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05-08-2009
MALAMECCANICA
Realtà e fatalità
di Michele Viali e Roberto Alessandro Filippozzi
Talvolta nascono progetti musicali che si sviluppano da pulsioni diverse, grazie all'incontro di suoni e stili anche contrastanti. È il caso dei (artisticamente) giovani Malameccanica, di cui potete leggere la recensione del full-lenght d'esordio nelle pagine di DARKROOM Magazine. Nelle creazioni di questa band le ritmiche trip-hop si fondono ad atmosfere tipicamente oscure, mentre sopraggiungono in più momenti ondate di materia industrial, dub, chillout: una mescolanza di generi che funge da piattaforma per dei testi inquietanti, frutto di vita vissuta. Oltre a questo c'è il lato visivo, così fondamentale per l'ensemble aretino da aggiungere nel proprio lavoro ben cinque videoclip che commentano perfettamente le paure e gli orrori recitati dal vocalist Giò, persona tanto cordiale quanto interessante, che ha risposto qui di seguito alle nostre domande.
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Anzitutto, complimenti per il vostro nuovo lavoro. Vorresti spiegarci come ha avuto inizio il progetto Malameccanica e quali vostre esigenze personali hanno spinto affinchè esso nascesse?
"Grazie mille per i complimenti, per i vostri apprezzamenti e soprattutto per averci offerto l'opportunità di parlare un po' di noi. Il progetto è nato ormai due anni fa, in maniera assolutamente spontanea e genuina. È il frutto dell'amicizia mia con Pietro. Lui con un passato di Dj spalle, io con i miei 14 anni di basso elettrico alle spalle e varie e saltuarie militanze in gruppi locali. Una sera ci siamo ritrovati ad ascoltare il CD "Stanza 218" degli El Muniria in macchina, per puro caso: io in quel periodo ero veramente stanco della musica, avevo da poco interrotto la mia ennesima permanenza come bassista in un gruppo e non avevo alcun interesse a trovare un'altra band, in giro c'era davvero poco che attirasse la mia attenzione, ero stanco di certa musica e soprattutto di un certo approccio alla musica. Mentre parlavo a Pietro proprio di questo, alle prime pulsazioni di synth del brano "Santo" mi si è letteralmente aperto un mondo. - Questo è quello che mi piacerebbe fare! - Il connubio fra elettronica di varie estrazioni, innesti ambientali, groove e blues che si respirava nel disco degli El Muniria fu, e lo è tutt'ora, assolutamente sorprendente. Perfetto e raffinato amalgama fra modulazioni e testo con una impostazione quasi lirica. Pietro è da sempre un grande appassionato di ambient, trip-hop, dub, e ha colto subito la palla al balzo. Non volevamo essere dei cloni, né riprodurre pedissequamente le loro dinamiche, ma volevamo che il loro lavoro fosse per noi l'incipit per trovare una nostra dimensione, un habitat dignitoso nonostante la nostra non professionalità. Abbiamo iniziato in maniera del tutto ipotetica ed embrionale a progettare un'eventuale messa in opera. Sinceramente nessuno dei due credeva davvero che la cosa si sarebbe concretizzata fino a questo punto, sembrava solo una momentanea esternazione in un sabato qualunque, una passeggera, seppur cristallina, volontà di condividere qualcosa assieme e allo stesso tempo anche un tentativo onesto di dare una svolta alle monotone serate che da un po' di tempo Arezzo ci riservava. Ed invece... Così, un passo alla volta, abbiamo dato forma e connotati al progetto, abbiamo delineato un primo percorso e con santa pazienza abbiamo iniziato a lavorare alle primissime basi, ai primi looppettini casalinghi, archiviando man mano ciò che veniva fuori nelle sessioni pomeridiane a casa mia. Leggevo a Pietro le cose che ormai da anni scrivevo nelle mie moleskine ed insieme selezionavamo quei testi che potevano essere funzionali alle ritmiche e alle atmosfere che stavamo realizzando. E ne abbiamo scartati non pochi. Erano i primi di Giugno, ci sono voluti ben quattro mesi prima di realizzare un brano con una propria spina dorsale. Solo successivamente si è aggiunto un batterista, poi fuoriuscito dal progetto, e Andrea alla chitarra. C'erano molto entusiasmo e volontà ed è stato un bene, perché le difficoltà iniziali erano davvero altrettante.
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Parliamo un pò di queste difficoltà, magari soffermandoci solo sulle più significative...
"Innanzitutto 'iniziare' era la vera difficoltà. Da dove cominciare? Può sembrare banale, ma non lo è. In passato avevamo avuto esperienze di tipo compositivo, scrittura di un testo, strutturare un brano in forma canzone, provare ad arrangiarlo. Ma stavolta l'approccio non era esattamente simile, e non poteva essere lo stesso. Per cui la prima cosa che abbiamo fatto è stata studiare i brani altrui, cercare di capire come disponevano i tappeti, come costruivano le basi etc. Tanti ascolti, in aggiunta a quelli che già avevamo, con molta pazienza e umiltà. Poi piano piano ci siamo ulteriormente documentati sui programmi di editing e di composizione più adatti. Sia io che Pietro ne avevamo alcuni, ma la tecnologia in questo campo ultimamente è davvero progredita, ed un aggiornamento era assolutamente doveroso. Come quando si scrive un saggio o una tesi, la prima parte del nostro lavoro è stata di ricerca nella filiera, d'archivio, per usare un termine più evocativo o esemplificativo. Forse anche la più noiosa, ma indispensabile. Successivamente abbiamo iniziato, un passo alla volta. Inciampando, come è giusto che sia, tenendo duro come chiunque dovrebbe fare."
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Cosa significa il nome Malameccanica e perché lo avete scelto?
