04-01-2010
ELAN VITALE
"My Deepest Purity"
(Autoproduzione)
Time: (45:25)
Rating : 6.5
Non è la prima volta che ci accingiamo a parlare di un artista che pur militando già in una band si cerca uno spazio solitario, quasi sempre di matrice elettronica digitale e strumentale. Questo perchè la sfida nell'appartenere ad un gruppo di musicisti è quasi tutta mediata tra il conseguimento ed il mantenimento degli equilibri, al fine di modulare un suono comune in cui l'individualità perde valore in favore del collettivo. Alcuni musicisti sentono invece il desiderio 'catartico' di esprimere il proprio io interiore nella solitudine compositiva: così è anche per Silvio Oreste ed il suo side-project Elan Vitale, laddove le principali energie sono proficuamente investite nella wave-band Favole Nere. Progetti che spesso nascono e muoiono in un solo album (ovviamente auguriamo a Silvio una vita compositiva lunga e luminosa), ma che anche in quel solo, unico disegno vengono convogliati in energie pure, personali, egoisticamente uniche. "My Deepest Purity" esalta la strumentazione digitale di Silvio in dieci momenti distinti, dieci piccole suite elettroniche che ruotano intorno ad un tema occulto nella diversità ma captabile nell'ascolto. Musica che principalmente si rivolge a sonorità eteree e luminose, barocche come in "Swedish Aurora", nella sensazione che una spinetta (o un clavicembalo) riviva nel moto andante dei tasti contrapposta alla base angelica, speculare ma attutita. Oscura e tesa, "Someone In The Garden" ha il sapore quasi cinematografico dell'attesa di quell'attimo da cogliere, senza fretta, ma snervante: lontanamente rimembra Morricone nell'istante in cui il fato, prima di compiersi, anche crudele, si concede lunghi attimi per meditare, capire, valutare. Sempre cinematografica (come può non esserlo una situazione strumentale?), "Siberian Aurora" ha la stessa vivacità angosciante del miglior Simonetti, in quegli anni '80 in cui votava la sua musica all'affinarsi con le immagini; l'attimo migliore lo vive proprio il finale dell'album, "How The End Is Always The Same", perfetta negli equilibri di un'ambient sinfonica miscelata con il jazz (stupenda la tromba o il sax, attraente nel caratterizzare le stasi). L'album soffre un po' nella prima parte, quando più tracce si richiamano variandosi, ma spegnendo il pathos nell'assomigliarsi o nel proporre tempi di bossanova digitale nel corpo ritmico. Silvio Oreste continua nella sua militanza nella band Favole Nere, però tante belle idee espresse in "My Deepest Purity" ci auguriamo non rimangano aloni fascinosi morti in quest'opera prima: basta credere in sé stessi, ed i solo-project sono proprio l'arma migliore per scavarsi dentro e portare in superficie la materia... Se questo non è underground...
Nicola Tenani
http://www.myspace.com/elanvitale