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19-06-2013
EFFTER
A Berlino... va meglio
di Roberto Alessandro Filippozzi
Facile parafrasare una celeberrima hit di Garbo dopo aver ascoltato la storia degli EFFTER, duo milanese che ha trovato fortuna proprio in quella Berlino che rimane un punto fermo della scena tedesca, che come è noto risulta semplicemente la migliore per qualunque progetto musicale che abbia deciso di esplorare i meandri dei suoni a tinte scure. Giunti con "Comorbidity" al traguardo del secondo album dopo l'ottimo esordio "Bilateral602", ben supportati da una realtà florida come la Danse Macabre di Bruno Kramm (Das Ich), questi due nostri connazionali si stanno facendo largo grazie alla qualità del loro micidiale sound electro-industrial-metal, dimostrando una volta in più come la scena italiana sia ricca di gruppi di assoluto spessore, ma ribadendo altresì come questi debbano guardare fuori dai confini nazionali per cercare i dovuti riscontri, e questo per colpa di un pubblico sempre più svogliato e mai partecipe nella giusta misura. Onore a Frank e JQR, i quali hanno preferito rimettersi in gioco altrove anziché starsene qui a contemplare l'inesorabile declino della scena italiana, dove le band non raccolgono neppure minimamente quanto meritano da parte di quello che ha ancora la pretesa di definirsi un pubblico. Ci è parso quindi semplicemente doveroso dare spazio ad un progetto che, pur da centinaia e centinaia di chilometri di distanza, sta dando un contributo molto importante per tenere alto il buon nome dell'Italia nel panorama musicale a noi caro...
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Siete entrambi di Milano, ma vi siete conosciuti a Berlino, dove poi avete fondato la band. Volete raccontarci di questo vostro incontro, della successiva genesi di EFFTER e dei motivi che vi hanno spinti a scegliere questo nome per il vostro progetto comune?
Frank: "Nell'estate del 2009 ho conosciuto un musicista italiano trasferitosi qui a Berlino. Costui conosceva già JQR e una sera ci ha presentati, proponendoci l'idea di un trio. Dopo un paio di prove ci siamo resi conto che la cosa non avrebbe funzionato, ma tra me e JQR c'era una buona intesa. Così decidemmo di andare avanti in due e vedere dove questa intesa ci avrebbe portato. Avevamo gusti e background musicali praticamente opposti, e l'idea di fondere queste estreme differenze per creare il nostro sound risultava ad entrambi tremendamente affascinante."
JQR: "Il nome deriva da Artur Heffter, un chimico e farmacologo tedesco famoso per aver isolato, nel 1897, la mescalina dal Peyote. Abbiamo preferito omettere la H dal nome, per estetica e per personalizzarlo.
Anche se non siamo consumatori di droghe, siamo entrambi interessati alla psiche umana e all'effetto che le droghe psichedeliche hanno su di essa. Da qui abbiamo poi esteso il nostro interesse alle patologie psicologiche e alla criminologia, temi quasi sempre ricorrenti nei nostri testi."
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Sin dagli inizi il vostro suono si è mosso su coordinate electro-industrial-metal: cosa vi ha spinti a muovervi in questa direzione, e cosa significano per voi rispettivamente il metal e l'electro-industrial?
Frank: "Io amo la musica, dalla classica al blues fino al death metal, ma le band che mi hanno letteralmente cresciuto sono Megadeth, Slayer, Pantera e, praticamente fin dalla nascita, Depeche Mode e il pop degli anni '80.
Era un bisogno urgente da soddisfare quello di creare qualcosa a metà strada tra questi due filoni musicali. Poi è arrivato JQR, con un vastissimo bagaglio che va dall'elettronica all'hip hop passando per il noise, generi a me quasi del tutto sconosciuti all'epoca del nostro incontro. Non potevamo far di meglio che 'nutrirci' l'uno delle passioni dell'altro e dar vita a quello che poi è diventato il sound degli EFFTER."
JQR: "Ho anch'io radici metal e adoro mischiare i generi, anche se ormai è quasi ridicolo catalogare alcune nuove proposte musicali.
