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28-07-2011
GIOVANNI ROSSI
Percorsi industriali
di Michele Viali
Questa intervista fu inizialmente concepita per una rivista, ma - come si sa - lo spazio è tiranno quando ci si muove sulla carta, per cui buon parte del testo è rimasto inedito. La qualità dell'articolo era tale che abbiamo pensato di proporvi qui la versione integrale, a nostro dire necessaria per approfondire ancor di più il titanico volume di Giovanni Rossi, ma uitle anche per ampliare la conoscenza del tema. Infatti la bibliografia sull'argomento 'industrial' è assai ridotta, e ancor di più le tesi che mirano a ricostruirne attivamente gli sviluppi, senza fermarsi ad una mera analisi cronologica. Di norma ci si affida alle voci dei diretti interessati, alle fanzine, alle riviste, alle fonti dirette, ma di testi che analizzino la struttura del fenomeno nel suo insieme ce ne sono ben pochi. "Industrial r[E]volution" è tra questi pochi, ed ha il pregio di ripercorrere la storia del movimento cercando di motivarne le ramificazioni, applicandovi una prospettiva di lettura personale e ambiziosa. Il lavoro di Giovanni è teso a stimolare il pensiero e a superare la limitante descrizione storica o - peggio ancora - un anonimo elenco di nomi. Già dalle risposte pubblicate qui di seguito potrete rendervi conto della portata qualitativa e quantitativa di questo imperdibile libro.
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Il tuo è un lavoro dalla mole quantitativa e qualitativa non indifferente, frutto sia di una notevole ricerca documentaria che di una passione smodata... Vuoi raccontarcene la genesi?
"L'idea di scrivere questo libro è nata in seguito alla forte passione per questa scena: una vita ad ascoltare musica industriale e diversi anni di collaborazione con la rivista :Ritual:. In tutto questo tempo ho consumato avidamente ogni CD, album, cassetta o DVD che mi passava sotto mano e, con il passare del tempo, la voglia di dare ordine al tutto si è fatta sempre più strada. Far parlare gli stessi protagonisti di questa scena mi è sembrato il modo migliore per raccontarla. Così ho cercato di limitare al massimo i contributi già conosciuti come siti web ufficiali o interviste già pubblicate, focalizzandomi al 99% su materiale nuovo e inedito. Così è nato "Industrial [r]Evolution", dopo quasi tre anni di raccolta di testimonianze e oltre duemila cartelle di interviste."
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In che modo e misura incide il concetto di 'evoluzione' nella tua analisi sul movimento industrial?
"Fin dalla sua origine, l'industrial non ha mai guardato né a se stesso, né alle proprie spalle. Grazie a questa costante voglia di rottura degli schemi e di sperimentalismo, dall'industrial sono nate importanti ramificazioni come power electronics, dark ambient, industrial metal o EBM, solo per citarne alcune. Parlando in generale, proprio per la sua origine sanguigna e underground, l'assenza di ogni legame con il mainstream non ha mai costretto gli artisti industriali a scendere a compromessi con la propria creatività, facendoli sottostare solo alla propria ispirazione ed alla genuinità di questa. Questo ragionamento è stato portato avanti con estrema coerenza da moltissimi gruppi che hanno preferito terminare la propria attività prematuramente ritenendo esaurito il proprio compito, piuttosto che trascinarsi in repliche stantie di sé stessi. Evolvere o morire: una sorta di darwinismo musicale."
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Hai allargato i confini del genere industrial propriamente detto a progetti e diramazioni che i puristi tendono ad escludere... Penso ad esempio alla prima corrente EBM, al metal-industrial o a nomi più mainstream come Marilyn Manson... Da cosa dipende questa decisione?
"Sono stati gli stessi protagonisti di questa scena ad allargare le maglie dell'etichetta. Partendo dagli esponenti dell''old school', quelli provenienti dai primi anni di sviluppo del movimento, ho scoperto come molti di loro vedessero in modo diverso la linea evolutiva percorsa dal genere. Per alcuni l'industrial è mutato naturalmente in industrial metal, per altri in dark ambient, per altri ancora in EBM, così la scelta di indagare figli e figliastri è stata suggerita dagli stessi protagonisti che hanno dato forma al movimento iniziale. In alcuni casi, come Marilyn Manson, gli apparentamenti con l'industrial si riducono decisamente ai minimi termini, e di fatto nel libro vengono citati in via del tutto incidentale, ma talvolta fa riflettere come molto pubblico identifichi alcune sonorità come industriali. Ed anche di questo bisogna tenere conto. Come bisogna tener conto del fatto che persino molti dei padri del genere come Z'EV, Foetus o Nigel Ayers, oggi, rifiutano con sdegno l'etichetta di artisti industriali!"