"Il nome è stato un altro punto sul quale ci siamo soffermati a lungo. Non ne trovavamo uno giusto. Per vari motivi. Ne uscivano di altisonanti, di banali, d'incongrui. Entrambi volevamo un qualcosa che legasse i contenuti (i testi) con il supporto (synth, loopstation etc.). Volevamo che il nome fosse una sintesi concreta del progetto. Una mattina, mentre leggevo una brochure sulla biennale di Venezia, il mio sguardo si è sofferto sul termine "Meccaniche" all'interno del testo. L'ho subito portato al singolare, "meccanica". Mi piaceva molto questa parola, aveva in sé molti significati, poteva essere un buon punto d'inizio da cui partire per ricavare un nome. Inoltre rispecchiava in toto l'aspetto sintetico di alcune nostre strumentazioni, di alcuni nostri suoni. Più tardi si è aggiunto "Mala": stavo scrivendo due righe, non era un momento sereno ed è uscito un verso assolutamente insano. Tetro. Oscuro. Malato, se vuoi. Ho pensato che in fondo i miei testi spesso descrivono esperienze di disagio profondo, di sofferenza, della difficile accettazione di sé stessi e da parte degli altri. "Mala" sembrava racchiudere in sé questa essenza del mio modo di scrivere. Ho unito i due termini, l'ho proposto a Pietro, poi ad Andrea. Hanno accolto subito e di buon grado. A ripensarci oggi, non avremmo potuto trovarne di migliori. Suona ancora perfetto."
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Quali sono i modelli musicali a cui vi siete ispirati? I vostri suoni si rifanno al trip-hop ma hanno un approccio più cupo, quasi a creare atmosfere fumose e notturne...
"Come vi dicevo la spinta ce l'hanno data gli El Muniria, del resto sono stati i soli in Italia a fondere testo recitato, trip-hop ed ambient a livelli così alti. Hanno aperto una strada che noi abbiamo preso. Dopo esserci incamminati, non abbiamo fatto altro che portare con noi il bagaglio di esperienze e ascolti musicali che avevamo fino ad allora accumulato con grande umiltà. Pietro è un Dj, ama profondamente i Portishead, Moby, i Massive Attack, Tricky, gruppi formativi anche per me, nonostante io venga da esperienze musicali legate essenzialmente al dark e, in ambito di elettronica, fortemente radicate nel genere industrial-noise (Einstürzende Neubauten, Maurizio Bianchi etc.). Andrea, che si è unito a noi solo successivamente, viene dal blues, dal rock. Ognuno di noi ha portato nel progetto un pò di sè stesso. Le atmosfere che citate sono figlie, oltre che di questo milkshake, anche delle primissime sperimentazioni sonore che la storia ricordi (Russolo, Grosso, Stockhausen e altri), di una certa letteratura (la beat generation in primis) che affiora nei miei testi, di alcuni generi cinematografici (ad esempio il bodyhorror, il surrealismo, l'erotico di sapiente fattura) per i quali nutro una passione sconfinata, se non maniacale. Sono anche eredi dirette della vita, della mia vita, del mio stare al mondo, nel bene o nel male. I Malameccanica sono nati come un contenitore, moriranno il giorno che decideremo di metterci sopra un bel coperchio. Il giorno che penseremo di non avere più nulla da imparare da nessuno o, semplicemente, il giorno che non avremo più nulla da dire."
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Come detto, avete ognuno il proprio background, il che non può che arricchire la vostra proposta. È stato difficile trovare un punto d'incontro fra voi a livello di influenze e di scelte sonore?
"Non eccessivamente. Anche perché, quando io e Pietro abbiamo iniziato a cercare altri elementi da portare nel progetto, avevamo abbastanza chiaro nel bene e nel male il tipo di sound che volevamo. Avevamo delle linee guida a cui successivamente tutti quelli che hanno suonato con noi si sono adeguati inevitabilmente e con spirito. Sicuramente il comune denominatore è stato ed è tutt'ora il verbo 'sperimentare', anche Andrea è stato subito entusiasta e curioso di trovare strade meno convenzionali per i riff di chitarra. Usare un numero maggiore di pedali, combinarli fra loro, modulare il tutto."
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La vostra è una musica fatta di strumenti e di macchine, di passato e modernità. Come sviluppate tecnicamente i brani?
"I brani, generalmente, nascono da improvvisazioni e sperimentazioni fatte in studio alle quali successivamente diamo un senso. Io e Pietro ci troviamo e accendiamo le nostre loop station, sistemiamo vari pedalini per terra, settiamo i programmi che ci servono nei notebook ed iniziamo. Molto liberamente, cercando una struttura su cui si possano poi reggere gli altri strumenti. A volte invece capita che un determinato campione colga il nostro interesse, ed allora partiamo da esso sviluppando una trama sonora. Una volta ottenuta la prima ossatura di un pezzo, registriamo il tutto, lo importiamo sul pc ed iniziamo ad arricchirlo inserendo ambienti e campionamenti. Preparare il tappeto iniziale ci porta via, a dire il vero, molto tempo, benché sia una delle cose che in ambito di pre-produzione ci diverte maggiormente. È un modus operandi libero, anarchico, oltranzista. Le tappe successive sono più logiche. Contare gli ottavi, preparare il loop di basso da inserire, dare il giusto groove al pezzo, strutturarlo in maniera tale che ai nostri occhi e soprattutto alle nostre orecchie siano ben distinguibili in fase di registrazione la strofa, il ritornello, il break, la chiusa, tutti momenti fondamentali, ma che presentano un margine di improvvisazione praticamente nullo. Fatto ciò entrano in gioco le chitarre di Andrea, la slide ed infine la voce, che come sempre si rivela il momento della registrazione più complesso e l'elemento più delicato da inserire, vuoi per il non sempre scontato connubio musica-recitato, vuoi per l'interpretazione vocale. Sin dall'inizio ho voluto evitare di essere il Clementi dei poveri, non volevo recitare come lui, mi ci sono voluti non pochi tentativi per trovare una chiave interpretativa personale."
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A proposito di questa tua ultima affermazione, in cosa pensi si distingua il tuo modo di recitare i testi rispetto agli altri gruppi che si avvalgono di tale formula?
"Rispetto a Clementi direi l'impostazione della voce, la timbrica. Il suo è un mix fra urlato e declamato, io cerco di mantenermi su binari vicini al sussurrato, al taglio della voce, talvolta sporco, ai sospiri, al biascicare, al deglutire: nonostante tutto è una voce piuttosto vera, ed esclusi alcuni eccessi voluti è di fatto la voce che ho io se mi metto a sussurrare dopo un paio di toscani a tarda serata. Volevo comunque che il timbro avesse un che di rarefatto, qualcosa di associabile al sogno, alle voci che si percepiscono nei sogni, o almeno quelle che percepisco io talvolta. Quanto agli Offlaga Disco Pax, eh, loro si rifanno molto a Ferretti, trovo il loro spoken-word molto meno intimista ed interiorizzato sia rispetto a quello di Emidio, sia rispetto a quello che cerco di proporre io."