'Electro-industrial' è infatti solo una comoda etichetta per identificare quello che facciamo. Per esteso la nostra proposta musicale può definirsi un incontro tra riff metal, elettronica, piano classico e sezione ritmica principalmente breakbeat. In sostanza, si fa prima ad ascoltarci!"
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Vi sono bastati un paio d'anni e la pubblicazione di una manciata di EP in formato digitale per conquistarvi la possibilità di esordire ufficialmente per la titolata Danse Macabre con l'album "Bilateral602": come siete venuti in contatto con la label e come si è sviluppato il vostro sodalizio? Siete soddisfatti del supporto che questa riesce a fornirvi?
JQR: "L'incontro con Danse Macabre avvenne nel 2011 in maniera molto casuale. Non abbiamo fatto altro che spedire alcuni nostri brani a diverse etichette, e dopo pochissimo tempo abbiamo ricevuto un'e-mail da Bruno Kramm che ci accoglieva a braccia aperte nel suo roster, contentissimo di aver trovato in noi una proposta differente dall'ambito prettamente industrial-EBM che era solito trattare."
Frank: "Questo successe nel mese di febbraio, e il 27 Maggio 2011 il debut album "Bilateral602" era nei negozi. Poche settimane dopo ci diedero il grande privilegio di suonare sul palco del rinomato Wave Gotik Treffen di Lipsia. Di questo e di molte altre occasioni avute finora siamo molto grati. I nostri rapporti con Bruno sono ottimi, ed anche se per esibirsi live e imporre il proprio sound bisogna sempre lottare, Danse Macabre ci supporta e crede molto nelle nostre capacità."
"Nel nuovo lavoro ho cercato di estendere il discorso alle patologie mentali, primo tra tutti il disturbo dissociativo dell'identità, passando dalle parafilie più perverse alla paranoia e facendo apparire l'album come un viaggio in discesa dai prodromi di un malessere psicologico alla completa follia..."
(Frank)
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Dopo un ottimo album d'esordio siete tornati di recente col successore "Comorbidity", che risulta molto più completo ed efficace senza perdere la rotta tracciata con "Bilateral602", merito anche di una voce 'clean' dalle venature dark sfruttata con più saggezza e di chitarre dosate ancor meglio che in passato: quali differenze vi sono state nella lavorazione dei due lavori, e come li giudicate l'uno confronto all'altro?
Frank: "..."Bilateral602" è stato una sorta di prova generale di quello che io e JQR potevamo creare insieme. È nato giorno per giorno, senza un vero e proprio piano di lavoro. Io avevo in mente i miei riff, di cui molti erano in cantiere per eventuali progetti personali, e JQR aveva da parte alcune sequenze ritmiche contorte con venature noise e una gran quantità di idee per atmosfere e suoni sintetici. Avevo iniziato a suonare il piano e le tastiere nemmeno un anno prima che ci conoscessimo, e la semplicità dei miei primi approcci pianistici è stata inserita molto bene in un contesto oscuro e a tratti contorto. Poi sono venuti alla luce i primi esperimenti con la voce distorta, e così via.
Abbiamo creato una serie di 'mezzi brani' che abbiamo via via completato gradualmente, mentre procedevamo con il conoscerci meglio l'un l'altro capendo dove potevamo arrivare, almeno fino a quel momento. Completati gli 11 brani, l'ascolto finale del lavoro fatto è stato una piacevolissima sorpresa, così come lo è stata per la Danse Macabre, ma era chiaro che potevamo ambire da lì in poi a qualcosa di molto più grande, in termini di composizione e produzione."
JQR: "..."Comorbidity" è invece il frutto di un lavoro quasi opposto rispetto al suo predecessore. Ogni minimo suono e ogni riff sono stati discussi, a volte in maniera anche piuttosto animata, da me e Frank. Ci siamo ritrovati più volte a scontrarci, come non sarebbe potuto accadere quando eravamo poco più che conoscenti. Siamo stati entrambi meno timidi nel proporci le nostre idee, e prima di chiudere un brano ci assicuravamo, riascoltandolo più e più volte, che fosse davvero completo e perfetto al nostro ascolto. "Bilateral602" è un lavoro istintivo, "Comorbidity" un'opera complessa quasi studiata a tavolino. Non mi sento di fare confronti tra i due album, posso solo dirti che li amo entrambi allo stesso modo."
