Logo DarkRoom Magazine
Darkroom List menu Room101 Room102 Room103 Room104 Room105 Room106 Room107 Room108 Room109 Reception
SYNTHPOP, FUTURE-POP, TRIP-HOP, CHILLOUT E TUTTA L'ELETTRONICA PIÙ ACCESSIBILE E MELODICA
HARSH-ELECTRO, EBM, ELECTRO-INDUSTRIAL, IDM E TUTTA L'ELETTRONICA PIÙ ABRASIVA E DISTORTA
DARKWAVE, GOTHIC, DEATHROCK, POST-PUNK E AFFINI
INDUSTRIAL, AMBIENT, POWER ELECTRONICS E TUTTE LE SONORITÀ PIÙ NERE ED OPPRIMENTI
NEOFOLK, NEOCLASSICAL, MEDIEVAL, ETHEREAL E TUTTE LE SONORITÀ PIÙ DELICATE E TRADIZIONALI
TUTTO IL METAL PIÙ GOTICO ED ALTERNATIVO CHE PUÒ INTERESSARE ANCHE IL PUBBLICO 'DARK'
TUTTE LE SONORITÀ PIÙ DIFFICILI DA CLASSIFICARE O MENO RICONDUCIBILI ALLA MUSICA OSCURA
LA STANZA CHE DEDICA LA DOVUTA ATTENZIONE ALLE REALTÀ NOSTRANE, AFFERMATE E/O EMERGENTI
LA STANZA CHE DEDICA SPAZIO ALLE BAND ANCORA SENZA CONTRATTO DISCOGRAFICO

Mailing-List:

Aggiornamenti su pubblicazioni e attività della rivista


 

