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29-12-2014
SIMON BALESTRAZZI
Impercettibili collisioni cristallizzate
di Michele Viali
É sempre stimolante entrare in contatto con un decano della musica elettronica come Simon Balestrazzi. L'incontro nasce dalla necessità di far luce sul piccolo gioiello perduto "Chaosphere", uscito a firma Tomografia Assiale Computerizzata. Un album rimasto 'nel cassetto' e rispolverato dopo circa 15 anni grazie all'interessamento della Old Europa Café. L'occasione è stata ghiotta per scandagliare il passato e il futuro di un musicista dotato di forte personalità, sempre alla ricerca di un percorso nuovo che sia il più possibile unico. Ancora una volta l'esperienza e la versatilità ci fanno capire come le novità nascano spesso dai grandi del passato, capaci di rivedere e superare quanto hanno già fatto in precedenza. Consigliando nuovamente la magia solitaria e sintetica di "Chaosphere", vi lasciamo alle parole di Simon, che suonano come un pezzo di storia dell'elettronica italiana.
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Simon, l'album "Chaosphere" è stato composto tra il 1997 e il 1998 a New York. Raccontaci cosa ti spinse a quei tempi a spostarti negli Stati Uniti e come la Grande Mela ha influito sulla genesi del disco...
"Ero stanco dell'Italia e dell'architettura. Ed ero ancora più stanco della scena gothic-industrial tedesca in cui bene o male i T.A.C. si erano impaludati. Mi trasferii negli States per studiare allo Institute Of Audio Research e per cambiare aria. Però buona parte del lavoro per "Chaosphere" era già stato progettato, almeno da un punto di vista concettuale, verso la fine del '96, quando andai per la prima volta a New York e vi passai alcuni mesi. Questo accadeva prima della fase di completamento di "Apotropaismo". Anzi, potrei dire che l'atmosfera di New York ha forse influenzato di più "Apotropaismo" che "Chaosphere". Fu nel grande melting-pot che nacque (o meglio, ri-nacque) l'esigenza di lavorare con strumenti autocostruiti e multietnici. E poi nel novembre (almeno credo) di quell'anno uscì "Pre-Millenium Tension" di Tricky, che mi costrinse a rendermi conto in modo indiscutibile e irreversibile che questo inglese, d'estrazione trip-hop e collaboratore di Massive Attack ("Karmacoma"!), era molto più oscuro e apocalittico, nonché genuinamente 'sperimentale', di un buon 90% degli artisti della scena dark-gothic-industrial europea... Una piccolissima epifania, che però mi costrinse a fare qualche ragionamento..."
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Le sonorità di "Chaosphere" sembrano distanti da ogni altro album di T.A.C. che hai realizzato. Il disco viene in particolare presentato come il 'sequel' di "Apotropaismo", ma sembra essere profondamente diverso dal suo predecessore. Credi che "Chaosphere" sia parte di un'evoluzione generale del tuo progetto musicale o è forse più prossimo ad un impeto creativo nuovo e senza precedenti?
"Come ti dicevo "Chaosphere", dal punto di vista della struttura sonora e del metodo di lavoro, è stato concepito contemporaneamente ad "Apotropaismo". Se ascolti attentamente "Apotropaismo", c'è già un substrato di elettronica analogica su cui poi si sovrappongono gli strati e le strutture successive. La realtà è che anche quell'album avrebbe potuto essere freddo ed esclusivamente elettronico/concreto se appunto, come ti dicevo, la mia prima visita americana non mi avesse influenzato così tanto. O meglio, mentre ero a NY per la prima volta, "Apotropaismo" passò dall'essere un album di sola elettronica ad un lavoro ricco di influenze etniche e con una lista di strumenti di una lunghezza 'imbarazzante'... E a quel punto, quando presi questa decisione, nacque l'idea del 'gemello', ovvero di un lavoro che recuperasse un suono elettronico, ma organico e primordiale."
