21-07-2010
DANISH DAYCARE
"A Story Of Hurt"
(Smaragd Records)
Time: (46:30)
Rating : 5.5
La musica intesa come sfogo personale, come esternazione dei sentimenti e delle passioni che si affollano giorno dopo giorno nella nostra mente e lì vi ristagnano fino ad essere completamente assorbite, per poi lasciare che altre e altre ancora prendano il loro posto... L'essere artista in modo genuino e incondizionato, vero e proprio serbatoio di emozioni e contrasti; infine, come recita un po' banalmente la breve biografia sul myspace, l'amore, i tradimenti, la gioia, il dolore e l'amicizia. Tutto questo è Danish Daycare, progetto solista di Daniel Jonsson, che negli anni si è ritagliato un suo spazio personale pur continuando a militare in alcune band (Eyedrop ed Emerald Park) della sua città natale, Malmö. Il problema fondamentale è che molto spesso (a meno che tu non sia già qualcuno...) non basta essere genuini e sinceri per fare un buon disco, ma ci vuole molto di più. "A Story Of Hurt" è pieno di belle speranze, tenero e vitale, romantico e dolce, in alcuni tratti sognante e allegro, in altri nostalgico e pregno di una tristezza adolescenziale, ma, purtroppo, mai si lancia oltre le righe, mai sconfina da un certo stampo di musica 'alla moda' alla quale grossi colossi mediatici quali MTV ci hanno abituato. Peccato, perché si notano pregevoli spunti, come le melodie che rimandano ai lontani echi post-rock di I Love You But I've Chosen Darkness o Explosions In The Sky, ma privati di una delle caratteristiche principali del genere: il groove. Rimanendo ancorata su una base ritmica elettronica molto semplice, in alcuni casi, la musica di Danish Daycare sembra quasi prendere le sembianze di Album Leaf e Death Cab For A Cutie (per non sprofondare in nomi meno lusinghieri, presi per l'appunto dall'odierno music business di MTV), mentre in altri, come nell'iniziale "A Purpose To My Skins", pare quasi un improbabile connubio tra i Jesus And Mary Chain e i nostrani Baustelle. Quindi, proposta commerciale a tutto sesto, e che in quanto tale, andando subito ad analizzare quello che è il principale difetto, andrebbe perfezionata nelle parti vocali, non curate a sufficienza. Che il talentuoso Daniel non ce ne voglia: il songwriting è buono, ma le doti vocali non altrettanto, quindi, per sopperire a tale mancanza, si sarebbe dovuto lavorare maggiormente su cori ed effettistica. Rimane comunque la freschezza di canzoni come la già citata "A Purpose To My Skin", che poco faticherà ad entrare nei grossi circuiti, e la successiva "Second Day In June", caratterizzata da un giro di accordi dall'irresistibile mood agrodolce, ma purtroppo penalizzata da un cantato non all'altezza. Interessanti anche le melodie di "Red Dead Flowers" e "United Soil", dove il Nostro mostra di avere particolare talento nell'accostare delicate melodie di pianoforte a incalzanti schitarrate acustiche. Anche lo slancio post-rock di "She Said A Lot" lascia piacevoli sensazioni. Alle volte l'ascolto diventa invece irritante, come in "Doves" e nella title-track, che tranquillamente potrebbero rientrare in un disco dei Take That, con voci lamentose e chitarre acustiche che rasentano lo stile 'spiaggia e falò'... Aspettiamo lo svedese al varco, nella speranza che la prossima prova possa essere più coraggiosa e matura di questo "A Story Of Hurt", che pur essendo un buon disco ha parecchi punti da rivedere.
Silvio Oreste
http://www.myspace.com/danishdaycare
http://www.myspace.com/smaragdrecords