27-06-2013
DARKRAD
"Abnormal Love"
(Cold Meat Industry)
Time: (46:55)
Rating : 6.5
Tempo di bilanci per capire cosa rimane della Cold Meat Industry, la casa svedese che ha saputo rivoluzionare e sdoganare meglio di ogni altro la vasta corrente post-industriale. I grandi nomi scoperti da Karmanik sono ormai migrati (quasi tutti) verso altre label e l'attenzione sembra volgere adesso su progetti nuovi, di cui è esempio il monicker russo DarkRad, qui al debutto assoluto. Ciò che balza subito all'occhio, al cospetto di questo CD, è un impoverimento della confezione segnata da un digipak scadente e da carta di bassa qualità, ma probabilmente la crisi si fa sentire anche nel settore musicale, per cui accontentiamoci e passiamo al contenuto. DarkRad è il progetto solista di Jana Komaritsa, in arte Jana Dark, finora nota essenzialmente come DJ e autrice di video-perfomance, ma dotata anche di una certa creatività sonora. Con "Abnormal Love" Jana prosegue sulla scia dark ambient tracciata dai decani svedesi, variando la ricetta con un lavoro a togliere: viene infatti diminuito il numero di arrangiamenti rumoristici (clangori, rintocchi, picchettìi e roba simile), mentre la struttura delle tracce appare più minimale, evitando accumuli eccessivi ed insistendo su partiture lineari incentrate sempre su un'oscurità totale. Nel CD trovano spazio brani 'puliti' incentrati su tappeti di synth univoci, doppiati da pulsazioni torbide, saliscendi tonali e rifiniture vocali femminili dal tono catacombale: da qui scaturiscono scenari filmici, oscuri e solitari, dotati di un buon appeal, ma anche di una certa prevedibilità. Altre tracce godono invece di una netta iniezione adrenalinica data dall'aggiunta di temi noise abrasivi, ma soprattutto di ritmiche furenti, che provocano una vera e propria esplosione di fuoco su fondali pacati e monocromi. Ne sono esempio la furia magmatica di "Odinokie", i battiti netti e marziali di "When They Scream" e "The Red", ed infine l'andamento spezzato ed urticante di "Mrakmur", memore di certo power-noise del passato rivisto con atteggiamento meno distruttivo. In fin dei conti niente di nuovo, solo un prosieguo onesto di un verbo ormai immortale, reintepretato con qualche lieve variazione e forse con meno mezzi rispetto a quanto ci si poteva aspettare. La resa audio nitida e cristallina (come di consueto il mastering è affidato alle cure di Peter Andersson) valorizza sia i silenzi che i boati, riuscendo a far splendere anche i passaggi meno brillanti. Un album a metà strada tra la ricerca di uno stile personale e l'attesa di una completa maturazione.
Michele Viali