"Quando uscì "Pre-Millenium Tension" di Tricky, mi costrinse a rendermi conto in modo indiscutibile e irreversibile che questo inglese, d'estrazione trip-hop e collaboratore di Massive Attack, era molto più oscuro e apocalittico, nonché genuinamente 'sperimentale', di un buon 90% degli artisti della scena dark-gothic-industrial europea... Una piccolissima epifania, che però mi costrinse a fare qualche ragionamento..."
(Simon Balestrazzi)
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Nel disco usi una strumentazione analogica dai suoni retrò: a cosa è dovuta questa scelta? Quali musicisti e correnti stilistiche hanno influenzato quest'album?
"Fondamentalmente quel suono così specifico è nato dal mio ritrovamento a NY di un vecchio sintetizzatore VCS3. Avevo pochissimi strumenti a disposizione: oltre al VCS3 avevo un Ensoniq ASR-10 e un vecchio Quadraverb di terza mano. Buona parte del materiale è stata registrata in presa diretta su DAT. Per molti brani la struttura era ben definita ed ho fatto parecchio uso di partiture grafiche. Da un lato certamente era un ritorno, forzato ma gradito, ad una tecnologia 'pionieristica', ma dall'altro c'era tutta la nuova elettronica che recuperava il suono analogico, con in testa i Pan Sonic, che forse ben pochi negli ambiti che frequentavo ai tempi conoscevano... Mi risulta difficile dire cosa mi abbia influenzato, ma molto del materiale che ho campionato viene da lavori di musica contemporanea, Dumitrescu, Parmegiani, Xenakis, Reibel, anche se pesantemente filtrati e trattati, oltre che dai suoni dei miei ARP Odyssey e MS-10 che mi ero portato dall'Italia."
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Come mai non pubblicasti l'album all'epoca del suo concepimento? E cosa ti ha spinto a stamparlo adesso?
"Molto semplice: all'epoca nessuno l'ha voluto pubblicare, mentre ora lo volevano diverse labels... Nel 1998, nel giro più vicino a certo gothic a cui ero legato per via della mia militanza nei Kirlian Camera, quel tipo di suono era considerato parecchio indigesto e uncool... Adesso che l'analogico va tanto di moda, invece..."
"Mi è sempre interessato confrontarmi con linguaggi diversi e con musicisti dalle più svariate estrazioni. Quando ho preso la decisione di abbandonare la comoda ma noiosa nicchia gothic-industrial, mi sono sentito finalmente libero di sperimentare a 360 gradi. Se però c'è una cosa che evito sono gli 'stili': cerco, anche se magari non sempre ci riesco, di averne uno mio..."
(Simon Balestrazzi)
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Il disco è ispirato ai film di Tarkovskij "Solaris" e "Stalker". In che modo hai cercato di tradurre in musica l'effetto di queste pellicole? Cosa ti ha affascinato di esse?
"No, ecco, non ho assolutamente cercato di 'tradurre in musica' quei film. Queste due pellicole sono sempre state una mia fissazione, tanto quanto i romanzi di Lem e dei fratelli Strugackij da cui sono tratti. La caratteristica che mi ha affascinato e con cui ho trovato una grande sintonia è il senso di solitudine e la sottile visionarietà delle immagini."
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La musica di "Solaris" è stata composta anche con l'ausilio del vecchio sintetizzatore ANS. Trovo il suono di questo marchingegno molto seducente (l'ho apprezzato soprattutto nei componimenti di Alfred Schnittke) e in assoluto vicino alle sensazioni di solitudine e algida visionarietà che hai appena citato. Colgo l'occasione per chiederti se lo hai mai usato e quale opinione hai al riguardo, considerando il tuo interesse per il suono analogico...
"Purtroppo non ho mai avuto la possibilità di usarlo... L'unico esemplare esistente si trova a Mosca al Museo Glinka, e temo non sia poi così facile accedervi per una registrazione. L'idea di come funziona, ovvero traducendo in suono la luce che attraversa disegni graffiati su dischi di vetro, e le possibilità microtonali mi interessano moltissimo. Figurati che da quasi un anno, su consiglio di John Duncan, ho ripreso dopo parecchio tempo a lavorare con Metasynth, un software che applica principi tutto sommato simili. La nuova versione mi sta dando molte soddisfazioni, forse presto pubblicherò qualcosa, ma mettere le mani sull' ANS sarebbe fantastico!"
