06-10-2015
MARSEN JULES
"The Empire Of Silence"
(Oktaf)
Time: CD (55:06 + 38 min. digital bonus)
Rating : 8
Non tragga in inganno il cognome francese: Marsen Jules è tedesco (vero cognome Juhls), ma nonostante questo ha poco in comune con la proverbiale rigidità teutonica. Una parabola artistica la sua nata nell'ambito dell'ambient music e partita circa 12 anni fa con il primo CD "Lazy Sunday Funerals". Da quel momento l'attitudine di Marsen verso l'ambient ha cominciato a mutare, andando verso contorni sempre meno definiti, esplorando nuovi modi di allargare la base di un genere che può talvolta far cadere chi lo manipola nella trappola della monotonia. Non è il caso di Marsen Jules, che arriva con questo "The Empire Of Silence" al momento più alto raggiunto finora. Il tedesco tiene bene a mente la lezione di Brian Eno e non esita a deviare dalle rotte tradizionali, se questo è utile per esprimere la propria sensibilità. L'iniziale "Penstla" è un semplice drone che si arricchisce di più strati fino ad ottenere un effetto sinfonico. La successiva "Tlaslo" aumenta in variabilità, con un susseguirsi di cambi di tono che non danno punti di riferimento all'ascoltatore. Uno dei vertici del disco è rappresentato da "Katiyana", monolite di ghiaccio che riverbera i mille colori della luce che filtra in esso, un capolavoro di sfumature che esaltano i sensi. Ma se "Katiyana" rappresenta la luce, la successiva "Naklin" ne è il contraltare oscuro e inquieto, la porta che apre sul finale quieto e intimista di "Chahatlin" e "Ylaipi". In questo lavoro Jules abbandona il minimalismo degli esordi a favore di una sinfonia a tratti magniloquente, introducendo una interessante prospettiva di ispirazione, ovvero un'ambient che non descrive in musica i paesaggi interiori, ma descrive le modificazioni che un paesaggio esterno, sia esso foresta o ghiacciaio, provoca in noi stessi. Marsen non è il primo ad utilizzare tale espediente, ma la sua singolarità sta nel farlo attraverso una cura dei dettagli e dell'estetica che pochi altri hanno avuto finora. Paragonarlo ad un maestro come Brian Eno è forse prematuro, ma con un disco come questo gli si avvicina parecchio.
Ferruccio Filippi