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05-07-2010
VV.AA.: FOLK STUDIO
Tra presente e passato
di Michele Viali
In occasione dell'uscita del primo volume di "Folk Studio", affascinante compilation licenziata dalla HR!SPQR, abbiamo deciso di incontrare tutte le menti che hanno reso possibile l'evento. L'interesse insito in un progetto del genere non sta solo nella musica, ma negli intenti programmatici che lo muovono. Se alcuni nomi dell'underground italiano avevano già de facto creato suoni che univano presente e passato del Bel Paese, distaccandosi o anticipando le mode neofolkaiole che imperversavano nel vecchio continente, è solo con "Folk Studio" che si ha una presa di posizione netta, anche dal punto vista teorico, rispetto all'unione di folklore nostrano e impulsi moderni. Si potrebbe dire che la modernità cerca e riscopre le proprie radici per rivederle alla luce del presente, per recuperare e dar lustro a realtà che si tende inevitabilmente a dimenticare. Per spiegare la genesi e gli intenti dell'intero progetto, abbiamo pensato di rivolgere la nostra intervista sia ai quattro progetti impegnati nella compilation che al produttore Vinz: ne è venuto fuori uno spaccato stimolante e non privo di qualche punta polemica...
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"Idda", brano che apre "Folk Studio", è una cover di un pezzo prog-rock degli anni '70 a firma Era di Acquario. Come mai avete deciso di inserire un brano dai suoni così diversi rispetto alle coordinate folk della compilation?
Eliahu Giudice: "Perchè "Idda" rappresenta perfettamente quello che avevo in mente quando ho scritto le parole che si trovano all'interno dello sleeve del disco: "Uno sguardo al passato e un occhio rivolto alla modernità". "Folk Studio" non è solo uno sterile guardare indietro al passato in maniera nostalgica. Il recupero di tracce folkloristiche poteva andar bene negli anni 60, quando Lomax girò l'Inghilterra di paese in paese per scoprire le canzoni popolari che rischiavano di scomparire per sempre. Quel recupero diede poi vita al revival folk di Soho in cui spiccarono Bert Jansch, John Renbourn, Fairport Convention e compagnia cantante. Il nostro è semplicemente un tentativo di far da collante tra il passato e il presente, proponendo canzoni dialettali e rendendo viva e pulsante la tradizione musicale italiana, cosa che brani come "U Criu Du Ventu" hanno fatto magistralmente, a mio avviso."
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In che modo "Idda" si collega ai principi di riscoperta delle radici e del folklore esposti all'interno di "Folk Studio"?
Eliahu Giudice: "Il passato e la tradizione sono concetti sempre vivi, che vanno evolvendosi così come si evolve il modo di esprimere determinati sentimenti in musica. Ecco perchè penso che "Idda" sia il modo perfetto per tracciare sin dal primo brano le coordinate lungo cui si svilupperanno anche le prossime uscite. Già trent'anni fa gli Era Di Acquario avevano avuto la stessa necessità: quella di rendere i loro sentimenti e le loro passioni usando il proprio dialetto. E in ambito prog non furono gli unici. La riscoperta del folklore non deve necessariamente essere rivisitata unicamente secondo gli stilemi della musica cosiddetta folk. Anzi, penso che l'utilizzo di strumentazioni e generi più vicini a noi a livello cronologico sia un ottimo modo di far brillare ancora una volta la Tradizione."
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Marco, il tuo trasporto per le vecchie band prog-rock italiane si fa sentire anche nel progetto Ballo Delle Castagne, dove suoni chitarra e tastiere. Come hai sviluppato questa duplice passione che tocca sia il folk tradizionale che il rock degli anni '70?
Marco Garegnani: "In fin dei conti credo che ci sia stata in passato una buona parte di rock psichedelico e anche una parte del prog rock di matrice italiana che, volendo rappresentare un genere di rottura con la musica popolare, abbia in realtà tratto da essa linfa vitale da riutilizzare, rimescolare, insomma un modo per riappropriarsi di certe sonorità, melodie, tematiche e ripresentarle sotto nuove istanze. Oppure basta pensare alla commistione velvetiana di brani come "A Sailor Life" dei già gitati Fairport Convention, dove folk e psichedelia si fanno un grandioso tutt'uno inscindibile. D'altronde il mondo cambia, e il folk cambia a sua volta. Il folk non appartiene solo al passato, altrimenti è rivisitazione (pure questa a suo modo importante). In essenza, il folk è sempre presente."