"Non penso che si possa parlare dell'industrial come di una scena uniforme e con un'unica identità: bisogna saperne accettare le differenze, rendendosi conto delle mille sfaccettature di cui si compone questo incredibile mondo..."
(Giovanni Rossi)
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In origine 'industrial' era sinonimo di provocazione: quanto è rimasto dell'aggressività di nomi come Throbbing Gristle o SPK nelle band di oggi? La provocazione è diventata business o c'è ancora qualcuno che riesce a scuotere gli animi?
"Oggi esistono moltissimi gruppi strettamente apparentati con l'industrial delle origini. Se parliamo di aggressività, tante formazioni non hanno nulla da invidiare ai padrini del genere. Anche la voglia di scambiare nastri o CD è tuttora molto viva nell'underground e mi capita anche in questi giorni di frequentare festival o serate in cui i gruppi si dedicano a questa sorta di mail art contemporanea. L'aspetto che si è un po' perso nel tempo è il forte legame con la performance art, di cui i Throbbing Gristle erano maestri quanto a provocazione e tattica di shock. Ed essendo una scena di nicchia, sono pochi gli artisti industriali che pretendono di sfondare nel mainstream, anzi, esiste una forte consapevolezza circa l'indipendenza ed incontaminazione di gran parte della scena dalle dinamiche di business."
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Quanto secondo te il verbo industriale è stato fagocitato dal grande mercato discografico? I primi 'anti-musicisti' sono ormai stampati da major così come alcuni dei grandi nomi più recenti da te citati...
"In alcuni casi il nome di culto ha raccolto interesse anche al di fuori della scena attirando la curiosità delle major, penso al caso dei Controlled Bleeding. In altri casi sono state la major stesse a scommettere su artisti underground portandoli ad un pubblico più vasto. In entrambi i casi si è iniziato a parlare di più di musica industriale, e questo ha suscitato l'appetito dei curiosi e la lungimiranza di numerose etichette che si sono lanciate in operazioni di riscoperta di intere discografie, penso ai casi di artisti diversissimi tra loro come Maurizio Bianchi o Front 242. Qualcuno è rimasto più fedele alle origini, altri no. Impossibile generalizzare."
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A differenza di tanta musica pop, il filone da te analizzato ha sempre goduto di un certo feticismo per il supporto discografico - sia esso CD, LP, nastro o altro - spesso anche molto curato. Nell'era degli mp3 e della musica a portata di download, credi che il pubblico dell'industrial stia abbandonando l'oggetto-disco?
"Penso che il declino dell'oggetto disco, nonostante periodici reflussi, sia un processo irreversibile. Nonostante questo è sorprendente come l'industrial sia riuscito a mutare ed adattarsi alle nuove tecnologie comunicative ed alle abitudini del pubblico. Si va dalle pubblicazioni completamente copy-left, e free dowload, alle edizioni ultra-limitate in box lavorati a mano. Le propaggini fisiche della musica industrial sono tra le più interessanti e fantasiose che si possano reperire sul mercato e il pubblico industriale è ancora fortemente legato alla materia. E chi fa musica in questa scena lo sa bene."
"Sono pochi gli artisti industriali che pretendono di sfondare nel mainstream, anzi, esiste una forte consapevolezza circa l'indipendenza ed incontaminazione di gran parte della scena dalle dinamiche di business..."
(Giovanni Rossi)
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Credi sia sempre lecito spingersi oltre nel 'gioco' della provocazione tipico di tante band da te trattate? O in alcuni casi l'eccesso diventa pericoloso se non addirittura illegale? Penso a nomi come Boyd Rice e Peter Sotos... ma ce ne sono indubbiamente altri...
