06-10-2010
SUMMER DARKNESS FESTIVAL
Il primo giorno: il Duomo
Utrecht, 13-14-15/08/2010
di Nicola Tenani
foto Valentina Bonisoli
Una città che ha un canale come spina dorsale: questa è Utrecht, in sintesi. Ai lati di esso la vita, i negozi, le mille e mille biciclette che frenetiche sfiorano i pedoni correndo ai lati del corso d'acqua, le house-boat colorate e fiorite anche quando una parte di esse, verso la periferia Nord, è destinato alla prostituzione. Scandalizzati? Non fatelo di fronte all'assenza di ipocrisia del popolo olandese, perché nella normalità di vivere tra ragazze seminude che vendono nella legalità il proprio corpo tra bionde valchirie in latex o transessuali di colore, lo stesso olandese mantiene assenza di ipocrisia anche nei confronti di chi è diverso, in primis il diversamente abile nelle sue molteplici forme, ma che nella sfortuna trova solidarietà sociale tradotta in vita quotidiana sostenibile. La stessa bonaria indifferenza che gli abitanti della cittadina olandese rivolgono al popolo gotico, qui giunto da ogni angolo d'Europa, accolto con generosità ospitale. Un popolo non numeroso come per altre analoghe manifestazioni (ovviamente il mio pensiero corre ad Hildesheim per il M'era Luna o a Lipsia per il WGT), ma che in Utrecht trova risposte adeguate alla 'fame' di musica di qualità; per intenderci, gli amanti della gallery, coloro che cercano lo shoot fotografico in ogni frangente, sono una risicatissima parte dell'audience, fortunatamente più concentrata sulle band. Il primo giorno decidiamo di omaggiare la parte 'open' dedicata: la piazza del Duomo, un edificio non immenso pensando alle cattedrali francesi o ad altre costruzioni religiose simili in Germania, ma bello nella sua variabile salita verso il cielo, un inno al gotico fiammeggiato impuro ma fascinoso. Scegliamo questa location (i live qui si ripeteranno simili nei giorni successivi, perché è stato giustamente deciso di concentrarvi le band votate al celtic, più aggregative anche di frange non inquadrate nel classico gothic lifestyle). Un palco, un mercatino non immenso ma di ottima qualità, sia nel fashion che nell'offerta musicale, con proposte specializzate sia negli accessori che nella bigiotteria, il duomo alle spalle ed un centro ristoro dai prezzi competitivi, ossia tutto ciò che serve per trascorrere una giornata on plein air di musica e ballo. L'evento sarà all'imbrunire, e nell'escalation del cartellone di oggi la giornata avrà un culmine di grande spessore; sono le 14:00, il sole splende, una ghironda suona, un violino la insegue a ruota: è iniziato il Festival. Nella piazza si balla la quadriglia o la ghironda, le figure scozzesi di coppia o di gruppo, l'aria fresca di brezza proveniente dal mare del Nord non lontano rinfresca i volti e l'Europa sta esistendo nella sua forma più eccelsa, la cultura, quella che tutti i politici della Comunità non vogliono coagulare, e quella celtica è una grande madre per tutti noi che siamo lì uniti nel saltare, inchinarci, sorridere insieme ai KELTEN ZONDER GRENZEN ed alla loro proposta, non così limitata al pagan folk ma aperta verso altre forme, tra cui l'antica mazurca, in cui si avvertono echi non troppo lontani di danza Klezmer. Ghironda, arpa celtica, violino e batteria sono protagonisti di un suono che ricorda i Faun od i connazionali Omnia, ma che spazia nei territori del folk più eterogenei, immedesimandosi nel popolare respiro di sagra antica e locale; tre ragazze ed un ragazzo, pronti al sorriso sotto le cuffie delle signore, così simili a quelle quacchere (nasce infatti in queste terre la puritana Società Degli Amici nel 1600). Padroni dei loro affascinanti strumenti, ci donano un gradevolissimo inizio di festival a cui la gente risponde ballando con figure precise e studiate, accogliendo i sorrisi dei passanti ammirati. Ora è il popolo goth che ospita la gente 'comune', aprendosi e porgendosi in una delle sue mille, stupende facce sonore, ed il concerto è un successo per tutti questi motivi. "Jigtime" e "Bourree De