"Abbiamo iniziato in maniera del tutto ipotetica ed embrionale a progettare un'eventuale messa in opera. Sinceramente nessuno dei due credeva davvero che la cosa si sarebbe concretizzata fino a questo punto, sembrava solo una momentanea esternazione in un sabato qualunque, una passeggera, seppur cristallina, volontà di condividere qualcosa assieme e allo stesso tempo anche un tentativo onesto di dare una svolta alle monotone serate che da un po' di tempo Arezzo ci riservava. Ed invece..."
(Giò)
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Perché avete scelto il titolo "Le Pornographe" per il vostro nuovo lavoro? Chi sarebbe il pornografo a cui fate riferimento? E come si ricollega l'artwork al titolo?
"Il titolo del disco "Le Pornographe" non deriva dalla canzone di Brassens, né tantomeno si rifà al disco "Pornography" dei Cure. L'ho preso da un film, "Le Pornographe", appunto. Uno splendido film del 2001 di Bertrand Bonello, passato pressoché inosservato. Narra la storia di un regista, un autore se vogliamo, di film hard-erotici, intellettuali e libertari negli anni Settanta, il quale fatica non poco ad adattarsi al modo di girare squallido e mercificante del presente. Un uomo tristemente malinconico che inevitabilmente sarà sconfitto dall'industria e dal mercato fagocitante, che mastica senza digerire fino a vomitare tutto di fuori. Mi sembrava la perfetta metafora degli anni che stiamo vivendo. Molto spesso mi sono ritrovato a vedere le cose intorno a me con gli stessi occhi del protagonista del film. Molto spesso mi sono sentito inadeguato in una società dove tutto è e deve essere merce, pertanto con un prezzo fatturabile, una società che non tollera difetti di fabbrica, che non vede retribuzione nella poesia, nè tantomeno nella cultura, una società spersonalizzante dove il diverso è colui che pensa. Non sto dicendo nulla di nuovo: Orwell prima, Pasolini poi, hanno già affrontato questi temi molto meglio di me, con sorprendente lucidità e con risultati tristemente veritieri e lungimiranti. Il disco in buona parte parla proprio di questo, filtrato attraverso la mia esigua esperienza, la mia soggettività. Nell'artwork si possono distinguere due immagini. La prima, in copertina, mostra in bianco e nero una sagoma di un uomo alle prese con un vecchio proiettore dei primi anni Sessanta, la seconda un individuo, che poi sarei io, con in mano una vecchia superotto. Entrambi simbolo di un modo di fare cinema sporco e 'contro', ma allo stesso tempo veritiero, onesto, pulsante e vivido. Si ricollega se vuoi alle prime proiezioni pornografiche alte di Radley Metzger, a certe sfumature di "Blue Nude" di Scattini, un modo di mostrare il corpo e la sua inevitabile riduzione ad oggetto. Potrei citare anche Deodato, ma rischiamo di sconfinare."
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"Una società spersonalizzante dove il diverso è colui che pensa", tutto tristemente vero. Secondo te, come siamo arrivati a questo punto? Pensi ci sia ancora spazio per una 'rivoluzione culturale' che ribalti questa triste situazione?
"Non te lo so dire. Me lo auguro, la mia è una natura pessimistica, per cui sono portato sin da ora a dirti di no, ma preferisco mantenere una flebile speranza. Come ci siamo arrivati? Perdita di valori, pigrizia nella trasmissione della conoscenza, pigrizia nel percepire, preferendo strade facili a quelle più difficili, paura di fare sacrifici, paura di essere sè stessi. Alcune delle cause potrebbero essere queste, ma detto così rischia di apparire un discorso spicciolo, ed in realtà non lo è. Anzi. Ci sono anni di storia recente alle spalle da analizzare, prima di questo attuale disfacimento sociale."
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Oltre alla musica avete dato grande risalto, nel vostro primo album, anche all'aspetto visivo con i cinque videoclip del secondo CD. Come è nata l'idea di associare le immagini alla musica?
"L'idea, come avrete intuito dalle risposte precedenti, è stata inevitabile. Era già nell'aria ancora prima di pensarla. In molti ci dicevano come le nostre musiche fossero inevitabilmente associabili al girato. Chi citava Lynch, chi Cronenberg e così via. Nomi troppo grossi per noi, però la visual-art non era poi così troppo distante dal nostro mondo e abbiamo voluto provare. Ovviamente non è il nostro campo, io m'intendo abbastanza di cinema, ma da qui a girare qualcosa ce ne passa. E poi girare ha dei costi, occorrono attrezzature, programmi di montaggio. Non eravamo molto forniti. Il primo video è stato "Portofolio". Un brano del nostro EP al quale, insieme a "Dal Concetto Di Martire", sono profondamente legato. Ho fatto un tentativo. Avevo alcune mie foto nel pc, alcune trattate, altre semplicemente in bianco e nero. Ho voluto montarle dando loro un senso il più logico possibile, almeno per me. Esteticamente volevo un video sporco, grezzo, pieno di fruscii e sfarfallamenti, volevo che fosse simile ad un nastro rovinato, quasi uno snuff. È piaciuto anche agli altri e lo abbiamo inserito nello space. Successivamente ho avuto la fortuna di conoscere Francesca Fratangeli e Valentina Gaglione, entrambe molto più abili di me nel fare queste cose. Francesca fa delle foto splendide e Valentina, oltre ad essere una scrittrice di discreto spessore, ha uno spiccato talento per la visual-art. Entrambe si sono innamorate del progetto, ed io ho chiesto loro se volevano provare a fare qualcosa sui nostri pezzi. Hanno accettato subito e sono nati ben quattro video. Il risultato è stato, sia per noi che per loro, sorprendente. Gli sono molto grato."