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Eliahu, Vinz ci ha spiegato che l'iniziativa di pubblicare una serie di brani cantati in dialetto nasce da un'idea tua e di Alessio/Varunna. Puoi raccontarci nei dettagli lo sviluppo e le motivazioni di un progetto a suo modo radicale e denso di significati?
Eliahu Giudice: "Sin dal primo incontro con Alessio, ci era balenata in testa l'idea di preparare un lavoro comune che mettesse in primo piano i dialetti della Sicilia e della Sardegna. L'idea che le due maggiori isole italiane trovassero spazio attraverso la loro lingua madre in un panorama musicale come il nostro mi è sempre sembrata un ottimo mezzo per sfuggire a quella che, cinque o sei anni fa, era l'associazione folk-Nord Europa. Mi sono sempre chiesto cosa c'entrassimo noi con il sentire tedesco o scandinavo e perchè un determinato genere dovesse seguire direzioni mitteleuropee a noi piuttosto aliene, quando l'Italia ci offre costantemente spunti e ispirazioni enormi. Se bisogna rappresentare il folk nostrano come l'evoluzione della musica del passato, perchè non trarre ispirazione da De Andrè e la scuola genovese o dai grandi cantastorie come Toni Cucchiara? Purtroppo il progetto con Varunna è sfumato per vari motivi tecnico-logistici. A porre rimedio al tutto ci ha pensato Vinz, che con l'idea di "Folk Studio" è riuscito a coinvolgere le migliori realtà musicali italiane in questo ambito musicale, dando vita a un progetto di ampio respiro che consideravo compromesso per sempre."
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Chiudete "Folk Studio" con il brano "La Baronessa Di Carini", una storia vera di amore e sangue. Cosa vi ha portato ad optare per la narrazione di questo fatto?
Eliahu Giudice: "'A Barunissa è un brano a cui sono molto legato: vuoi perchè adoro lo sceneggiato anni '70 con Ugo Pagliai nella parte del protagonista, vuoi perchè la canzone la conoscevo sin da piccolo e mi ha sempre affascinato. È strano che le canzoni tradizionali del passato, e non solo quelle italiane, abbiano come protagonisti assoluti Eros e Thanatos. Mi vengono in mente i fratelli Grimm e le prime edizioni sanguinolente delle loro fiabe o alcune ballate recuperate dai Pentangle o dagli Steeleye Span. In tutti questi casi Amore e Morte sono protagonisti, e sono protagonisti non solo nel brano da noi proposto in chiusura di compilation, ma anche in "Evoè" degli Having Thin Moonshine e ne "La Tradida" dei Roma Amor. C'è qualcosa di morbosamente fascinoso in queste vecchie storie, vere o false che siano, che le rendono senza tempo. E questa sensazione di fluttuare in un limbo acronico è la caratteristica che più mi intriga di questa compilation."
"Mi sono sempre chiesto cosa c'entrassimo noi con il sentire tedesco o scandinavo e perchè un determinato genere dovesse seguire direzioni mitteleuropee a noi piuttosto aliene, quando l'Italia ci offre costantemente spunti e ispirazioni enormi. Se bisogna rappresentare il folk nostrano come l'evoluzione della musica del passato, perchè non trarre ispirazione da De Andrè e la scuola genovese o dai grandi cantastorie come Toni Cucchiara?"
(Eliahu Giudice)
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Analogamente ad altri brani presenti nel vostro ultimo album, anche "La Tradida" narra una vicenda di sangue messa in atto da una donna. Da cosa deriva la volontà di scegliere a volte argomenti neri e 'al femminile' per i testi dei vostri brani?
"Mah, certamente la sedicenne protagonista de "La Tradida", che si vendica uccidendo il ragazzo infedele, corrisponde al tipo di donna che più ci affascina: quello intriso di romanticismo, passionalità e tragicità a cui abbiamo dedicato un intero album. Semplicemente ci interessava raccontare quelle figure femminili che più ci seducono: la guerriera romantica, la bambina cattiva, la fattucchiera specializzata in pene d'amore, la strega assassina, la statuaria vittima, l'amante tradita che si vendica... La voce dal timbro scuro di Euski ci sembra poi perfetta per animare queste tipologie di donne."
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Tra i gruppi che hanno preso parte a "Folk Studio" voi siete forse quelli che recuperano in modo totale i suoni folkloristici, grazie soprattutto ad una strumentazione tradizionale. Quanto e in che modo la musica folk italiana del passato condiziona i vostri suoni e le vostre ispirazioni artistiche?
