01-03-2010
ULVER + Void Ov Voices
European Tour 2010
Torino, Sala Espace, 18/02/2010
di Silvio Oreste
foto Silvio Oreste
Gli Ulver, una delle più coraggiose band in circolazione, approdano per la prima volta nella loro carriera in Italia, e più precisamente a Torino e Ravenna. Sono molto curioso di valutare quale tipo di spettacolo propinino attualmente i norvegesi, dopo aver sperimentato negli anni numerosi stili e contaminazioni, per un sound in costante evoluzione. Si dice che abbiano completamente accantonato i suoni black metal che li avevano caratterizzati agli esordi, quando col debut "Bergtatt" erano giunti, a detta di molti, all'apice della composizione e allo zenit del suddetto genere. L'abbandono in fase live di queste sonorità è comunque comprensibile, dal momento che un simile approccio necessiterebbe di una strumentazione completamente diversa da quella che attualmente propongono: i Nostri si avvalgono infatti di una consolle da dj e campionatori vari, oltre a un timpano e sintetizzatori, coadiuvati da 'normali' strumenti quali chitarra, pianoforte e batteria. Sarebbe stato impossibile, oltre che inutile e troppo disomogeneo, proporre uno spettacolo variegato al punto di conglobare in un unico concerto tutta la loro produzione. La storia di Kristoffer 'Garm' Rygg e soci passa infatti dai lidi più disparati: prima la sperimentazione elettronica con album quali "Themes From William Blake's..." e "Metamorphosis", dove l'approccio metal si fonde e confonde e si insegue in uno schizofrenico pout-pourri con gli insegnamenti di gruppi quali Autechre e Coil, quindi l'approccio più marcatamente trip-hop di "Perdition City", già più omogeneo e unidirezionale rispetto ai precedenti. Infine l'accostamento all'ambient degli ultimi tre album e il mondo delle colonne sonore di "Lyckantropen" e "Svidd Neger". E come non dimenticarsi degli immensi dischi degli Arcturus e del progetto Head Control System, dove Garm dà ancora una volta sfoggio delle sue capacità canore e della sua immensa poliedricità? In sostanza una creatura in costante movimento, quella degli Ulver, una ricerca sonora senza pace, una costante evoluzione, a volte un po' confusionaria e altre volte magnificamente riuscita, ma comunque sempre coraggiosamente ricercata. La curiosità per questo concerto è altamente palpabile nella Sala Espace di Torino, e i presenti sbirciano sul palco in cerca di qualche indizio. Ma non è ancora tempo. Il pubblico presente (a occhio circa 500 persone) deve essere iniziato ad ogni tipo di sperimentazione, prima di godere della presenza degli Ulver. Per la precisione è letteralmente costretto a 'subire' la performance di VOID OV VOICES, progetto solista dell'ungherese Attila Csihar, voce dei norvegesi Mayhem e di molti altri importanti progetti in passato (Tormentor, Plasma Pool etc...). Ciò che ci è proposto da quest'uomo incappucciato con un lungo saio nero e che si serve di due sole candele come effetti luce, non è nient'altro che una sovrapposizione infinita di voci registrate sul momento tramite una loop-station. Sarebbe anche interessante e più o meno originale, se non fosse altro che ascoltare sibili e gorgheggi e scream vocals di vario tipo, per la durata di oltre mezz'ora, non è umanamente concepibile nemmeno sotto l'effetto di chissà quali ipnotiche droghe. Eppure a qualcuno è piaciuto. Al termine dello spettacolo si sono levati applausi spontanei (forse per la liberazione...). Poi è finalmente la volta dei 'Lupi' norvegesi, gli ULVER, che aprono le danze con due brani tratti dall'ultimo "Shadows Of The Sun". Se su "Eos" la voce di Garm sembra un po' fredda e titubante (ma d'altronde sfido qualunque cantante ad essere in forma perfetta al primo brano), con "Let The Children Go" si lascia andare a suggestive concatenazioni di ritmi tra il suo timpano e la batteria. È poi la volta della stupenda "Little Blue Bird", unico estratto da "A Quick Fix For Melancholy", dove l'imponente orchestralità del brano è accompagnata egregiamente dalle immagini sullo schermo di "Olympia" di Leni Riefenstahl. Si passa quindi al suono più tradizionale di "Rock Massif" e alla celebre "For The Love Of God", che inaugura un trittico di canzoni estratte dall'album "Blood Inside". Molto affascinante risulta il perfetto amalgama tra gli strumenti tradizionali (suonati per la quasi totalità da O'Sullivan, che si districa tra basso, chitarre e pianoforte) e l'abbondante elettronica di sottofondo, alla quale si sovrappone occasionalmente il batterista con tempismo e precisione, variando tra ritmi pseudo-jazz e sfuriate tra l'heavy e la jungle. Poi la tensione sfuma e ci si rilassa nuovamente con le delicate "Funebre" e "Silence Teaches You...", per poi passare a brani più datati e trip-hop quali "Plates 16/17" e i due estratti da "Perdition City", "Hallways Of Always" e "Porn Piece...". Si chiude quindi con la calma sognante di "Like Music" e "Not Saved", che si fondono in un tutt'uno grazie al dolce pianoforte di O'Sullivan e al gong che Garm percuote metronomicamente, dopo essere rimasto accovacciato per una decina di minuti. "The rest is silence" è poi l'enorme scritta che appare sullo schermo. E così sarà: niente bis, solo un veloce ringraziamento (la comunicazione verbale col pubblico non è di certo il loro forte...) e l'amara consapevolezza della fine.