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Il piano resta uno strumento-cardine nel vostro songwriting, essenziale per enfatizzare il lato cinematico di EFFTER: quanto deve l'efficacia dei vostri brani a questa precisa componente dell'intreccio melodico?
JQR: "Il piano si può considerare la ciliegina sulla torta dei nostri brani. È perfetto per portare a livelli superiori le nostre atmosfere, e godiamo da sempre del contrasto che uno strumento così mite possa avere in un contesto electro-metal. Non ne faremmo mai a meno!"
Frank: "Personalmente ho dalla mia parte anche l'entusiasmo di suonarlo relativamente da pochissimo tempo. Ho iniziato nell'estate del 2008 da autodidatta, un po' per gioco. Non immaginavo di poter dar vita ad un progetto dove avrei suonato seriamente il piano, e ancor meno immaginavo di poter creare qualcosa in cui questo sarebbe risultato uno strumento essenziale che avrebbe contraddistinto il sound della band."
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Senza dubbio uno degli aspetti che rende la vostra musica così efficace e ben plasmata è l'eccellente produzione, frutto di un serio lavoro sui dettagli: sono poi questi a fare la differenza, almeno per quanto vi concerne, oppure guardate con più attenzione ad una resa granitica del suono?
Frank: "Credo che il nostro maggiore punto di forza stia nel fatto che io sia prettamente un musicista e JQR un ingegnere del suono. Io bado alla composizione melodica in ogni sfumatura e dettaglio, JQR - oltre ad un eccellente lavoro di sound engineering - compone basi ritmiche di grande effetto, piuttosto che loop e atmosfere, ed arricchisce e modifica ogni singolo suono. Nel tempo io ho imparato a dire la mia sul suo lavoro e a rendermi un po' più utile su quel fronte, e viceversa."
JQR: "A livello di produzione molto tempo viene speso per costruire i singoli suoni con synth hardware, mixando per esempio tre o quattro diverse macchine e facendole interagire tra loro, aggiungendo effetti e manipolando, e solo alla fine registrando un buon suono che si amalgami al mix.
Non sono un amante dei soft-synth: benché siano strepitosi ed estremamente affidabili anche dal punto di vista sonoro, preferisco toccare potenziometri e perdermi nella programmazione."
"Quando sono arrivato a Berlino, mi sembrava di essere su un altro pianeta. Ho visto una miriade di gruppi underground esibirsi ovunque, alcuni ottimi, altri meno, altri ancora molto meno, ma in tutti i casi c'era e c'è sempre un pubblico attento e aperto alle novità..."
(Frank)
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L'altro vostro asso nella manica è, a mio avviso, la vostra innata capacità di far convivere un pathos tangibile con una furia spiccatamente metallica: due facce di un'unica anima, oppure due canali espressivi entrambi irrinunciabili per voi?
Frank: "Questo lo si deve all'enorme varietà di musica che io e JQR ascoltiamo da tutta una vita. Chiaramente le nostre preferenze vengono a galla in fase di composizione. Personalmente posso passare dall'ascolto di thrash e death metal a Mozart, piuttosto che dal blues old school a 'orgogli italiani' come il grande Franco Battiato, con lo stesso entusiasmo.
Effettivamente però, se mi devo esprimere, ed essendo prima di tutto un chitarrista, il mio canale d'espressione vira decisamente sul metal, sulla potenza e l'impatto."
JQR: "Un po' di furia credo arrivi anche dall'elettronica però! Io sono magari più propenso a perdermi in droni e microsuoni, preferendo il minimalismo. Sicuramente i miei tempi espressivi sono più dilatati, ma fortunatamente in un progetto come EFFTER tutto questo può convivere. Per esempio, ci piace molto sorprendere l'ascoltatore (e noi stessi) con lenti stacchi sincopati nel bel mezzo di una cavalcata thrash."