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La tecnica di costruire i video a mo' di collage, unendo piccole scene o immagini vagamente correlate tra loro, ricorda un po' i primi corti surrealisti, ma anche un regista che voi stessi citate tra le vostre influenze: Alberto Cavallone.
"Dunque, qui la domanda andrebbe posta anche a loro. Nel caso di "Portfolio", l'unico video che ho curato, oltre alle cose sopraccitate, vanno senza dubbio aggiunti i corti surrealisti, come giustamente notate. Io amo moltissimo Dulac e Bunuel. Quasi mi vergogno a dire che m'ispiro a loro. Credo si rotolerebbero nelle proprie tombe. Sono dei maestri. Dei geni. Detesto l'uso che facciamo oggigiorno della parola 'genio'. Basta una qualunque stronzata per gridare al capolavoro. Loro lo erano davvero e lo sono tutt'oggi, dato che, purtroppo o per fortuna, non hanno lasciato eredi. Francesca e Valentina si sono mosse liberamente. Non ho chiesto nulla, se non di fare quello che volevano. Non volevo condizionarle, e poi ero mosso fortemente dal desiderio di vedere come avrebbero interpretato i testi e come si sarebbero approcciate alle ritmiche. Quanto ad Alberto Cavallone, beh, è probabilmente il mio più grande amore, cinematograficamente parlando, insieme a Peckinpah e a Luchino Visconti. Ho tutti i film di Alberto, fatta eccezione per un paio ormai introvabili. Lui non era un genio, ma era sicuramente geniale. Fino a pochi anni fa nessuno lo conosceva, dobbiamo ringraziare Pulici e Nocturno della sua riscoperta. Fra l'altro Pulici si sta prodigando per ritrovare "Maldoror", film ispirato ai canti di Ducasse. Attendo con le dita incrociate. Vero è che "Spell" aka "Dolce Mattatoio" aka "L'Uomo La Donna E La Bestia" me lo rivedo due, tre volte l'anno. Fondamentale, almeno per me. Anche Cavallone, sia con "Spell" che con "Blue Movie", è da ricollegarsi agli altri intellettuali sopraccitati. Alberto è stato un altro che ha fortemente denunciato il triste impoverimento della società a vantaggio delle 'cose', ricorrendo a forti ma funzionali espedienti marxisti come: merce uguale merda."
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Molti vi accostano ai Massimo Volume, ma esistono vari altri progetti italiani, anche molto fortunati (vedi gli Offlaga Disco Pax), che adottano il vostro medesimo stile fatto di musica e spoken-word. Vi sentite in qualche modo parte di questa scena?
"Inevitabilmente sì. Sempre ammesso che ci vogliano, in questa scena. Anche se Clementi & company sono giustamente irraggiungibili. Ascolto i Massimo Volume dall'alba dei tempi. Durante il tour "Lungo I Bordi" li ho visti un paio di volte, per poi rivederli durante il tour di "Club Privè". Ricordo, come direbbe Mimì, solo "Stanze Vuote". Eravamo davvero in pochi. Di nicchia. Ed era sinonimo di vanto. Ricordo quando comprai l'album "Da Qui", il negoziante mi diede del matto: - Ma come?! Ascolti i Massimo Volume?! - Oggi le cose sono cambiate. Per fortuna. Sento gente dire: - Ho scoperto un gruppo splendido, tu di sicuro non li hai mai sentiti! I Massimo Volume! -. A me viene da ridere. Le cose cambiano davvero. Li ho rivisti per la reunion questo inverno alla Flog. Ce n'era di gente. Anche giovanissimi. Sono felice per loro. Se lo meritano. Clementi ha dato una forte impronta. Ha aperto una strada per ben due volte. Il parlato è solo un modo diverso di approcciarsi, lo aveva fatto anche Lindo Ferretti prima. Vedere che in Italia gente ha seguito le loro orme a me personalmente fa bene, per tutte quelle volte che mi sono sentito dire: - Ah, ma tu non canti! - con tono deplorevole. In molti, specialmente nelle province come la nostra, ancora sono di questa opinione, ma non è un dramma. Del resto io deploro ciò che cantano almeno quanto loro deplorano ciò che dico, l'unica cosa che rivendico è l'apertura mentale. In Italia siamo solo all'inizio. Quanto agli Ofllaga Disco Pax, non ci crederete, ma ho sentito solo un loro brano cinque giorni fa. Non saprei darvi un'opinione su di loro, devo scoprirli meglio, non mi piace dire le cose solo per il piacere di dirle, ce ne sono già tanti in giro che lo fanno meglio di me."
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Optare per lo spoken-word è stato anche un modo di andare contro quella mancanza di apertura mentale che porta l'italiano medio a considerare solamente i 'cantanti', e quindi Vasco, Ramazzotti, Pausini e spazzatura assortita? Un modo, insomma, per riportare l'attenzione sui contenuti, anziché sulla mera esecuzione tecnica?
"Assolutamente no. Sennò dovrei tagliare fuori tutti quei cantanti che unendo vocalità, tecnica e contenuti hanno saputo lasciare un'impronta così profonda nella nostra cultura musicale. Si può cantare, bene o male, ed esporre un concetto, così come si può parlare esponendone un altro. Questo rivendico. Parlare all'interno di un brano musicale è solo un modo diverso di dire le cose. Un'altra via."
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In che modo si è evoluto il vostro sound e il vostro approccio alla musica dai tempi del primo demo del 2007 a "Le Pornographe"?
"Bellissima domanda. Me la sono posta spesso, poi ho smesso di pensarci: tutte le volte che provavo a rispondermi ottenevo frasi trite e ritrite. Probabilmente prima dovremmo vedere se c'è stata una vera e propria evoluzione.Qua non si fa altro che parlare di evoluzioni musicali. Ma siamo sicuri che in Italia, anche nel panorama emergente ed alternativo, ci sia stata questa grande evoluzione? Io per quanto riguarda i Malameccanica non me la sento di rivendicare un'evoluzione. Io non so nemmeno se mi sono evoluto come uomo, figuriamoci come musicista. Quello che so per certo è che ci siamo mossi sempre su binari di dignità e di originalità laddove potevamo averne. Abbiamo sempre cercato di metabolizzare gli esempi per farli nostri. Non ci riusciamo spesso, però è una linea di condotta che ogni volta m'invoglia ad imbracciare il basso. Come sound probabilmente siamo chiusi in noi stessi, siamo ciclici e circolari come un loop. Del resto è il genere. Del resto non è che ci sia molto da inventare, del resto non saremmo di certo noi a farlo, né nessun'altro prima dei prossimi trent'anni. L'unica cosa che può essersi evoluta è probabilmente la qualità della registrazione."