"Spesso gli iniziatori hanno danzato sui labili equilibri della legalità, anche se gli sconfinamenti nell'illecito non sono mai stati un assunto paradigmatico di questa scena, persino nel periodo in cui questo genere ha mosso i primi passi. Vi sono stati tuttavia un buon numero di artisti che spesso e volentieri si sono fatti beffe della morale comune o del buon senso, producendosi in performance ai limiti della tollerabilità e della legge. Penso a COUM Transmissions, Throbbing Gristle, SPK, Whitehouse. Del resto il rifiuto per intero della cultura pop(olare) ed il ricorso a tattiche di shock sono stati tra i capisaldi espressivi del genere. Ma quando tutto questo sconfina nella pura e semplice illegalità fine a sé stessa, magari con la scusa di una sterile provocazione invocata a pretesto di visibilità, non riesco a trovare giustificazione alcuna. Violare la legge o le regole del vivere comune per il puro piacere personale non è comportamento giustificabile per nessuno, tantomeno per chi fa arte. In tanti hanno dimostrato di saper condurre una critica forte, violenta, radicale, pur senza incorrere in comportamenti criminali. Dei nomi da te citati ne parlo, e se in un caso il mito ha spesso superato la realtà, nell'altro siamo in presenza di pure e semplici condotte illegali. E questo ha poco a che fare con la musica."
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In tutta questa ricognizione, qual è stato il personaggio più assurdo e curioso di cui di sei trovato a scrivere?
"Dovrei citarne almeno una decina, ma dovendo sceglierne uno dico senza dubbio Jared Louche, leader dei Chemlab, uno che ha visto in prima persona nascere ed evolvere il fenomeno industrial metal negli USA. Gli aneddoti raccontati da Jared valgono da soli il prezzo del biglietto, come si suole dire, e l'esperienza che ha messo a disposizione mia e del lettore è di valore inestimabile. Una persona di un'intelligenza ed un'arguzia ben al di sopra della media, doti che però non gli hanno impedito, nel bel mezzo di un concerto, di correre tra il suo pubblico vestito con una bandoliera ed armato di un fumogeno da stadio acceso seminando panico e terrore tra i presenti."
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Guardandoti indietro, c'è qualche nome che ti penti - col senno di poi - di non aver menzionato nella tua comunque esauriente opera?
"Da amante del genere, penso siano molti i nomi non menzionati, o citati con minor approfondimento rispetto di altri. Del resto riuscire a trattare questa materia con pretesa di completezza sarebbe stata un'impresa improba e forse decisamente poco interessante rispetto ad approfondimenti trasversali tra realtà ultra-underground e quasi-mainstream. E sempre con l'occhio dell'amante, non posso che avere qualche piccolo rimpianto per chi non c'è o per chi fa brevi comparse, come Haus Arafna, Nurse With Wound, Swans e Brighter Death Now su tutti. Così ho pensato di ovviare ad una inevitabile incompletezza aprendo un blog in cui riversare nel tempo tutto quanto non ha trovato spazio nel libro, alimentando costantemente la ri[e]voluzione industriale."
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Quali sono secondo te i cinque album che assumono il valore di pietre miliari in questa tua ricognizione storica?
"Alcuni per un motivo, altri per un altro, penso non si possa prescindere da album come "Heresy" (Lustmord), "The Downward Spiral" (Nine Inch Nails), "How To Destroy Angels" (Coil), "The Second Annual Report" (Throbbing Gristle) e "Symphony For A Genocide" (Maurizio Bianchi)."
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"Quale futuro? Quale scena? Chi porterà avanti la tradizione"? Molti dei protagonisti del tuo libro hanno risposto a queste domande... ma quali sono le tue personali risposte?
"Penso che oggi ci siano moltissime formazioni in grado di reinterpretare le chiavi espressive fornite dai pionieri. Sia che ci si fermi all'ortodossia più pura di musica industriale, sia che si accetti di allargarne le maglie, molti artisti non hanno nulla da invidiare ai maestri del passato. Pur provenendo da latitudini diversissime, nomi come Death Pact International, Genocide Organ o Combichrist hanno molto da dire. Non penso però che si possa parlare dell'industrial come di una scena uniforme e con un'unica identità: bisogna saperne accettare le differenze rendendosi conto delle mille sfaccettature di cui si compone questo incredibile mondo."
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