Cerca nel sito



Room 107

06-11-2010

SUMMER DARKNESS FESTIVAL

Il secondo giorno: lungo il canale verso il Tivoli Oudegracht

Cover SUMMER DARKNESS FESTIVAL

Utrecht, 13-14-15/08/2010

di Nicola Tenani

foto Valentina Bonisoli

Lungo il canale, verso il sud cittadino di Utrecht, sulla sponda opposta rispetto al Duomo, il Tivoli Oudegracht (il giorno successivo andremo ad assistere ai concerti presso l'altro Tivoli, il De Helling: sono i nomi delle zone cittadine in cui sorgono) s'incastona tra negozi di anticaglie, piccoli ristoranti etnici, locali e negozietti, percorrendo quella lunghissima 'passerella fluviale' che il corso d'acqua compie verso il polder settentrionale. È appena suonato il carillon che marca il primo pomeriggio e di risposta al Tivoli sta per iniziare la lunga, intensa, superba giornata del nostro secondo giorno del Summer Darkness. Un piccolo imprevisto iniziale prevede la defezione della band olandese Sophya, prodotta da Ronny Moorings (da non confondere con il side-project della mente degli Arcana Peter Bjärgö, contemporanei protagonisti sopra un altro stage). Al loro posto i BOUDOIR, una lieta sorpresa che mi obbliga ad un futuro approfondimento di questo act olandese. Nati dal duo composto da Ala Sharon, felice cantante in grado di modulare la voce da profondi stati emotivi fino a vette heavenly, e Damon Fries (noto col progetto Jesus Complex), oggi si presentano forti dell'esperienza accumulata, spalle coperte dal clan-Xymox ed ovviamente dalla Pandaimonium: un album ricco di spunti tra mood etereo e shoegaze romantico ispirato dalle maestà storiche, tra cui Liz Fraser e My Bloody Valentine. Insieme al duo in apertura di show un supporto alle tastiere, per comporre insieme la parte più intima del live: "Sweet Storm" come opener, "Maybe Yesterday" o "Unalone" sono tre esempi di emotività compiuta tra gli ammicchi di chitarra in loop e tastiere su cui la voce di Ala 'poggia' morbida e con carattere. Poi l'ingresso di un bassista e di un percussionista per completare il sapore d'insieme di band completa, senza però mettere in ombra la prima parte così squisita. "Space Jam" è il finale di uno show dove lo shoegaze è riportato indietro di tanti anni, quanti servono per tornare alla sua nascita tra le pionieristiche canzoni dei Cocteau Twins; agli amanti del genere consiglio di cercare l'album da poco uscito. Si esce dal locale per commentare gli show, fumare, attendere amici, intrattenersi con gli artisti nei pressi dell'entrata dei camerini, ma già è ora di rientrare perché è il turno dei THE BEAUTY OF GEMINA. Le recensioni estremamente positive dei loro due primi lavori e l'intervista da noi fatta a Michael Sele nel 2008 erano sinonimo di indice puntato da parte nostra sulla gothic-band elvetica: il piacere di testimoniarvi anche una loro live-performance è grande, ed è solo l'ennesima conferma di quale affinità ci sia tra il mio concetto di grande band dark ed il suono di questi musicisti, capeggiati dalla voce di Michael. Potenti da subito: "This Time" e "One Step To Heaven" hanno quel forte odore di gothic rock d'altri tempi, vigoroso e generoso, su cui la voce del leader pennella con toni avvolgenti un sound sofferto, che si 'macchia' d'elettronica con "The Lonesome Death Of A Goth Dj" o "Shadow Dancer" e si culla di romantica decadenza per quella lenta, struggente ballata che è "End Of All", fino al finale di uno spettacolo maestoso (il termine ideale è indubbiamente questo) condotto alla fine da quella "Suicide Landscape" che apprezzammo così tanto anche in sede di recensione dell'album "A Stranger To Tears". Uno show in cui il nuovo full-lenght regna nei suoi toni così graffianti, nei riff di chitarre perfettamente calate nel loro 'nuovo' gothic-style senza perdere la tecnica di carattere professionale di un passato metal, scuola e fucina di questo bellissimo presente. Dopo di loro, i Maestri - o per lo meno tra i grandi Maestri - indiscussi della chitarra violenta ma virtuosa: William Faith e Monica Richards sono pronti per salire su un palco che li decreterà, osannandoli, tra i migliori artisti del festival, e con tutte le ragioni. I FAITH AND THE MUSE durante l'inverno passato hanno proposto lo spettacolo concentrato sull'ultimo successo ":Ankoku Butoh:" con l'ausilio delle performer Serpentine, un duo americano che grazie alle loro coreografie aumentava il carisma di uno show già intrinsecamente bello. Il duo femminile è assente ad Utrecht, Monica e William si offrono insieme ad un allestimento di artisti in cui spicca la tecnica tutta presa in potenza delle chitarre e del basso dei Christ Vs. Warhol (attenzione a questi pestiferi nuovi angeli maledetti del deathrock californiano, perché nel 2010 hanno mietuto consensi ovunque), uniti al violinista barocco Paul Mercer ed ad una drum-perfomer immersa nell'atmosfera nipponica dell'ultimo successo dei Faith And The Muse. L'ensemble inizia il proprio show completamente eterogeneo nella forma, perfetto nella sostanza. Deathrock, barocco e bushido giapponese, concentrati su un palco, sembrano antipodi stilistici: chi ha visto uno dei tanti spettacoli nei tour recenti capisce quale bellezza scenografica risieda in questo cocktail complicato. Un'ora di arte moderna e maledetta partendo dalla loro classica intro simil-Kodò (musicisti giapponesi votati alle percussioni tradizionali), dignitosissima seppur lontana anni luce da questi ultimi (chi può solo pretendere di avvicinare lo stile originale?). Scena di una malìa suggestionante, giusto per introdursi nel tessuto che tra riff e