21-07-2011
RAVENSCRY
"One Way Out"
(DreamCell 11/Aural Music)
Time: (51:01)
Rating : 8
Siamo alle solite: se un disco di questo calibro fosse stato concepito in Germania o negli States, questo gruppo stazionerebbe attualmente nell'olimpo dei grandi nomi. Tocca invece ribadire per l'ennesima vota quanto il nostro mercato sia impantanato nella superficialità, nonché privo di qualunque iniziativa verso ciò che si può definire 'arte'. Dopo l'omonimo EP di debutto, i Ravenscry ci regalano un album perfetto in quasi tutte le sue parti: il sound è pulito e cristallino, la tecnica ottima, i suoni e gli arrangiamenti curati a dovere. In un contesto così professionale, non ci si stupisce neppure di come un gruppo di Milano possa avvalersi di una cantante proveniente da Roma: quello che, geograficamente parlando, potrebbe essere considerato un disagio o un impedimento, risulta in realtà un perfetto matrimonio. La compattezza e la precisione dei quattro strumentisti, infatti, si fonde in modo perfetto con le melodie del cantato simil-lirico di Giulia. I ritmi serrati dell'accoppiata grancassa-basso alternano il metal più recente di gruppi come Soilwork al gothic metal di Lacuna Coil o Evanescence, mentre il timbro della cantante può essere definito a grandi linee come un incrocio tra la Skin più soave e l'altrettanto celeberrima Amy Lee. L'iniziale "Calliope" esplode un'energia viscerale ma incanalata chirurgicamente, contrapposta con la calma apparente delle fiabesche linee vocali; il singolo "Nobody" volteggia orgoglioso su paesaggi che evocano i primi Within Temptation e rappresenta in pieno l'ideale candidatura verso il circuito musicale che conta. Ma non di solo metal si tratta: sono presenti numerose programmazioni di innesti pianistici e atmosfere elettroniche soffuse, come nella parte iniziale di "A Starless Night", prima che il brano si adagi su di un incedere gothic che evoca in primis i The Gathering. Per non parlare della suite "Redemption", divisa in tre capitoli, il primo esclusivamente pianoforte e voce, il secondo sinfonico e il terzo nel canonico stile del quintetto, con un refrain ricercato e mirabolante nelle linee melodiche. Se però si può muovere una critica a questo pur ottimo disco, la si deve ricercare proprio nella mancanza di semplicità di un drumming eccessivamente 'progressivo' e dei refrain, che per quanto originali e particolari, difficilmente rimangono impressi dopo pochi ascolti. Se per alcuni questo può essere considerato un pregio, tuttavia ne costituisce oggettivamente la principale differenza con i grandi nomi, relegando "One Way Out" in una sorta di perfezione stilistica, ma non altrettanto sul piano compositivo per il mercato attuale. L'ascoltatore, molto spesso, non è musicista: nell'odierno 'usa e getta' del mondo musicale, smussare gli angoli potrebbe essere la mossa vincente per il meritato salto di qualità. A noi non resta che confermare la classe cristallina del combo milanese che, anche nella seconda parte dell'album, sciorina perle assolute come "Embrace", robusta e intricata nelle ritmiche, o "My Bitter Tale", dotata di un crescendo dal mood malinconico e trionfante. Auguro loro (e consiglio) di seguire l'esempio dei The LoveCrave o di altre band italiane di qualità, che ricercano il mercato estero piuttosto che quello nostrano, non in grado di supportare a dovere coloro che se lo meritano. Un disco da non perdere per un gruppo che, con l'aiuto di un po' di fortuna e delle dovute attenzioni, potrà sicuramente fare strada.
Silvio Oreste