"Molto spesso mi sono sentito inadeguato in una società dove tutto è e deve essere merce, pertanto con un prezzo fatturabile, una società che non tollera difetti di fabbrica, che non vede retribuzione nella poesia, nè tantomeno nella cultura, una società spersonalizzante dove il diverso è colui che pensa. Non sto dicendo nulla di nuovo: Orwell prima, Pasolini poi, hanno già affrontato questi temi molto meglio di me, con sorprendente lucidità e con risultati tristemente veritieri e lungimiranti."
(Giò)
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Quando sostieni che in Italia probabilmente un'evoluzione artistica non c'è stata, che spiegazioni ti dai? Forse il fatto che da noi si ritenga una come la Maionchi la massima espressione della 'cultura' musicale? O forse è colpa di San Remo, Amici di Maria De Filippi ed X Factor? Oppure bisogna guardare più indietro per comprendere la tua affermazione?
"No, io non sostengo che non ci sia stata, dico solo che non me la sento di affermarlo con così tanta veemenza. Sono un uomo e come tale incline al dubbio, e quando ho un dubbio cerco di pormi delle domande. Sicuramente c'è stato un netto impoverimento. Un declino. In musica, come nel cinema, così come nella letteratura, nella televisione e nell'editoria. I nomi che voi citate sono un po' i testimonial diretti della Waterloo intellettuale che abbiamo davanti agli occhi ogni santo giorno. I perché? Non sono così presuntuoso da poter offrire dei perché, e anche volessi farlo temo che in poche righe non riuscirei nemmeno ad offrirne mezzo. Indubbiamente se le ultime cose degne di nota sono datate ai primi anni novanta, beh, sì, forse uno sguardo indietro dovremmo darlo."
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L'anima della band sei senza dubbio tu: da dove scaturisce il tuo incontenibile bisogno di narrare? E su che basi hai scelto le tematiche trattate?
"Vi ringrazio, mi avete detto una bellissima cosa, bisogna vedere che ne pensano gli altri due. Ogni individuo ha la necessità di narrare, solo che non tutti se ne sono accorti. Per quanto mi riguarda ho iniziato a scrivere durante l'adolescenza, quando le prime domande che inizi a porti non ottengono molte risposte convincenti da chi ti sta attorno, nè tantomeno da te stesso. Ancora oggi non ho risposte e non ho trovato nemmeno il cinque per cento di me: ho solo delle consapevolezze, del resto alle speranze ho rinunciato nel momento preciso in cui ho capito che servivano solo ai puri di cuore, ed io non mi sento uno di loro. Io sono un uomo privo di fantasia. Non so inventare storie. Un amico anni fa mi disse: - Scrivi sempre e solo di ciò che conosci - Ed io l'unica cosa che conosco abbastanza e che voglio davvero conoscere è la mia vita. Quando scrivo non faccio altro che muovermi in questa direzione, apro il quaderno ed inizio a raccontare ciò che faccio, ciò che ho fatto, che avrei dovuto fare, ricorrendo ad un autobiografismo quasi ridondante e noioso nel suo rincorrersi, ma è l'unica cosa che so fare. Nessuno sa niente della mia vita, nessuno mi conosce e sono stato fortunato ad avere due compagni d'armi pudici e silenziosi. Non mi hanno mai fatto domande sui testi, non un perché mi è stato rivolto. Il testo è ciò che voglio dire. Sapere il perché di una storia non sempre serve, né sempre cambia il modo di apportarsi ad essa per chi l'ascolta. Non sarei riuscito a parlare di me e all'infuori di me in un habitat diverso da quello che mi sono ritagliato: i Malameccanica."
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L'impressione generale è che Malameccanica punti a delineare i contorni meno 'gradevoli' di tutte le cosiddette 'vite ordinarie': quanto c'è di vero in questa affermazione, e qual è l'obiettivo finale di tale disamina per musica e parole?
"Tutte le vite sono ordinariamente tristi. Dalla prima all'ultima. Non ho conosciuto una persona che sia una che abbia avuto una vita gradevole dall'inizio alla fine. Il problema è che nessuno lo ammette. Io non ho problema alcuno ad ammettere un fallimento. Cerco comunque di capirne le ragioni. Senza dubbio nei testi ci sono anche chiari riferimenti al tappeto sociale in cui vivo. Io amo Arezzo, amo la Toscana e allo stesso modo inorridisco di fronte a certi atteggiamenti, c'è un imbalsamare di cervelli generale che mi terrorizza. Ma posso solo limitarmi ad affermarlo, non posso fare nulla per impedirlo, non ne ho i mezzi e non sta a me farlo. In giro c'è tanta gente che dà consigli a tutti, che propone risposte. La mia, ammesso che sia davvero una disamina, resta la disamina di un individuo che guarda ai suoi prossimi trent'anni con un buco di quindici anni nella sua vita che nessuno potrà mai riempire. Un individuo che si è spostato spesso, che ha conosciuto persone, che ne ha perse altre, che vorrebbe un humus migliore, ma del resto nemmeno lui è diventato così migliore quanto avrebbe voluto. Io questo lo so e non ho problemi ad ammetterlo. Ma sono un uomo e sono in grado di sopportarlo."
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Stando a quanto hai appena detto, come ti trovi in un mondo dove 'divertirsi' è l'unico imperativo e dove tutti si sentono 'fighi' grazie a qualche patetico social network?