"L'essenzialità della strumentazione, come quella della situazione performativa, sono le caratteristiche della musica folk italiana del passato che ci affascinano di più, perché creano un'intimità unica. Cantare una storia da condividere con gli altri, accompagnata da pochi calibrati strumenti, regala momenti speciali proprio perché non ci sono troppi elementi di contorno che distolgano la condivisione di emozioni."
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Il contenuto di "Folk Studio" è stato stilisticamente definito come 'italian neo-folk', ma penso che nel vostro caso il filone 'neo-folk' incida poco o niente. Cosa pensate al riguardo?
"Come tutte le etichette che spesso si affibbiano ai gruppi, anche la formula neo-folk include talmente tante varietà al suo interno che se la riducessimo ai soli tamburi militari ne rimarrebbero esclusi in molti. Personalmente abbiamo accettato di partecipare a "Folk Studio" perché l'idea di una raccolta di canzoni in dialetto era totalmente in sintonia con le nostre scelte estetiche del momento. Già nel nostro ultimo album "Femmina" erano presenti molte canzoni con testi in dialetto romagnolo. Ci è venuto quindi molto naturale appoggiare l'iniziativa lodevole dell'HR!SPQR di una compilation di canzoni che catturassero lo spirito della regione in cui sono nate, non solo musicalmente, ma anche nella scelta del testo e nell'uso della lingua locale."
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La vostra collaborazione con l'HR!SPQR si ferma a questa compilation o avete in programma altre produzioni con l'etichetta romana?
"È ancora presto per fare annunci o progetti riguardo alle nostre future produzioni. Non abbiamo ancora pezzi nuovi e non sappiamo che idee ci verranno. Di sicuro siamo soddisfatti della collaborazione con Vinz di HR!SPQR, che si è dimostrato corretto e professionale. Pur rimanendo i Roma Amor legati all'Old Europa Cafe e al rapporto di stima e amicizia con il boss della label Rodolfo, non escludiamo che collaborazioni parallele che abbiamo allacciato in questi anni possano radicarsi e crescere in nuovi progetti."
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Rispetto alle altre band che hanno preso parte a "Folk Studio" avete optato in "Evoè" per un testo che rimanda alla classicità prima che al folklore. A cosa è dovuta questa scelta?
Ally: "Più che voler rimandare alla classicità, il testo vorrebbe creare un ponte tra classicità e folklore. Venezia è colma di menadi, mi piace chiamare così le donne che vagano ebbre per le sue calli. Sono figure affascinanti che appartengono per certo ad un contesto folk-popolare strettamente veneziano per come viene da noi raccontato. Non ho voluto chiamarle 'menadi', ma ho comunque voluto mettere nelle loro bocche quel grido antico per raccontare che ciò che avviene ancora oggi, che ha origini lontane nel tempo e nei luoghi."
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Dai vostri suoni trapela un livello tecnico nettamente superiore a quello di tante band folk/neofolk. Qual è il vostro background musicale e come si fonde allo spirito di "Folk Studio"?
H.T.M.: "Tutto ciò che nel nostro sound suona più 'tecnico' rispetto al solito standard di folk/neofolk nasce esclusivamente dal fatto che non ci riferiamo a questo genere. La matrice folk nella nostra musica è più facilmente riconducibile invece al progressive rock/folk degli anni sessanta/settanta, nel quale è comune trovare arrangiamenti molto elaborati che richiedono una certa capacità tecnica. Per fare un esempio di questo stile possiamo citare una band come i Comus. Il nostro background musicale è molto vario, ascoltiamo e suoniamo veramente di tutto. Oltre a suonare la chitarra, Pietro è un violoncellista professionista e suona nell'ambito della musica classica, ultimamente ha intrapreso anche la strada della musica elettronica con il suo nuovo progetto Tiny Cup. Dario suona il basso anche in un'altra band dalle sonorità electronic/new wave. Jacopo suona in diversi altri gruppi rock'n roll e hard rock, sia come batterista che come cantante. La fusione della nostra canzone "Evoè" con lo spirito di "Folk Studio" avviene attraverso l'amore per la nostra città, Venezia, il suo dialetto, le sue antiche tradizioni ed il suo fascino seducente, decadente e misterioso."
