27-06-2012
VERNEY 1826
"Silence Du Tombeau"
(Shelley Schellack)
Time: (57:53)
Rating : 7.5
Sebbene sia passato un solo anno dal ben accolto "Sacrow", la creatura di Lionel Verney (al secolo Meiko Richert) torna sulle scene col terzo full-length, abbandonando la Shinto Records e passando sotto le cure della piccola Shelley Schellack, etichetta gestita dallo stesso mastermind del progetto tedesco. Integrata a tempo pieno Anna Aliena, ex-voce del duo ShirayasDream, e reclutati Vakna Roek (chitarra) ed Ivo (voce e fisarmonica in due brani), Lionel conduce il suono di Verney 1826 verso una dimensione ancor più intima, ombrosa e riflessiva, dismettendo certe vesti marziali e/o sinfoniche ed abbracciando lo spirito del 'silenzio del sepolcro', come il titolo ci vuole suggerire. Il suadente manto elettronico e le ariose melodie sintetiche garantiscono un'eleganza nelle movenze su cui una voce di stampo lirico qual è quella di Anna trova terreno fertile, come svela da subito nei suoi tratti vicini al trip-hop "The Death Of Innocence", e come ben ribadiscono "Sophia", "Choralshore" e "Dorian". Fine compositore ed assemblatore di campionamenti, Lionel amplia anche il proprio apporto vocale, risultando un ruvido e gradito contraltare quando le sue vocals si tingono d'asprezza (la sottile "Suum Cuique", l'austero dark-folk di "Baron P."), utile anche quando sono gli spoken words a rivestire un ruolo fondamentale nella narrazione concettuale dell'opera. Supportata dalla calzante produzione, questa terza fatica sulla lunga distanza (edita in CDr professionale in sole 50 copie) evidenzia con rinnovata forza la completezza del songwriting dai tratti scuri di Lionel, e non è quindi un caso imbattersi in una "The Golden Age" che profuma di Death In June, così come nella tetra "Ulalume", dilaniata da potenti bordate industriali; è tuttavia quell'intimismo oscuro già espresso con ottimi risultati in precedenza da Verney 1826 a colpire ancora una volta nel segno, e a dimostrarlo ci sono splendidi momenti come la profetica "Ruins Of Udolpho" o il requiem conclusivo "An Endlosen Gestaden Der Leere", ma non sono da meno "Sympathy", ben condotta tra campane e cori gregoriani, ed una "Caputh, Sommer 1932" che rimanda ad un dark-folk dalla notevole forza suggestiva. Sempre più consapevole del proprio talento compositivo, Lionel Verney prosegue nel suo cammino artistico attorniato da musicisti abili e funzionali alla causa, e l'impressione è che, una volta superate le ultime costrizioni mentali, il capolavoro sia alla portata del musicista tedesco: dal canto nostro, continuiamo con convinzione a suggerirvi di dedicare la dovuta attenzione alla bellezza oscura della musica di Verney 1826.
Roberto Alessandro Filippozzi
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