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Venendo ai contenuti concettuali, quali idee ruotano attorno ad un gioco di parole come "Comorbidity" e quali argomenti avete inteso affrontare coi nuovi testi?
Frank: "Come detto all'inizio, io e JQR siamo entrambi appassionati di psicologia e criminologia. Ho scritto io i testi di "Bilateral602", in prevalenza riguardanti il tema dei serial killer. In questo nuovo lavoro ho cercato invece di estendere il discorso alle patologie mentali, primo tra tutti il disturbo dissociativo dell'identità, passando dalle parafilie più perverse alla paranoia e facendo apparire l'album come un viaggio in discesa dai prodromi di un malessere psicologico alla completa follia. Per 'comorbidità' si intende quel fenomeno per cui in un singolo individuo sono presenti due o più disturbi di differente origine. Immagina un individuo con 11 differenti disturbi mentali (corrispondenti agli 11 brani contenuti nell'album), ed ecco l'origine di "Comorbidity"."
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Se è vero che l'album funziona da capo a fondo, è altrettanto vero che siete una band col potenziale per realizzare dei singoli, ed "Antropophobic" sembra avere le carte in regola per diventare il primo di essi ad essere estratto da "Comorbidity": si farà qualcosa in tal senso? E qual è comunque il vostro pensiero al riguardo?
JQR: "Non avevamo pensato ad "Antropophobic" come singolo, ma grazie del suggerimento! In realtà a gennaio, circa un mese e mezzo prima dell'uscita dell'album, abbiamo pubblicato gratuitamente sul nostro blog un EP contenente il brano "Mens Rea", per il quale è stato poi girato un videoclip ufficiale, uscito il 1 Marzo. Probabilmente non è uno dei pezzi più veloci o d'impatto per un primo singolo, ma sicuramente è tra i più completi e complessi, e volevamo scegliere un brano che desse una chiara immagine di tutto quello che "Comorbidity" avrebbe potuto offrire. Ora siamo in procinto di pubblicare il singolo di "300.12", e non sarà l'ultimo estratto del nuovo album!"
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Sicuramente vi interessano molto le uscite brevi in free download, ed infatti avete appena rilasciato l'EP "Black Mad Lullaby", contenente tre pazzesche cover di Cure, Depeche Mode e Tears For Fears che sono dei veri e propri collage di loro momenti celeberrimi, da voi riletti col piglio che vi contraddistingue: quale approccio vi guida nel plasmare una cover, e perché avete inteso rendere omaggio proprio a questi tre momenti d'oro degli anni '80?
Frank: "Quella della cover è un'esperienza che avevo in mente di fare da tempo, a differenza di JQR che all'inizio non era molto convinto. Come hai potuto sentire, non abbiamo creato cover nella maniera 'classica', ma abbiamo pensato a reinventare tre canzoni del passato a modo nostro.
La scelta dei brani è stata mia, in quanto era doveroso per me omaggiare Depeche Mode, Tears For Fears e The Cure: tre band che mi hanno dato più di ogni altre lezioni di stile e di approccio melodico. JQR mi ha dato l'ok, anche se questi gruppi non sono esattamente tra i suoi preferiti, ma questo è stato il bello: rifare tre canzoni in modo da provare rinnovato piacere e gusto nell'ascoltarle da parte mia, ed iniziare ad amarle da modificate per JQR!"
JQR: "Io effettivamente non ero molto convinto all'inizio, ma l'idea di poter dare un mio punto di vista ritmico a brani che non mi appartengono appieno mi stuzzicava molto. Nel corso della produzione ci siamo poi divertiti ad aggiungere altre citazioni all'interno dei brani, per esempio "Lullaby" si apre con una nostra rivisitazione di una famosa ninna nanna americana intitolata "All The Pretty Little Horses".
Da qui in poi abbiamo proseguito con questa logica: accomunare melodie, o parti di più brani, in uno solo. Con "Black Celebration" abbiamo portato all'estremo quest'idea, creando un collage di melodie al piano tratte da 5 differenti brani di quel magnifico disco e fondendo insieme 3 differenti testi. In "Mad World", invece, noterai a più riprese la presenza del ritornello di "Shout", un'altra grande hit dei Tears For Fears."