"Il grande panorama neofolk fa capo ad un movimento di avanguardia artistica che ha visto accendere i suoi focolai in diversi paesi europei tra artisti sicuramente accomunati da una affine visione della realtà e che, in qualche modo, condividono una medesima unità di intenti. Da quando ci siamo accostati a questo genere, non abbiamo fatto altro che ricercare le nostre origini allo scopo di recuperare i valori migliori della nostra cultura per non vederli dissolvere nel calderone del dimenticatoio..."
(Diego Banchero)
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Come siete entrati in contatto con la HR!SPQR per prendere parte a questa compilation?
H.T.M.: "Pietro e Vinz si conoscevano già da diverso tempo. Così, dopo l'uscita del nostro primo disco, Vinz ci ha proposto di partecipare a questo progetto in cui ogni band proponesse un pezzo cantato nel proprio dialetto d'origine. Ci è sembrata subito una idea fantastica!"
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Cosa rappresenta per voi un progetto come "Folk Studio" rispetto al grande panorama neofolk? Ci sono continuità e punti di contatto con la grande scena europea?
"Abbiamo aderito con grande entusiasmo a questo progetto proprio perché lo troviamo filologicamente in linea con il percorso di ricerca delle tradizioni, che è (o dovrebbe essere) uno dei punti cardine di chi si impegna in questo genere musicale. Il grande panorama neofolk fa capo ad un movimento di avanguardia artistica che ha visto accendere i suoi focolai in diversi paesi europei tra artisti sicuramente accomunati da una affine visione della realtà e che, in qualche modo, condividono una medesima unità di intenti. Tuttavia, la differenza tra questa visione e quelle che ne caratterizzano altre diffuse nel mondo tende a favorire e preservare un'unitarietà che si fonda sulla valorizzazione delle particolarità e delle diversità individuali. Da quando ci siamo accostati a questo genere, non abbiamo fatto altro che ricercare le nostre origini allo scopo di recuperare i valori migliori della nostra cultura per non vederli dissolvere nel calderone del dimenticatoio. La volontà è sempre stata quella di dare il nostro umile contributo nel tentativo di ricollocare detti valori, attraverso una rielaborazione, nel modo di pensare e di fare arte e cultura dei nostri giorni. Già con Recondita Stirpe avevamo recuperato alcuni stilemi tipici della musica genovese in un brano pubblicato nell'album "Nessuna Letargia". Tutto questo lavoro continua ad essere in linea con le logiche che regolano l'evolversi dalla scena europea, e Folk Studio è solo un altro passo nel lungo percorso da compiere."
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Cosa vi ha spinto a trattare il tema dell'esilio nel vostro brano "U Criu Du Ventu"?
"I temi dell'esilio e della nostalgia, per la lontananza dalla adorata città natia, sono ricorrenti nelle liriche della canzone genovese, visto che, tra l'altro, la popolazione della nostra città, oltre ad aver viaggiato in tutto il mondo fin dalla notte dei tempi per questioni commerciali e/o militari, è stata coinvolta in molti flussi migratori (diretti soprattutto verso le americhe), in particolar modo dalla seconda metà dell'ottocento fino alla vigilia della seconda guerra mondiale. Il genovese è da sempre abituato a viaggiare perché Genova è stato uno dei maggiori porti del mondo, ma è sempre legato da una sorta di campanilismo alla sua città stretta tra i monti e il mare. Nel brano "U Criu Du Ventu" l'esilio è raccontato da chi resta e prova, ad un tempo, la sofferenza per il lutto dovuto al distacco e la nostalgia per una Genova sempre più lontana dai periodi di maggior prosperità e splendore (altro tema, quest'ultimo, ricorrente in alcune canzoni della nostra tradizione)."
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Il vostro prossimo album - che ci auguriamo uscirà a breve - continuerà sulla linea sonora e tematica di "U Criu Du Ventu" o dobbiamo aspettarci cambiamenti stilistici?
"In realtà, "U Criu Du Ventu" è stato scritto dopo che i brani dell'album di prossima uscita erano già stati completati e rappresenta, per certi aspetti, un esempio del consolidamento raggiunto dal gruppo negli ultimi tempi dal punto di vista delle sonorità. Dal punto di vista tematico, invece, non pensiamo sia ancora giunto il momento di concentrarci su un lavoro dedicato, in senso stretto, a Genova (malgrado se ne sia discusso tra noi più volte). Il Nuovo disco "Memorie Di Gesta" sarà una collezione di canzoni prive di un concept che le accomuni. Solo un brano, peraltro già pubblicato in una raccolta del portale tedesco Nonpop, tratta temi in linea con quelli contenuti in "U Criu Du Ventu", ma non utilizza il dialetto genovese."
