni di rara efficacia che poggia sull'enorme ricchezza degli arrangiamenti. Che l'ispirazione sia ai massimi livelli, lo si evince chiaramente dalle rispettive performance: se Francesca riesce a trovare nuove vie per lasciar librare il proprio inconfondibile canto, sfoderando una tavolozza ancor più completa, il sublime lavoro di Vittorio alle chitarre va di pari passo, magistralmente supportato dalle maestose tastiere di Giovanni, dai corroboranti ritmi di Riccardo (il cui operato è stavolta più affine ad un vero e proprio drumming) e dal violoncello dell'ospite Totem Bara (già presente nel precedente capitolo ed estremamente utile per rinsaldare l'aspetto sinfonico dei brani). Così sono nati gli otto gioielli che compongono questo "viaggio alchemico nella frequenza in 432Hz - 8Hz - 1Hz" (come specifica la band stessa): dal respiro epico di "Oenoe" alle maestose aperture sinfoniche di "Sikia" e "Prayer Of The Archangel", passando per le dolcezze eteree della toccante "Ieros", gli scenari notturni con vista sul Grand Canyon di "Rose Of The Wild Forces", l'intreccio vocale e la chiusa magnetica di "Chiron Quartz" e gli oltre dieci minuti della magniloquente title-track, tra finezze prog, break sacrali ed un finale che affonda nella downtempo, varrà la pena vivere fino in fondo ogni istante dell'ora trascorsa in compagnia di questa ennesima, magnifica prova del combo. Menzione a parte per "La Vista Del Bardo", autentico diamante neomedievale che ci rammenta quali siano le più profonde radici dei Nostri e che, se fosse stato scritto e cantato dai menestrelli dell'età feudale, sarebbe stato preservato e perpetrato con la cura che si impiega per qualcosa di estremamente prezioso, sino ad arrivare intatto ai giorni nostri. Verosimilmente l'opera più 'contemporanea' - anche in virtù dell'impeccabile produzione - degli Ataraxia e potenzialmente in grado di aprire ulteriori canali creativi per il futuro, eppure così indissolubilmente legata alla tradizione del combo emiliano da non tradire gli inconfondibili marchi di fabbrica forgiati attraverso una così lunga ed onorata carriera. E a noi, ancora una volta ammaliati da tanta e tale bellezza, non resta che plaudire allo spessore umano e creativo di cotanti inimitabili artisti.
Roberto Alessandro Filippozzi