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Venendo ai progetti futuri, cosa bolle in pentola sul versante discografico, su quello live e su qualunque altro eventuale fronte che riguardi EFFTER?
JQR: "Molto importante per noi è il continuare a studiare le nostre macchine, sviluppare nuovi suoni ed espandere la nostra palette sonora, e gli EP sono il media perfetto per sperimentare.
A breve avremo un'idea definitiva di come scrivere il prossimo disco e inizieremo nello sviluppo, credo che ci porterà in territori da noi finora inesplorati e siamo molto curiosi di sapere cosa potremmo creare.
Nel frattempo abbiamo anche perfezionato il nostro set live e stiamo lavorando per migliorarlo sempre di più."
Frank: "Puntiamo ad avere tanti tanti live! Ora l'importante è anche supportare on stage il nuovo album e far viaggiare il nostro nome. Per il resto, come diceva JQR ci sono un sacco di novità in cantiere: nuovi EP, remix, videoclip ufficiali e non. Tenete d'occhio il nostro sito e il nostro blog e non ve ne pentirete!"
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Che rapporto avete con la scena italiana e come la vivete, da 'esuli' nel miglior paese possibile per la musica a tinte dark? Qui il pubblico è sempre meno, e quei pochi sembrano non accorgersi della grande qualità delle band italiane: voi che percezione avete di come vanno le cose qui da noi, e quale messaggio vorreste lasciare a chi ancora non vi conosce nel nostro Paese?
Frank: "Se io e JQR ci siamo trasferiti stabilmente a Berlino è perché in Italia la situazione artistica era al collasso. Ho inciso due album con una band come chitarrista, uno come cantante, e uno poco prima di partire per la Germania in qualità di polistrumentista.
Non mi ritengo un genio né ritengo geniali i miei progetti o le band in cui ho suonato, ma di sicuro c'era del materiale valido da ascoltare e una dimensione live da apprezzare. Ho avuto ottime recensioni all'estero e tante possibilità di suonare in Europa. Intanto in Italia era il boom delle tribute e cover band. I gestori dei locali volevano gente: "Se portate tanto pubblico potete suonare" era la frase tipica. Almeno nel mio ambito (rock-metal) c'era sempre meno gente disposta ad ascoltare cose nuove. Nessun interesse, nessun entusiasmo. Quando sono arrivato a Berlino, mi sembrava di essere su un altro pianeta. Ho visto una miriade di gruppi underground esibirsi ovunque, alcuni ottimi, altri meno, altri ancora molto meno, ma in tutti i casi c'era e c'è sempre un pubblico attento e aperto alle novità. Quello che ho da dire agli italiani è questo: aprite le orecchie e la mente. Non voglio nemmeno dirlo per gli EFFTER, ma per le decine - e forse centinaia - di band italiane che hanno del grandissimo potenziale e non possono esprimerlo perché nessuno gli dà né un palcoscenico, né un attimo di attenzione."
"Ogni città tedesca ha una scena underground viva e fremente, mentre purtroppo in Italia un progetto come il nostro non sarebbe nemmeno stato preso in considerazione... Possiamo dire che l'esserci trasferiti in Germania è stata quasi una vera e propria salvezza!"
(JQR)
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Siamo alla fine: a posteriori, quanto è stato importante sviluppare la vostra carriera in un Paese come la Germania, e quanto pensate di dovere in tal senso alla scena teutonica?
JQR: "Come ha detto Frank, qui la gente ascolta. È essenziale per una band venire ascoltata, e qui è il posto giusto. Paradossalmente noi abitiamo nella città dove già da tempo risulta più difficile emergere e suonare con una certa costanza. Berlino è strapiena di artisti e la lotta per imporsi è sempre più ardua. Ma abbiamo suonato in altre città tedesche come Lipsia o Chemnitz, e suoneremo presto ad Amburgo e Dresda. Ogni città ha una scena underground viva e fremente. E purtroppo in Italia un progetto come il nostro non sarebbe nemmeno stato preso in considerazione. Possiamo dire che l'esserci trasferiti in Germania è stata quasi una vera e propria salvezza."
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