"Divertirsi, sentirsi fighi, sono atteggiamenti nei quali prima o poi ricadiamo tutti. Il problema non è tanto 'divertirsi', il problema è l'assenza di coscienza che oggigiorno regna sovrana. Questo mi disgusta profondamente. Ognuno è libero di agire come crede, ma non sarebbe male se prima di agire ci fosse un filtro intellettivo e non sarebbe affatto un male se dopo aver agito ci fosse una sana presa di coscienza. Nel bene o nel male. Metabolizzare. Forse le cose non dico andrebbero meglio, ma sicuramente prenderebbero una piega diversa. Quanto ai social network, se usati con intelligenza, alcuni, permettono il veicolare di idee, di storie, di sensazioni. Non sono affatto contrario alla loro esistenza, sono solo perplesso sul modo in cui la maggior parte delle persone ne fa uso."
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Hai un modello a cui ti ispiri, sia per i contenuti che per le modalità recitative?
"Per i contenuti assolutamente no, se non a quelle persone con cui mi sono confrontato e che hanno avuto esperienze di vita simili alle mie. Per la forma amo molto la beat generation, mi piace il cut up di Burroughs. Ma allo stesso tempo sono anche uno che di tanto in tanto si rilegge "Oboe Sommerso" di Quasimodo o "Cuore Di Tenebra" di Conrad. Leggo abbastanza, malgrado sia un pigro. Senza dubbio sono il sunto delle mie letture, un riassunto confuso, talvolta sconclusionato, ma sono sempre attento ad essere onesto sia con me stesso, sia con gli autori che amo. Detesto chi centinella un certo linguaggio furbo e fintamente forbito e maudit mascherandolo come 'omaggio a'. Stimo e rispetto molto chi invece cita apertamente e non ne fa mistero. È segno di profonda umiltà e maturità. Per quanto riguarda il recitato, come dicevo il problema più grosso era evitare sin da subito le modalità di Emidio Clementi. Non avevo idea di come risolvere la questione. Alla fine, parlando anche con Pietro, abbiamo deciso di proporre un recitato quasi sussurrato. Abbiamo pensato alle voci nel trip-hop, specialmente Tricky, al suo modo di cantare. Solo dopo il sussurrato ha preso una via propria. Quella che senti nei brani, a tratti disturbata e nevrotica. In quattro pezzi, tre dell'EP e uno del disco, abbiamo inserito anche degli innesti cantati. Probabilmente una voce femminile sarebbe stata più indicata, ma comunque il risultato ci è sembrato abbastanza soddisfacente. Il recitato resta comunque al primo posto, per varie ragioni. Anche per il fatto che io non so assolutamente cantare."
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Inserire dei cantati, magari proprio femminili, è un pensiero che vi stuzzica in chiave futura, oppure l'assetto è ormai determinato?
"L'assetto a dire il vero non è mai stato determinato. Quando abbiamo iniziato a suonare c'era anche un batterista, poi uscito dal gruppo, e successivamente ha fatto parte dei Malameccanica anche un tastierista, poi al suo posto è entrato Giamma al violino, che ci ha dato una mano soprattutto per "Le Pornographe". Inoltre per un po' abbiamo provato con altri tre nostri amici: David al basso esafonico, Lorenzo alla chitarra ed il Grego alla batteria. Siamo un 'collettivo aperto' (definizione che danno di sè stessi i Planet Funk). Chi vuole far parte del progetto è assolutamente ben accetto, anche qualcuno che reciti in un modo più funzionale del mio. Sarei ben lieto di lasciargli il mio posto, dedicandomi solo al basso e ai testi. Vale lo stesso per la voce femminile: se ne dovessimo trovare una adatta e disponibile, beh, perché no?"
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Quanto contano l'esperienza personale e le situazioni vissute direttamente nelle parole dei tuoi brani?
"A dire il vero ciò che vivo e come lo vivo sono i veri protagonisti dei miei testi. Come dicevo prima, io non saprei di che altro parlare. Nei miei testi tutto è autobiografico, talvolta posso ricorrere a metafore o ad un uso di aggettivi forti, ma sono sempre funzionali alla narrazione. Inoltre questi brani si prestano perfettamente ad un raccontare diverso dalla forma canzone, che ha delle regole ben precise, che richiede assonanze, rime ed una melodia vocale gradevole. Nei nostri pezzi i ritmi sono più dilatati, ho maggiori possibilità d'inserire alcune descrizioni o ragionamenti che non in una canzone dalla struttura pop. Per i pezzi de "Le Pornographe" non mi sono posto nemmeno il problema della lunghezza, cosa che per i precedenti lavori avevo fatto. Ho scritto in maniera molto libera, avevo molte cose da dire, tutte le storie raccontate nei quattordici pezzi sono legate fra loro, in tutte si respira la medesima aria. Ed è voluto. Sicuramente rispetto ad altri testi che avevo composto questa volta sono sceso in maggiore profondità, sia nel mio modo di sviscerare i fatti, sia nel modo di parlare a me stesso. Era una cosa di cui avevo bisogno, ed inoltre le basi che avevamo realizzato inevitabilmente mi spingevano a farlo. Alcuni testi erano già pronti, altri li ho scritti con le cuffiette pensando già a come impostarli vocalmente. Non sempre il risultato è ottimale, ma il tentativo è senza dubbio pregevole, almeno per me. Si delinea un'ottica non troppo lontana dal film di Bonello, malinconia, disincanto e rammarico. Sono tre chiavi di lettura che mi appartengono."
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"Malinconia, disincanto e rammarico": come sei giunto a questa ottica?
"Vivendo. Né più, né meno. È una mia personalissima visione delle cose, della realtà dei fatti, non mi aspetto che qualcuno ci si rispecchi. Anche se accadesse, non mi farebbe di certo sentire meglio. Woody Allen una volta disse : - La vita è un'esperienza tristissima - . Ancora oggi non mi sento di dargli torto."
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Le tue liriche ci riportano alla mente tre parole: sesso, sarcasmo e oscurità. Che valore dai a questi termini in relazione ai tuoi testi?