Diable" sono i momenti per cui più persone scelgono il ballo porgendo la mano alle dame, girando, inchinandosi, sorridendo, sempre sorridendo. Con "Grap-A-Jack" si chiude il loro piccolo show, ripetuto nei giorni successivi in questo 'celtic-corner' in cui seguono, di nuovo olandesi (e per lo più proprio di Utrecht), gli STAATSEINDE. È la lezione più profonda impartita dall'organizzazione: le band locali sono protagoniste per numero e qualità, e degli Staatseinde rimarranno in noi ricordi contrastanti, anche estremi, ma di certo non l'indifferenza. La prima parte dello show vive una performance in bilico tra il visionario e l'electro-ska-punk, sbilanciata su risvolti demenziali da 'Commodore generation' che sta crescendo nuove orde di musicisti che spolverano dagli armadi del vintage vecchi suoni, prodotti da Amiga od appunto Commodore, arricchendone gli arrangiamenti con samples seriosi, basso, percussioni e riportando il contesto in ambiti electroclash anche danceable. Una musica godibile che ammicca al future-pop di stampo scandinavo, un meltin' pot tra influenze opposte ma ben conciliate: un ottimo basso e nevrosi gestite tra rimandi ai Die Perlen sono l'ottima miscela a cui la gente ha risposto con curiosità ed interesse, ma che però ha peccato nel non mantenere la tensione nel lungo periodo, cedendo verso la quarta canzone...Fino al momento in cui Kommander Neorei (frontman e mente della band) rimane solo con il suo carisma, un buon numero di samples da giocarsi in un finale power/ironico e una notevole espressività, feroce ed ispirata. Positiva anche la prestazione di questo act per noi inedito. Tutto mentre turisti incuriositi ammiravano un popolo variegato, perché il popolo nero è davvero una stirpe di suo; una sposa esce dal duomo baciata ridendo da un gruppo di cyber, il sole va e viene, il festival cresce lento verso il suo apice serale. Sul palco ora gli ORFEO, e la gente di nuovo in pista: si ritorna a danzare come in Europa, un po' in tutta l'Europa, dal Settecento in poi era dovere fare: coppie o quadriglie, figure e schemi, gli Orfeo sono la versione completa dei Kelter Zonder Grenzen (che di essi è una piccola appendice parallela), il progetto più orientato alla filologia pura. Un'occasione d'oro per ambedue gli act per proporre in esclusiva nel Festival il nuovo album, una vetrina internazionale da giocarsi con coraggio, due debut-album pronti per entrare nel circuito, ora nutrito, del folk-celtico. È proprio "Inferno" il leit motiv dello show degli Orfeo, e sull'intero album vengono concentrate risorse ed energie. Il violino, i flauti di Erica, le chitarre, di nuovo la ghironda con Marco, l'arpa suonata da Lies, il contrabbasso di Paul (anche voce aggiunta) e la batteria di Rutger uniscono suoni che scivolano gentili nella nicchia occupata da Faun ed Omnia, nonostante gli Orfeo siano meno figli diretti del gothic-folk, ma nipoti della danza pura. Brani come la title-track, "Gini's Waltz", "Space" o "Chique" dal vivo profumano di antico risvolto popolare, il folkish della musica fatta, nata e voluta per la gente comune, rurale con semplicità nel momento in cui può essere festa. Atmosfere di covoni e raccolto, il pagus riunito intorno ai musici, ed il suono nella sua orchestralità è indubbiamente piacevole, peccando solo nell'assenza prolungata delle voci, per una musica che invece si presta molto all'impiego corale e tribale (pensate ai Corvux Corax) del canto. Sono sicuro che la loro formula di villaggio in festa, di popolo che gioisce, crescerà tra le formule del medieval. Ancora più filologici i KREBBEL, un trio di itineranti che non vuole il palco ma il volgo, e per lui suona la sua musica. Tre musici (normalmente la formazione è molto numerosa) che in questa location scelgono l'essenza del trio girovago tra la folla, proponendo il loro folk sempre in tema con il rinascimento olandese: una gradita performance aspettando, dopo tanta Olanda, la prima rappresentanza non 'orange' della giornata: i nostri SPIRITUAL FRONT. Dopo un rapido soundcheck