tamburi i Faith And The Muse offrono proprio con il brano "Bushido". Poi Monica arriva, ed in quel momento sale sul palco una delle grandi regine gotiche contemporanee, bellissima nel suo abito tra liberty e gotico americano, una strega che a Salem attirerebbe roghi e mortali ai suoi piedi. Voce aperta, toni alti senza mai arrancare, sfidando mode e stili,perché LEI è moda e stile, avanguardia vocale che il post-punk oggi elegge come bandiera. Nel suo gridare 'we are the underground' in "Blessed" tutti noi, insieme a lei, eravamo il popolo dell'oltretomba, dell'underground europeo, legandoci per tutto lo show ai musicisti in uno spettacolo che rimarrà a lungo tra i più bei ricordi di chi era presente. Potente anche William in "Nine Dragon": le percussioni sono di guerra antica e la sua voce, potente nello spoken-word, è come un cavo d'acciaio in tensione. Interludi di violino barocco e momenti di graziosa presenza di una dama simile ad una giovane maiko di Kyoto uniscono il '700 europeo a quello lontano dell'estremo Oriente, ricco di immaginari legati alle vie della seta, amori impossibili a suoni di punk-dark californiano speculo sulla costa Pacifica del paese del Sol Levante: riflettete un momento su questa immagine geografica per capire in parte l'apparenza dell'estremo esposto. Vittoriana e legata al passato post-Mephisto Walz di Faith, "We Go Dark" è l'ennesimo momento di gloria di ":Ankoku Butoh:", album che, erede del loro passato, proietta i FATM nel futuro. Lo stesso destino che li accomuna a chi succede loro sullo stage del Tivoli: padroni di casa e band leader della storia underground olandese, i CLAN OF XYMOX sono pronti per entusiasmare di nuovo sul palco. Formazione tipo degli ultimi anni con Ronny alla voce e chitarra, Mojca al basso ed Yvonne alle tastiere, mentre Mario Usai ha dovuto rinunciare all'ultimo momento per un leggero malore. Settaggi del sound diversificati, ma anche in tre il Clan regge, eccome se regge. "In Love We Trust" è l'album su cui puntare ed il nuovo corso in casa Trisol ha ridato smalto al Moorings del periodo 4AD, motivo supplementare per puntare su un disco che anche in sede live si amalgama perfettamente con il passato. "Emily", "In Love We Trust" stessa, "Hail Mary" si incastonano benissimo con "Louise" oppure "A Day", senza tralasciare i classici del periodo teutonico come "Farewell" o la classicissima "Jasmine And Rose", nel fatidico live che non tralascia nulla del passato come del presente, percorrendo una carriera leggendaria tra le icone del dark elettronico e gotico. Funziona tutto anche senza Mario: "Heroes" non ha la voce del 'Duca Bianco', ma nei toni scuri di Ronny trova uno smalto diverso. Unico intoppo, la lampo dei pantaloni di Ronny che l'ha tradito: se osservate bene le foto non si legge la marca dello slip indossato, ma è questione di zoomata evitata... Ora pausa: cinque intense ore under-stage meritano una cena rifocillante in uno dei meravigliosi, piccoli, numerosi locali del centro di Utrecht, sorseggiando un paio di birre e degustando uno dei tanti piatti di cucina etnica che l'Olanda propone, ricca di storia coloniale e di avventurieri in tutto il mondo. Abbiamo anche la grazia di rallentare la cena, perché sfortunatamente a causa problemi di disco rigido (il digitale, quando difetta, rovina una serata!) Grendel non può proporsi on stage, ed è un peccato perché la digestione del cibo passava anche dal ballare tra uno scatto fotografico e l'altro... Ma c'è sul palco Claus Larsen, ovvero LEÆTHER STRIP, ed anche se la computer-session degli olandesi era stuzzicante, il tabellino continua con il danese. Spesso al centro di contrasti nei giudizi, questa sera all'unanimità ha riscosso favori per uno show che dal punto di vista scenografico ha offerto ben poco, ma che tra sudore e ritmo ha caricato un Tivoli completamente riempito. Sua immensità è come tanti one-man-project dell'EBM solo al campionatore con il minimo sindacale di videografica, priva però di estremi troppo crudi come altri colleghi violentemente portano con sé; l'energia che Claus riversa su di noi è in quantità e qualità prorompente. "Mental Slavery" è l'album protagonista, ultimo full-lenght targato Alfa Matrix, label della 'rinascita' di Larsen: i nuovi pezzi funzionano, sebbene a qualcuno potrà sembrare strano... Non è il peggior lavoro in studio di Claus e nemmeno il migliore, ma è onesto, cucito per la pista, ed i suoi brani (su tutti "Introvert"), tra classici come "Desert Storm" o l'allora pionieristica "Don't Tame Your Soul" (era il 1993...), mantengono una linea che tra sudore e beat ha creato la piccola leggenda dell'omone danese. Così si conclude il secondo giorno ad Utrecht: il Tivoli è un bel locale, capiente e dotato di ottimi impianti, luci che nelle foto capterete di qualità notevole per un ambiente orientato al live-show, il tutto unito ad un'organizzazione efficace e pronta a dare risposte a tutti, dal singolo fruitore a noi, piccolo esercito della stampa. Lenti e con tanta musica meravigliosa nelle orecchie torniamo verso nord, nella zona dei polder, per riposare, anche senza dormire perché, e lo saprete meglio di me, non si dorme dopo una giornata simile, ma si rivive ogni singolo istante. Eppure quel vento che soffia dall'Atlantico è l'ulteriore appendice musicale che ci culla nella sua ninna-nanna naturale... La nostra ospite domani ci rifocillerà con l'ennesima, rinvigorente colazione nordica e noi vi daremo il resoconto, le immagini, i sapori ed i suoni della terza, magnifica giornata del Summer Darkness... stay tuned!