"Per dare valore e una connotazione a questi tre termini in ciò che scrivo devo inevitabilmente dare loro un valore nella mia vita di tutti i giorni. Il sesso è un linguaggio. E come tale ci sono molti modi diversi per farlo. Si può fare sesso per soddisfare un bisogno primario, per soddisfare il puro piacere, si può fare sesso perché mossi da profondo amore, per assecondare una frustrazione, per soddisfare una mancanza. Ci sono anche molti buoni motivi per non farne. Inoltre oggigiorno il sesso è ovunque. Tutti parlano di sesso, tutti parlano attraverso il sesso. Sta diventano monotono ed abusato. Non c'è nulla di male a tenerlo in stretta considerazione, ma vero è che in questi ultimi anni siamo portati ad avvicinarci al sesso come consumatori e non più empiricamente, né tantomeno per una reale volontà. Sta diventando una cosa che va fatta e basta, dimenticandosi che il corpo e la carne hanno le loro leggi. Il sarcasmo è un'arma impropria. Se lo usi male passi o da stupido o da superbo. Io sono un po' entrambi, ma certe volte vedo nel sarcasmo la giusta chiave di volta per sfatare tristi realtà. Mi viene in mente il nostro brano "I Riti Dell'Alce". È forse l'esempio migliore di ciò che intendo io per sarcasmo. È una sana figura retorica, legata indissolubilmente all'ironia, prima che verso gli altri, verso sè stessi. Io non sono un tipo simpatico, ma ironico. È già qualcosa. Quanto all'oscurità, credo sia dovuto al mio modo di rapportarmi agli eventi. Nulla per me è come realmente si presenta. Né i fatti, né tantomeno le persone. Nemmeno io sono così chiaro come vorrei, ma del resto se molti di quelli che vedo attorno a me avessero vissuto solo dieci minuti della mia vita, si sarebbero senza dubbio già attaccati al gas, e l'essere oscuri sarebbe stata solo la migliore delle possibilità. Per me invece è il risultato di alcune scelte."
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Si percepisce nei vostri testi anche l'afflizione generata dalla mancanza d'amore, quello vero: come avete inteso affrontare un tema sin troppo abusato nel contesto musicale globale?
"L'amore non è mai abusato. È far credere che sia sempre un'esperienza piacevole, che tutti possono essere amati, che l'amore è a portata di mano, ecco, queste sono cose abusate e tremendamente false e stupide. Quando scrivevo i testi non ho mai pensato : - Adesso scrivo un pezzo d'amore o sull'amore -. Viene in maniera naturale, l'amore che ci sia o meno fa parte dell'esperienza umana, la mia compresa. Trovo disgustoso il modo in cui oggi viene propinato. L'amore va prima ricercato in noi stessi. Spesso confondiamo la paura di stare soli con il reale bisogno di qualcuno. Si ama davvero per poco nel 2009. L'amore è un motore, il più grande, ma è anche un'esperienza di dolore e di profondo sacrificio. In una società così facile trovo abominevole il modo facilotto con il quale l'amore viene contestualizzato e proposto."
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Tra le vostre influenze citate alcuni nomi impensabili, e cogliamo quindi l'occasione per chiedervi chiarimenti: innanzitutto il giornalista Germano Mosconi... dietro questo nome dobbiamo leggervi un irriverente sarcasmo, oppure c'è del buono anche nel 'sommo vate della bestemmia'?
"Ah, Germano! Germano ci ha accompagnato per tutta la registrazione del disco. Ci siamo fatti delle grandissime risate con lui. No, non c'è né sarcasmo, né un valore salvifico della bestemmia: lui è un comico straordinario, solo che non lo sa! Straordinari poi sono i video realizzati da fan scatenati. Montaggi geniali sui Simpson, su Tom & Jerry ed altri, pura comicità senza filtro. E poi ha una mimica e una prossemica uniche. Peccato che Mosconi non l'abbia presa molto bene questa storia dei video. Lo capisco."
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Sul piano dell'influenza musicale fate riferimento ad alcuni grandi dell'industrial old school, come i Laibach, gli SPK e Maurizio Bianchi. Cosa vi collega a quel tipo di sound?
"Grandi amori miei. Per "Le Pornographe" io volevo un tipo di sound più industriale. Ho contagiato anche Pietro, e lentamente abbiamo iniziato ad orientare le nostre sonorità verso quel grande contenitore che è l'industrial. Sono tutti nomi fondamentali per noi. Per me personalmente Maurizio Bianchi è un maestro. C'è molto da imparare dalle sue elaborazioni. Di lui amo il modo anarchico di lavorare e soprattutto lo rispetto profondamente anche come uomo, la sua scelta di non comparire mai, di non fare live. Ha rilasciato poche interviste, e se le leggi trovi nelle sue parole una coerenza unica. Probabilmente l'esperienza di Bianchi è quella più vicina a noi, ti parlo del modo di avvicinarsi alla musica, nel detestare il baraccone, nel concentrare l'attenzione di chi ascolta sul prodotto e non sul personaggio. Per il resto, tutto l'industrial sound in una certa misura ci influenza. E ne sono fiero. È un genere così puro."
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Siete influenzati anche dalla musica classica: dal 'classico' Bach agli avanguardisti John Cage e Wendy Carlos, fino a Riz Ortolani... come rientrano tali personalità nel vostro universo sonoro?
"La conoscenza della musica classica dovrebbe essere alla base di chiunque desideri fare musica. Un'infarinatura è necessaria, come minimo. Io ho iniziato a suonare il pianoforte all'età di sei anni. L'ho fatto a lungo prima di dedicarmi al basso. Studiavo Bach, Mozart, Chopin, Rachmaninov, facevo dettato, solfeggio. Non ero un mostro, ma quel tipo di formazione negli anni successivi si è rivelata fondamentale. Inoltre i primi sperimentatori della storia avevano quasi tutti un passato da musicisti classici, tutti fortemente ancorati alla musica pura, cercavano vie nuove e ne hanno trovate di stupende. John Cage ne è un esempio lampante. Wendy Carlos invece è un pioniere (o una pioniera?) dell'elettronica, il primo ad usare il Moog. Anch'egli, guarda caso, aveva una formazione classica. Indimenticabile il suo disco "Switched-On Bach", ogni buongustaio del genere ne ha una copia, e soprattutto indimenticabile la colonna sonora che ha composto per il film di Kubrick: "Arancia Meccanica"."
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Crediamo che il vostro stile si adatti benissimo ad esibizioni dal vivo: avete già organizzato dei live? In che modo strutturereste le vostre performance?