Simone, Andrea, Giorgio e Federico, insieme ad un elemento aggiunto alla tastiera, sono di nuovo su un palco, seducendo e ammaliando la platea. Gli organizzatori hanno previsto per loro due show in due location diverse: vista la popolarità dei romani, come per gli Ianva, due occasioni permetteranno a chi li perdesse oggi di rivederli l'indomani. Ho sempre reputato gli Spiritual Front una band che ha maturato un successo incredibile in un lasso di tempo rapido, raccogliendo relativamente presto allori internazionali, questo esulando dalle indiscusse doti tecniche. Il carisma del leader, ma non solo: la sfacciataggine di bandidos eleganti ed alcune ottime canzoni li hanno innalzati tra i maggiori eredi di Wall Of Voodoo, ed il saper dosare questi suoni con le influenze dark-folk ha creato il piccolo mito Spiritual Front, tra ballate e canzoni meno dolci ed orecchiabili. Al momento in cui ci troviamo in terra olandese mancano davvero pochi giorni all'uscita del nuovo acclamato "Roma Rotten Casino", e ad Utrecht, su un palco all'aperto di fianco al Duomo, inizia un'ora di canzoni cantate dal folto pubblico presente. Brani cantabili qui come in un locale chiuso, davanti ad un falò ma anche ad un tavolo di un'osteria borgatara di Trastevere; mentre iniziava lo show, ho capito la formula del successo dei quattro romani: la loro maturata bravura sul palco ed un pizzico di malizia nel comporre brani live-oriented. Allora funziona tutto, dalla ormai 'datata' "Soul Gambler" fino ai successi di "Armageddon Gigolò", tra "The Shining Circle" passando per "No Kisses On The Mouth", transitando (e come non farlo?) da quella "Jesus Died In Las Vegas" che ha segnato la svolta importante nella carriera degli Spiritual Front. Anche i nuovi brani nella dimensione live hanno la capacità di amalgamarsi con quelli più datati senza che si sentano stacchi, e ciò non vuol dire che il nuovo album sia la fotocopia del precedente, ma che la band romana riesce a gestire un live-show staccando l'originale da ciò che lo stage richiede. È il crepuscolo, la sagoma del Duomo è ora imponente e non bonaria, scura sotto un cielo di nuvole violacee, un'atmosfera al massimo esponenziale del retrogusto gotico; in quel Duomo entriamo con reverenza, ma non strettamente cristiana: sulla navata centrale è stato adibito un palco dove, tra pochi minuti, l'EVENTO avrà inizio. Una leggenda sale su quel palco: è più vecchio ora, ma non nella voce o nello sguardo, non nelle dita che suonano ancora con classe la chitarra, non nella mente che ha appena concepito l'ennesimo successo, "Ark". È BRENDAN PERRY che sale sul palco, e con lui la storia del goth, un pezzo enorme di storia, e subito la leggenda inizia con "The Arcane" riportando le lancette indietro fino al 1984, quando uscì l'EP "Garden Of The Arcane Delights", che seguiva di pochi mesi "Dead Can Dance" e che fondava un nuovo modo di intendere il dark come suono, ora anche ancestrale ed etnico, scuro e primitivo. Insieme a Brendan Perry un gruppo di musicisti capaci, tra cui, per la vocalità eterea di supporto, è ovviamente spiccata Astrid Williamson alla tastiera. "Utopia" "Winter Sun", "This Boy" sono i momenti del nuovo lavoro che hanno brillato, ancora freschi della classe dell'australiano; tra brani di datazione storica, che brividi quella "Song To The Siren" nel bel mezzo dello show, inaspettata e magica anche tra le note grevi della sua voce, così diversa da quella di lady Fraser. Così come "Voyage Of Bran" o "Medusa", oramai immortali brani nati nel 1999 e cuciti in quel manto dorato che fu "Eye Of The Hunter". Eppure so di non essere riuscito a rendere nemmeno un decimo del misticismo che tra tutti noi generava una cupola di ammirazione per quell'uomo incredibile, una mente perfetta in un cuore enorme. Il festival volendo potrebbe continuare, ma il top è già stato raggiunto e torniamo all'hotel soddisfatti: inutile aggiungere altro ad una primo giorno terminato tra vette così perfette, ci rivedremo domani per un'altra incredibile giornata di musica...