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Vinz, questo sembra un periodo assai propizio per la vostra label: sono usciti diversi prodotti interessanti e molti altri sono già stati progettati...
"Un momento di rifondazione in cui finalmente siamo riusciti ad imprimere una nuova direzione musicale all'etichetta. Tra le prossime produzioni segnalo un interessante 10" ad opera di Claudedi e Nemici, un'interessante retrospettiva del lungo excursus musicale dell'artista dagli albori ad oggi."
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Ho notato alcuni cambiamenti formali nell'etichetta, ad iniziare dal nome modificato in HR!SPQR. C'è aria di rinnovamenti?
"Sono passati quasi dieci anni da quando iniziammo questa avventura, quello speciale sodalizio artistico/musicale chiamato Roma/Wien è venuto meno per dei fattori esclusivamente umani. Qualcuno si è incazzato, qualcuno se n'è andato, qualcun altro gioca nelle darkroom... È la naturale insostenibile leggerezza dell'essere umano o, se vuoi, la mediocrità dei nostri tempi. Abbiamo voluto affrontare questo 'horror vacui' iniziando un nuovo corso di produzioni importanti."
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Dunque non è più il caso di definirvi come una 'divisione italiana' della Hau Ruck! di Albin Julius... A me sembra che l'SPQR sia ormai diventata un'etichetta a sé stante con delle direttive artistiche tutte personali...
"HR!SPQR non è più una divisione dell'Hau Ruck!... L'amicizia e la stima per Albin rimangono e il bilancio delle passate collaborazioni è senz'altro positivo. Semplicemente non abbiamo ritenuto coerente andare nella stessa direzione in questo momento, ritenendo ragionevole incominciare un nuovo percorso a partire dal nuovo logo e dalla veste grafica del nostro sito."
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A livello programmatico penso che "Folk Studio" sia la vostra produzione più importante, al pari del tributo agli Ain Soph del 2003. Che ne pensi?
"Beh, "Folk Studio" è sicuramente un punto di partenza per un nuovo ciclo, cosí come avvenne per il tributo agli Ain Soph quando uscì. Quello che mi preme sottolineare è la straordinaria qualità ed eterogeneità di entrambe le produzioni, merito esclusivo degli eccellenti progetti coinvolti."
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Come descriveresti l'evoluzione della HR!SPQR dagli inizi ad oggi? Una certa vena neofolk sembra essere comunque il filo conduttore di quasi tutti i dischi realizzati...
"Gli ascoltatori talvolta hanno chiavi di lettura profondamente diverse da quelle degli autori. Mi piacerebbe che un giorno i gruppi di questa etichetta fossero ricordati per le loro citazioni e influenze di Incredible String Band, Davy Graham o ancora Velvet Underground. Io sinceramente di neofolk non ci vedo proprio nulla."
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Ma in relazione all'uscita di "Folk Studio" avete coniato (correggimi se sbaglio) la definizione di 'italian neofolk': quali peculiarità sonore contraddistinguono questo stile?
"Noto con dispiacere che questo disco rotto del 'neofolk' italiano viene proposto spesso dalla stampa nazionale ai gruppi italiani di una certa area e tradizione musicale. Non so se per motivi di orgoglio nazionale, ma non credo abbiamo bisogno di avere un neofolk italiano. La tradizione musicale italiana è grande a sufficienza da poter offrire un incredibile background ai nostri gruppi. La peculiarità del neofolk italiano è proprio quella di non avere nulla a che fare con il neofolk."
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Pensando al grande filone neofolk degli inizi (Death In June e affini) e ai tanti gruppi provenienti dalla Germania, fautori di sonorità sicuramente diverse da quello promosse dalla HR!SPQR, vorrei chiederti se ci sono dei punti di continuità con queste correnti...
"Oggi non ci sono punti di continuità e sicuramente non ci saranno nel futuro. Abbiamo amato ed odiato questi gruppi fino alla nausea. Scimmiottarne le gesta, oggi, come dieci anni fa, non ha alcun senso. I tedeschi invidiano e cantano le canzoni delle nostre band al WGT. Non so come sia possibile associare le delicate e ammalianti armonie di gruppi come Argine ai soliti riciclati accordi di gruppi come Dies Natalis, Darkwood etc... o ancora le influenze orientali presenti nei dischi di The Green Man con Leger Des Heils. Potremmo poi continuare con Ataraxia, Camerata Mediolanense, Corde Oblique, etc., gruppi che potrebbero avere dei punti di contatto con quella scena (o sceneggiata in maschera) di cui si parlava, ma che si distinguono per qualità di contenuti e musica proposta. Se vogliamo proprio chiudere gli occhi di fronte alla bravura e alla tecnica compositiva dei gruppi italiani, diciamo apertamente che è una questione di gusti e basta."
