C'è una critica non indifferente verso i 'liberatori' che hanno devastato Genova nell'autunno del '42, uno dei tanti fatti su cui non è stata fatta mai luce. Secondo voi quei bombardamenti hanno portato a una liberazione? E da cosa? I 'liberatori' sono ancora qui tra noi, se non sbaglio, armati fino ai denti a 'difenderci' da non so quale minaccia...
"Domanda un po' strana, questa. Che dovrei dire? Che avrebbero dovuto lanciarci confetti? Da che mondo è mondo le guerre si fanno per vincerle. Le armi si fabbricano per usarle. E il solo uso che se ne possa fare è quello di ammazzare della gente; non servono davvero a nient'altro che a quello. Certo: quel modo di fare la guerra, la strage indiscriminata di civili, la distruzione sistematica di ogni struttura che possa assicurare un livello minimo di sussistenza della popolazione non belligerante ha funzionato così bene che, da allora, è diventato il marchio di fabbrica di tutte le crociate 'democratiche'. Detto ciò, però, cerchiamo di non mistificare altre realtà non meno meschine. Per esempio: a noi, la guerra, chi ce l'ha fatta fare? Al di là di tutte le considerazioni resta l'evidenza assoluta di un dato. Cioè che l'entrata dell'Italia in guerra fu cagionata da un grossolano errore di valutazione: quello di Mussolini che, confidando nell'invincibilità dell'alleato tedesco, teneva ad avere quel qualche migliaio di morti da gettare sul tavolo delle trattative che, nella sua visione, non sarebbero tardate. E qui ci sarebbe molto da imparare su noi stessi. Su noi Italiani, intendo. C'è tutto il nostro pressappochismo, tutto il nostro confidare nello stellone, tutta la sicumera di riporre sconfinata fiducia nelle nostre doti di improvvisatori e di furbastri. Dire che i nostri soldati vennero spediti al fronte armati di moschetto modello 91, forse, non rende buon servizio alla verità: non tutti sanno di cose militari e di balistica. Il moschetto 91 si chiamava così per il semplice fatto che venne brevettato e introdotto nel 1891! Mal funzionò già ad Adua ed era vetusto e sorpassato all'epoca della Grande Guerra! Ora: dopo un intero ventennio intriso di spirito marziale, gli otto milioni di baionette, i sabati fascisti dove anche gli infanti e i commendatori con la gotta dovevano dare prova di pugnace efficienza, il destino imperiale e quant'altro, qual era, alla prova dei fatti, l'esito di tutto ciò? Entrare in guerra armati di catorci vecchi di mezzo secolo ed equipaggiati di fasce mollettiere e scarpe di cartone pressato residuate della prima guerra! Contro, nota bene, dei colossi, a quel punto anche tecnologici, come l'Impero Britannico, gli USA che, nella guerra, si giocavano la loro chance di uscire una volta per tutte dalla crisi economica rilanciando un'industria pesante che noi potevamo solo sognare. Contro l'Unione Sovietica che, oltre a un territorio di per sé inespugnabile, poteva gettare in campo decine di milioni di armati... Queste considerazioni erano alla portata del più dilettantesco degli analisti strategici e, d'altronde, non è che da noi siano mai mancate le teste fini. Peccato però che, al momento del dunque, ai posti chiave si ritrovino sempre le nullità, gli yes-men, quelli che sono lì perché sono compari, parenti, cognati, nipoti, amanti... Insomma, l'Italia si getta nel più titanico e distruttivo scontro di forze dell'intera storia umana armata solo della propria insopprimibile... italianità. E qui viene il bello. Finché l'allucinazione collettiva che ha portato, per un periodo, gli Italiani a credersi una potenza militare non viene polverizzata dalla cruda realtà dei fatti, la prospettiva di un nuovo conflitto non incontra un malcontento degno di nota. Gli Italiani sono strani: si consegnano a corpo morto nelle mani dei loro demagoghi in cambio di poco. Anche di molto meno di quanto Mussolini, in effetti, realizzò. Ma da qui a parlare di consenso, in senso pieno e compiuto, ci andrei cauto. Etimologicamente consenso significa 'sentire insieme' e, dunque, implica un'adesione volontaria e consapevole. Ritengo invece molto più verosimile che anche in quel frangente, come del resto in ogni momento della sua storia, un grande corpo centrale, indifferenziato, una grande 'zona grigia' della società italiana, si sia accontentato di vivacchiare senza esporsi, nell'evidente aspettativa di una guerra breve e quasi indolore. Ma, a fronte delle prime sconfitte, delle massicce incursioni aeree sul territorio, il 'consenso' al regime precipitò con un'accelerazione impressionante, tanto da lasciare interdetti gli stessi analisti alleati. E a quel punto, secondo l'antico schema psicologico del suddito, l'italiano medio riversa sull'uomo nelle cui mani s'è consegnato acriticamente, un'avversione intrisa di rancore e disprezzo. Ciò, comunque, non cancella l'atteggiamento immondo di molti nostri connazionali al momento del crollo, monarchia in testa. E poi, guarda, gli afghani, gli iracheni, per quanto occupati e con le pezze al culo, non portano le mogli e le figlie all'occupante in cambio di due scatolette. Da noi questo è stato il minimo. A Napoli, certe madri affittavano bambini di 5, 6 anni alla soldataglia maghrebina. Non c'è fame che possa giustificare una cosa del genere, mi spiace. Un popolo, toccati certi fondi, non può certo poi esigere che 'i liberatori', esaurito il compito, se ne tornino a casa loro e amici come prima. Non funziona così. L'Italia è una colonia, ma non credo abbia la statura per essere nulla più di quello. Oltretutto non mi pare che ciò costituisca un cruccio per la grande maggioranza dei nostri compatrioti."