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Come mai hai deciso di lasciare successivamente gli States? Cosa ti è rimasto da un punto di visto artistico e musicale di quel soggiorno?
"Sono rientrato in Italia prima del previsto per motivi extramusicali. Sicuramente mi è rimasto un background tecnico piuttosto solido per quello che riguarda il sound engineering."
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Il progetto T.A.C. è in sonno ormai dal 2007 (correggimi se sbaglio). A cosa è dovuto questo lungo periodo di silenzio? Ci sarà a breve un ritorno?
"Quando una band, o meglio, un progetto rimane in attività per 25 anni, c'è sempre un momento in cui è meglio staccare la spina. Nello specifico, per una serie di coincidenze sfortunate (il trasferimento e l'abbandono della nostra nuova chitarrista, lo smantellamento del mio studio) interrompemmo a metà un nuovo album. Quando a distanza di più di un anno fu possibile rimettersi al lavoro non eravamo più convinti di quello che avevamo fatto e di quello che la band poteva diventare, ed optai per uno stop a tempo indeterminato. Un ritorno magari sarà possibile, ma non c'è nessun programma a tal proposito..."
"Da quando la storia e il senso del tempo si sono 'fermati', il futuro è scomparso lasciando un indistinto eterno presente in cui l'unico prodotto che funziona ancora è la 'nostalgia'... Quello che manca in molti giovani musicisti è proprio lo stile, nel senso di quei tratti che caratterizzano il linguaggio esclusivo di un artista, finendo per appiattirsi invece sul genere dominante, di maniera, privo di ricerca e di urgenza..."
(Simon Balestrazzi)
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Per contro negli ultimi anni hai dato vita ad altri progetti e a varie collaborazioni (Candor Chasma, A Sphere Of Simple Green, Dream Weapon Ritual, Sarang), oltre che ad alcuni dischi firmati direttamente a tuo nome. Quali direzioni e quali stili hai sondato nelle produzioni più recenti?
"Mi è sempre interessato confrontarmi con linguaggi diversi e con musicisti dalle più svariate estrazioni. Quando nel 1997 ho preso la decisione di abbandonare quella comoda ma noiosa nicchia a cui accennavo prima, mi sono sentito finalmente libero di sperimentare a 360 gradi. Quello che ho pubblicato è solo una piccola parte di quello che ho registrato o dei percorsi che ho intrapreso... E poi ci sono state tante nuove esperienze 'formative', come un interessantissimo workshop con Tim Hodgkinson (Henry Cow, The Work, etc.) che mi ha fatto capire cosa realmente significasse 'improvvisare', o i progetti di contaminazione etnica con Clara Murtas (già voce del Canzoniere Del Lazio), o il suonare, oltre che registrarlo, nell'album di 'fine carriera' dei free rockers Bron Y Aur, o ancora il lavoro mio e di Alessandro Olla, live e in studio, con tre furie della natura come Ikue Mori, Maja Ratkje e Sylvie Courvoisier e due mostri sacri come Z'EV e Max Eastley... Se però c'è una cosa che evito sono gli 'stili': cerco, anche se magari non sempre ci riesco, di averne uno mio..."
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A proposito di 'stile', credi che attualmente la codificazione degli stili stia condizionando più che in passato la diffusione di autori capaci di sperimentare soluzioni nuove e personali? Noto che si insiste molto - sia nel settore indipendente che tra le major - su una costante riproposizione degli stessi schemi compositivi, evitando di scommettere su album interessanti ma decisamente fuori dal coro...
"Se per stili codificati intendi generi musicali, sono assolutamente d'accordo con te. D'altra parte, da quando la storia e il senso del tempo si sono 'fermati', il futuro è scomparso lasciando un indistinto eterno presente in cui l'unico prodotto che funziona ancora è la 'nostalgia'... Ecco, quello che manca in molti giovani musicisti è proprio lo stile, nel senso di quei tratti che caratterizzano il linguaggio esclusivo di un artista, finendo per appiattirsi invece sul genere dominante, di maniera, privo di ricerca e di urgenza."
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