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All'interno del 10" spiegate che l'italian neofolk non ha "...etno-nationalist or political intentions". Come mai avete tenuto a sottolineare questo fatto? Credete che questo filone sia ancora bollato come musica 'ideologizzata' o qualcosa del genere?
"Sicuramente "Folk Studio" non è un opera estranea al contesto sociale che oggi viviamo. Si è parlato moltissimo negli ultimi mesi dell'insegnamento del dialetto nelle scuole accanto all'italiano. Questo ci ha portato a riflettere sul significato dell'opera, dandogli un valore unitario ma non nazionalistico. La forza e la grandezza dell'Italia viene proprio dall'eterogeneità di culture e tradizioni presenti sul nostro territorio. Il dialetto è una lingua antica che appartiene alla memoria comune e condivisa, non deve essere usato come strumento di propaganda politica a vantaggio o svantaggio di questa o quella comunità. È giusto recuperare e non disperdere, ma soprattutto ricordare che l'Italia è una sola ed indivisibile nazione (non la 'Padania'...)."
"Si è parlato moltissimo negli ultimi mesi dell'insegnamento del dialetto nelle scuole accanto all'italiano. Questo ci ha portato a riflettere sul significato dell'opera, dandogli un valore unitario ma non nazionalistico. La forza e la grandezza dell'Italia viene proprio dall'eterogeneità di culture e tradizioni presenti sul nostro territorio..."
(Vinz)
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Tutte le band di "Folk Studio" mirano a fondere presente e passato, recuperando suoni, strumenti e temi più o meno antichi rivisti con uno stile musicale moderno... Come si realizza questa unione, che è forse il perno centrale di tutte le tracce?
"Credo che tutti i gruppi si siano trovati nella divertente situazione di dover sperimentare e confrontarsi con suoni antichi, riproponendoli con nuovi arrangiamenti. Il tutto è avvenuto in maniera spontanea, senza particolari indicazioni da parte dell'etichetta. Desidero sottolineare come alcuni gruppi come Egida Aurea e Having Thin Moonshine siano andati oltre, realizzando pezzi proprio nel loro dialetto. Il titolo poi è un omaggio indiretto al Folk Studio di Roma, che vide protagonisti molti cantautori come Venditti o De Gregari: ancora una volta nulla a che vedere col neofolk italiano."
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Tutti i gruppi cantano nel proprio dialetto: una decisione importante in un momento storico in cui a volte viene subdolamente imposto di dimenticare o denigrare le proprie radici. Come avete maturato questa scelta artistica?
"Concordo pienamente con questa analisi aggiungendo che questa operazione non riguarda tutte le nostre radici e tradizioni, ma solo quelle che appartengono alla parte economicamente povera del nostro paese. Ma non è da questa presa di coscienza politica che siamo partiti, piuttosto consideriamo questa una riflessione a margine della nostra produzione. Il vero punto di partenza è stato l'incontro tra Alessio dei Varunna ed Eliahu dei The Green Man. Loro è stata l'idea di realizzare dei pezzi in dialetto, vecchi o nuovi che siano. Un progetto che quindi ha avuto poi il suo naturale sviluppo in "Folk Studio", intesa come raccolta e testimonianza fonografica delle nostre tradizioni."
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So che "Folk Studio" non si fermerà a questa sola uscita. Cosa avete in programma e quali altre band parteciperanno al progetto?
"Sono in progetto altre due uscite, ma non posso rivelare i nomi dei gruppi partecipanti. Posso confermare la produzione in vinile, formato che più si addice a questo tipo di concept. A margine di questa intervista desidero ringraziare il team di Darkroom per lo spazio e l'attenzione a noi dedicati e per l'ottimo lavoro di supporto a tutte le band italiane. Interviste e recensioni parlano sempre di contenuti e sono lontane da quel tipo di giornalismo musicale da cabaret basato su battute, commenti ed opinioni del tutto opinabili, in stile Libero o Il Giornale. Grazie per il lavoro svolto fin qui."
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