14-07-2008
TODESBONDEN
"Sleep Now, Quiet Forest"
(Prophecy/Audioglobe)
Time: (55:46)
Rating : 8
Da un'idea di Laurie Ann Haus, cantante dell'ensemble neoclassico Autumn Tears (il cui ultimo disco è stato recensito positivamente su queste stesse pagine), nascono i Todesbonden, quintetto statunitense che, per lo spessore e la passionalità intrisi nelle proprie composizioni, richiama alla mente il periodo d'oro del gothic metal 'al femminile', quello in cui le regine incontrastate del genere militavano in tre titani del calibro di The Gathering, Theatre Of Tragedy e The 3rd And The Mortal. "Sleep Now, Quiet Forest", debutto ufficiale dei Nostri, arrivato a quattro anni di distanza dal buon EP d'esordio "Stormbringer", riporta in auge il discorso che le suddette formazioni si sono ormai da anni lasciate alle spalle, mescolando la tipica solennità della voce di Laurie Ann, sempre in bilico tra registri lirici ed eterei, a riff di chitarra e sezioni ritmiche di chiara derivazione doom ed agli eleganti ed oscuri arabeschi intessuti dal pianoforte di James Lamb e dal violino di Patrick Geddes (strumenti che, una volta tanto, non rivestono il ruolo di semplici comprimari, ma quello di veri e propri protagonisti dell'album, in compagnia della virtuosa e versatile ugola della Haus). I Todesbonden, a differenza di molti epigoni dell'ultima ora, scongiurano con encomiabile maestria il pericolo di propinare all'ascoltatore un sound totalmente anacronistico, ricorrendo ad un abbondante uso di melodie, ora epico-sinfoniche ora folkloristiche, che tanto devono alle tradizioni musicali celtiche, mediorientali e balcaniche. Questi ragazzi devono per forza di cose essere cresciuti, artisticamente parlando, ascoltando i vecchi capolavori dei Dead Can Dance e le varie colonne sonore firmate da Lisa Gerrard, dato che l'influenza dell'immortale duo australiano aleggia (addirittura) al di sopra dei robusti (ma calibrati) interventi delle chitarre elettriche e si fa sentire ancor più chiaramente nelle parentesi più pacate e malinconiche del disco (quantitativamente in vantaggio rispetto alle sferzate 'metalliche'), al contempo memori dell'importante lezione impartita da un'altra dea della Musica quale è Loreena McKennitt. Gli intensi ed opalescenti incontri tra le due anime del disco (le quali, soltanto in apparenza, potrebbero sembrare separate) elargiscono un'estasi empatica che da tempo non si riusciva a scorgere in altri dischi dello stesso genere: sono proprio la sognante "Surrender To The Sea", la vespertina "Ghost Of A Crescent Moon" (che, grazie ad una sublime linea vocale e ad un tormentoso e romantico finale, può tranquillamente raggiungere lo status di capolavoro, non soltanto tra gli amanti di queste sonorità) e l'epica "Battle Of Kadesh", immersa in un sinfonismo ancestrale e battagliero, a risollevare le sorti generali di una scena che, negli ultimi mesi, si è spesso seduta sugli allori per riciclare stereotipi ed altre amenità che ormai non ci impressionano più. Ed ora, cullati da queste romantiche visioni, possiamo dormire sonni tranquilli: il metal in gonnella ha trovato una nuova stella da far brillare, sempre più intensamente, nel suo vasto firmamento.
Marco Belafatti