15-03-2010
GENITORTURERS
"Blackheart Revolution"
(Season Of Mist)
Time: (45:48)
Rating : 6.5
"La rock band più sexy del mondo è tornata!" recita (con un po' di presunzione) il retro copertina del promo dell'ultimo full-lenght dei Genitorturers. Che la fama degli americani sia dovuta soprattutto a spettacoli al limite del legale con provocazioni legate a sesso, erotismo, cascate di bondage, giochini perversi e robe simili, lo sapevamo da ormai più di una decade; eravamo anche al corrente che i Genitorturers non abbiano mai avuto grosse pretese artistiche, ma porre l'immagine prima della musica e ammetterlo così sfacciatamente, nel migliore dei casi conduce a una dicotomica conclusione: da una parte toglie immediatamente un punto all'album, dall'altra ne dà mezzo per l'onestà (per lo meno non ce la menano che questo è il capolavoro del nuovo millennio...). Che oltretutto siano passati otto anni dall'ultima loro produzione (l'EP "Flesh Is The Law" del 2001, cui ha fatto seguito solamente una versione giapponese della medesima release con tracklist differente e rimpolpata ed un DVD nel 2007) non è un fatto irrilevante, e se ne sentono subito le conseguenze: la seduttiva Gen e il marito David Vincent (Morbid Angel) smussano infatti gli angoli all'architettura dei brani, affinano e puliscono la ruvidezza dei suoni e ricercano ritornelli di facile presa, presentando in definitiva un industrial rock di chiara matrice pop. "Blackheart Revolution" è un disco che sprizza goliardica vitalità, sbarazzina e adolescenziale voglia di fare casino: sembra di immergersi nelle atmosfere delle pellicole americane anni ottanta, con tanto di festa in piscina e Twisted Sister di sottofondo. Le chitarre sono comunque graffianti e spesse quanto basta, il drumming tirato e danzereccio, la voce di Gen esplosiva e seducente nonostante i refrain molto facili, alle volte quasi imbarazzanti per l'accostarsi a certi cliché rock nei quali il ritornello stesso è impostato in modo da essere ripetuto dal pubblico (come in "Louder") a tempo di batteria nel momentaneo 'svuotamento sonoro'. Marylin Manson e White Zombie che incontrano lo street metal dei Motley Crue. Di oscuro c'è ben poco, qui il tutto è solo piacevolmente energico. Se "Revolution" è un ottimo brano d'apertura, tirato e orecchiabile ma mai ruffiano, con la seguente "Kabangin' All Night" si sfiora quasi il plagio, talmente il ritmo iniziale di batteria e il seguente riff di chitarra ricordano la sempreverde mansoniana "The Beautiful People". "Devil In A Bottle" è puro e classico hard rock con spruzzatine qua e là di elettronica e suoni industrial (nell'accezione americana, ovviamente). La seguente "Falling Star" e "Vampire Lover" prendono invece il sentiero singolare dell'alternative più commerciale. Il pezzo più oscuro e sperimentale è invece "Confessions Of A Blackheart", dove un cantato teatrale si arrampica su synth orrorifici e chitarre alla Rammstein. "Cum Junkie" è fastidiosamente ruffiana nel suo incedere dance e nel suo ritornello spudoratamente diretto. Ciò nonostante è difficile non provare simpatia per il fresco e onesto vecchio hard rock di "Blackheart Revolution", sapientemente riadattato ai tempi d'oggi. Ben prodotto, curato a puntino nei suoni e negli arrangiamenti. Da ascoltare non più di cinque volte o si rischia la nausea, talmente è di facile presa. Adatto ai nostalgici del vecchio glam rock che non disdegnano i suoni odierni. Perfetto per feste altamente alcoliche o per stare superficialmente energici.
Silvio Oreste
http://www.season-of-mist.com/