27-04-2007
ATARAXIA
"Kremasta Nera"
(Ark/Masterpiece)
Time: (74:20)
Rating : 7
Quasi in contemporanea all'uscita del medianico "Paris Spleen" gli Ataraxia escono anche con questo "Kremasta Nera", che sposta l'attenzione in un periodo storico e in luoghi ben diversi. "Kremasta Nera" punta a ricreare le atmosfere pre-cristiane di nove rituali pagani che si svolgevano nell'isola di Samotracia, allorché vigeva ancora il politeismo ed i cicli della natura avevano un magico sentore. La musica si sviluppa a partire da elementi standard come la chitarra acustica e la voce (forse la vera base di tutta l'opera) di Francesca Vicoli, la quale da anni imprime un marchio indelebile ai prodotti degli Ataraxia. Ciò che dà un tocco aggiuntivo al tradizionale suono dell'ensemble modenese sono le percussioni di Riccardo Spaggiari, certo non un nome nuovo, ma che in questa occasione si prodiga nell'uso delle strumentazioni più ricercate, che rimandano a volte ad un tribalismo ancestrale e risultano fondamentali nel ricreare l'immagine di un oriente scomparso. I nostri riescono in pieno a ricostruire le atmosfere del passato partendo dagli strumenti, e non dalla facile scelta dei samples. L'opera risveglia la memoria del mare, di rocce bianche su cui si specchia il sole, ma soprattutto ha un qualcosa che rimanda al Mediterraneo del passato, a rituali oscuri di nobili civiltà, il tutto evitando l'uso dei tappeti di tastiere e sfruttando con formidabile sapienza percussioni sconosciute ai più, l'arpeggio della chitarra classica ed una voce in grado di aprire squarci nel passato e porte che la nostra mente non conosceva o aveva chiuso per sempre. Purtroppo la durata del disco è eccessiva e non aiuta l'ascolto: quasi 75 minuti sono davvero tanti e non permettono di gustare appieno le tracce, oltre ad aumentare il rischio di includere nell'album brani di certo dignitosi, ma non sempre all'altezza del resto dell'album. Quindi ci troviamo sia di fronte a tracce che non si dimenticano (su tutte "Kremasta Nera", "Fengari", "Migratio Animae" e "Wings") che a brani con meno anima il cui fine sembra quello di traghettarci lungo il percorso dell'opera, fornendo comunque un colore ambientale di tutto rispetto e sempre inerente alla magia del tema. Ciò che dà un immenso piacere è vedere come gran parte dei gruppi underground italiani riescano a cimentarsi con rievocazioni complesse di realtà nascoste o passate (ed in questo gli Ataraxia sono maestri indiscussi da anni). Non tradendo mai le aspettative e nonostante la grande difficoltà insita in concepì-album di questo livello, credo che ormai molti progetti nostrani siano riusciti a dar vita ad una raffinata e colta scia invidiata oltre i nostri confini.
Michele Viali