22-09-2015
MOLOCH
"Die Isolation"
(Cold Spring)
Time: CD (51:50)
Rating : 7
Moloch, vero nome Sergiy Fjordsson, può essere considerato come uno dei pochi puristi ed esteti della scena black metal europea rimasti in circolazione. Ucraino, con alle spalle una produzione sterminata - più di 80 release tra album, singoli, EP, split e compilation - rigorosamente registrata in particolari ambienti quali foreste della sua terra, prigioni o luoghi abbandonati, caratteristica che rende il sound 'raw' di Moloch ancora più sporco e corrosivo, complici anche gli strumenti di registrazione rigorosamente analogici che vengono preferiti dall'artista durante le sue oscure session di field recordings, ha nel suo one-man-project uno dei tanti sfoghi creativi, essendo anche pittore, fotografo, creatore di loghi per altre band black metal e collaboratore con molti progetti grandi o piccoli della scena noise, drone, dark ambient o black, oltre a portare avanti il suo progetto collaterale Saturn Form Essence, dove sonda i misteri dello spazio attraverso sperimentazioni noise/drone. Con un'attività oramai decennale, Fjordsson approda su Cold Spring con un'opera degna della purezza raw alla quale Moloch ci ha abituati sin dal 2006, quando iniziò la sua produzione di album prettamente raw black con accenni atmospheric black in certi giri di chitarra ed elementi di depressive black nel peculiare scream disperato e viscerale del leader, senza dimenticare gli inserti dark ambient che per sua stessa ammissione richiamano l'approccio sospeso ed ipnotico delle lunghe suite di synth utilizzate da Burzum in certe sue produzioni. "Die Isolation" funziona come una sorta di rivisitazione del precedente "Isolation Der Essenz" del 2010, riproponendone alcuni pezzi intervallati stavolta non da inserti dark ambient malinconico fatto di sospensioni di synth e tristi note di pianoforte, ma da interludi di chitarra straziata e sporca, per un album che ha insita in sé la disperazione delle anime intrappolate nelle foreste dei Carpazi dove quest'ultimo è stato registrato. L'album è uscito in tre edizioni negli ultimi mesi: una versione in vinile bianco limitata a 300 esemplari per la Desire Records, una in cassetta limitata a soli 100 pezzi e quella in CD jewel case, qui in esame. Dedicato "alla nostra essenza dimenticata di un solitario e puro elitarismo black metal", l'album è un coacervo ribollente di chitarre sgraziate e dilanianti, un vorticare marcescente e corrosivo dove a comandare sono irrimediabilmente le taglienti atmosfere caustiche dello strumento assieme alla disperazione urlata del leader, elementi talmente tanto spinti all'estremo da coprire la scarna e mal registrata ritmica di sottofondo. La ridondanza dà un senso di ipnosi marcia e le urla devastano il nostro corpo inerme dandogli il colpo di grazia. Puro, viscerale metal oscuro per i pochi eletti che ancora sostengono e seguono la scena e la sua purezza compositiva sporca, e per questo meravigliosa. Unici elementi fuori dal caos devastante che tutto permea sono la breve intro dai synth oscuri e la lunga suite conclusiva "Abgrund Meines Wesenz", classica chiosa à la Moloch dove per più di 20 minuti veniamo trasportati in un'ipnosi catartica alienante, altro grande lascito di Burzum - assieme a certe marce dilanianti che lo precedono - dove la stessa nota o lo stesso effetto vengono ripetuti per tutta la durata del pezzo cambiandone giusto il tono, che dai picchi space ambient dell'inizio approda a più freddi ed occlusivi paesaggi dungeon-synth sul finale. L'album colpisce sia per la sua rozzezza che per la sua aura di elitarismo, simbolo di una scena black ancora prolifica che brulica e si autoalimenta tra le sue file di fanatici ed artisti validi. Ottimo modo per conoscere un artista fervido ed iperproduttivo come Sergiy, poliedrico narratore di caos e disperazione, di misantropia e vittoria della natura sull'uomo, che ancora nel 2015 preferisce utilizzare le scarne registrazioni degli albori della scena per veicolare il suo messaggio, dimostrando una purezza di spirito ed un attaccamento al movimento davvero lodevole.
Lorenzo Nobili