"A dire il vero siamo da sempre stati abbastanza restii a fare live. La cosa strana è che ci sono pervenute richieste che non avremmo immaginato. Da Roma, Milano ed altri posti qui in Toscana. Potevamo anche avere l'opportunità di essere ospiti della Chansont Orchestra e conoscere anche Clementi a Cremona, ma abbiamo scelto in maniera diversa. Credo che i No meno scontati valgano di più dei Sì facili. In questo siamo pienamente d'accordo con Maurizio Bianchi: ciò che si realizza in studio e poi successivamente inciso su nastro non può in alcun modo esser riprodotto fedelmente in un live. E nemmeno occorre che avvenga. Parlo ovviamente del genere che abbracciamo. E poi, ripeto, il live non c'interessa molto, soprattutto un certo tipo di live usa e getta tanto agognato dai gruppi emergenti. Qua tutti si ammazzano fra loro per suonare alla sagra del paese e si sentono pure legittimati. Io sinceramente vedo le cose in maniera diversa. Magari sbagliata, ma almeno è la mia. Potevamo salire su palchi discreti, abbiamo detto No, grazie - con molta umiltà e con coerenza d'intenti. Ricordo ancora la bellissima frase dettami da un musicista aretino una sera in un noto pub della zona: - Con questa vostra politica non andrete tanto lontano -. Provai per lui una sincera pena. Viviamo un periodo storico in cui ciò che non è mostrato non esiste, mentre io voglio esistere in quanto sono. Tutto qui. E poi, ripeto, io tutta questa urgenza di farmi vedere davvero non ce l'ho, e se mai l'ho avuta è morta da un pezzo. C'è tanta gente che ne sente la necessità, gli lascio volentieri il posto mio, sempre ammesso che vadano bene come sostituti. L'unica proposta recente che avevamo accettato è invece saltata per altri motivi. Stavamo preparando un live, noi tre più due quarti dei Pink Ego Box e David dei Biodiversity. Due gruppi amici che ammiriamo moltissimo, con David poi ho un' amicizia stretta e due nomi che, insieme ad altre due band, formano l'esatto numero dei gruppi aretini emergenti per cui valga la pena spendere parole di stima."
"La mia, ammesso che sia davvero una disamina, resta la disamina di un individuo che guarda ai suoi prossimi trent'anni con un buco di quindici anni nella sua vita che nessuno potrà mai riempire. Un individuo che si è spostato spesso, che ha conosciuto persone, che ne ha perse altre, che vorrebbe un humus migliore, ma del resto nemmeno lui è diventato così migliore quanto avrebbe voluto. Io questo lo so e non ho problemi ad ammetterlo. Ma sono un uomo e sono in grado di sopportarlo."
(Giò)
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In futuro, comunque, sarà possibile vedervi sul palco, oppure state pensando di rimanere un progetto da studio?
"Sì, credo sia assolutamente possibile, e comunque non lo escludiamo a priori. Faremo le cose per gradi come sempre, un passo alla volta. Per me è assolutamente impossibile programmare tappe su di una lunga distanza, nella musica come nella vita. Qualche mese fa ci avevano chiesto di musicare un corto, così come avevamo in progetto di realizzare un brano insieme ad un altro gruppo della nostra città. Ancora nessuna delle due idee ha avuto un risvolto preciso. Capisci bene come le scelte e i programmi siano sempre da prendere con le molle in ambito musicale, senza enfatizzare troppo, senza distruggere quello che c'è di buono."
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Giò, se un estraneo ti dicesse questa frase ironica e pungente che conosci bene: "beati i provinciali perché saranno i primi", cosa risponderesti? E soprattutto, qual è il vero pensiero dietro a questa forte affermazione?
"Probabilmente gli direi che non è detto. In realtà quando ho scritto quella frase, che poi ho realmente pronunciato, beh, era più una cosa che stavo dicendo a me stesso. Io in fin dei conti non sarei nemmeno un provinciale, le mie origini non sono queste. Vero è che la Toscana è un po' tutta una grande provincia, vero è che non vivrei in nessun'altra regione nemmeno previo pagamento in denaro, vero è che in qualunque città sia estera che italiana in cui sono stato, mi sono sempre sentito inadeguato e straniero. Tremendamente straniero. La provincia, se vissuta bene, può offrire tempi estremamente umani, ma può anche uccidere un'esistenza intera. Oggigiorno non credo che un provinciale possa avere più verità di un abitante di una metropoli. Né credo che possa vedere le cose in maniera migliore, ma solo per un motivo: ormai i provinciali sono troppo occupati a nascondere ciò che sono, a fingersi diversi, che temo abbiano perso di vista la verità nelle cose. E tutto ciò è così desolante."
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Per concludere: quali sono gli obiettivi che vi siete posti come progetto artistico a lunga scadenza?
"Non saprei dirvelo. A dire il vero il nostro doveva essere un progetto a breve, se non brevissima distanza. Volevamo giusto fare qualche pezzo. Poi man mano ci siamo accorti che avevamo qualcosa da dire, che ancora il nostro desiderio di suonare non era totalmente esaurito. Così abbiamo continuato a registrare e ad accumulare brani. In due anni abbiamo messo su quasi trenta pezzi. Molti dei quali da rivedere e da pettinare ulteriormente. Non saprei dirvi dove finiremo, forse da nessuna parte. Tempo fa ci aveva anche cercato un'etichetta, ma anche lì abbiamo cordialmente declinato. Abbiamo comunque contatti con due label, vediamo un po' cosa salterà fuori. Soprattutto è da vedere se sia io che gli altri avremo ancora l'esigenza e il bisogno di raccontare in musica altre storie. Inoltre io adesso sono impegnato con un mio progetto industrial con il quale ho già pubblicato per la Ugly Cunt Records e la Ozky E-sound, e con il quale dovrei sfornare altro materiale per l'Alampo e la Trips Und Truame. Pietro ha altri impegni ed Andrea suona in un'altro gruppo locale. Per ora viviamo e soprattutto vivo giornalmente, ciò che ho oggi non è detto che lo avrò domani, per cui coltivo il mio orto con molta umiltà e con la fatalità che ogni essere umano vivente dovrebbe avere."
http://www.myspace.com/malameccanica
http://www.myspace.com/lecosebianche