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20-06-2009

NERORCHESTRA FOLK FESTIVAL

:OF THE WAND AND THE MOON: + Condanna + Roma Amor + Yggdrasil

Cover NERORCHESTRA FOLK FESTIVAL

Bologna, Kindergarten, 06/06/2009

di Nicola Tenani

foto Valentina Bonisoli

Setlist YGGDRASIL:

The Dance
Norns
The Hidden Rose
Fields Of Sunset
Rebirth
Oblivion
Daelight Nightime
Shining Old Sun
Forever At Your Mercy
Horizon

Setlist ROMA AMOR:

Der Treve Hvsar
Next
Les Amants De Saint Jean
A Cosa Pensi
Mother Fist
You Haven't Changed
La Zirinelda
Lo-lo-lo
Amsterdam

Setlist CONDANNA:

Anatomia Del Caso, L'Arte È Morte
Primavera
Sangue Di Cane
Invito
....(brano in fase di definizione)
Non Credere, Non Volere, Non Esistere

È tradizione di fine stagione che il Decadence (organizzatore delle serate oscure bolognesi) si sposti come anche quest'anno dalla location del Millennium verso il Kindergarten, più contenuto ma azzeccato per questi mini-festival estemporanei. Memore delle critiche passate, il NerOrchestra è stato idealizzato con procedura diversa: meno band, orario consono a quattro live da proporre, dj-set presenti ma non invasivi. In questo assetto la serata è stata piacevole senza scadere nel tour de force di inizi inoltrati nel cuore della notte, con troppi live da proporre in un lasso di tempo esiguo. Soundcheck e settaggi al mixer in tempi ragionevoli hanno premiato il suono di un locale dall'ottima acustica. Unico neo: i presenti... Pochi: un'ottantina di persone che, con un headliner di rilievo come Kim Larsen, sono un'armata esigua. :Of The Wand And The Moon: è un concerto non scontato presso i nostri lidi. In ogni caso, non proprio alle 21 come previsto ma in un ragionevole ritardo di una quarantina di minuti, un po' in sordina è iniziato il festival con il gruppo di casa, gli YGGDRASIL, a fare gli onori. Li vidi un paio d'anni fa di supporto agli Spiritual Front e non mi fecero impazzire; li ho trovati maturati artisticamente, anche se alcune soluzioni mi lasciano di nuovo perplesso. Su tutte, l'uso di due chitarre acustiche che eseguono quasi i medesimi accordi: è una soluzione di cui il neofolk come genere è inflazionato, andrebbe in parte sviluppata verso suoni più ampi e meno scontati. A volte non bastano campane tubolari e tamburi marziali a riempire un suono scarno. Però segnali interessanti da questo live d'apertura ne sono arrivati, e più di uno. Su tutti la voce di Virgina, intonata e non forzata, emotiva nei momenti in cui occorre, sognata quasi sempre: è il vero punto di forza del quintetto composto da Ahndy, fondatore in passato di un'altra realtà locale in ambito folk-dark come i Lia Fail; stasera la defezione di Nimue alle tastiere, sostituita in ultimo dal percussionista Axel, che doppia Ahndy, ha in parte condizionato la resa acustica. Ciò ha creato squilibrio all'ensemble, ragion per cui spero in futuro di rivederli con una formazione non rimaneggiata. Alcune buone song eseguite, come "Norns", in cui l'ottima voce di Virgina si eleva rispetto a quella di Ahndy, così come in "The Hidden Rose", dove oltre al bel canto femminile l'osare qualche vocalizzo ben riuscito ha reso un piacevole momento; bello in questo caso l'incanto ipnotico delle sei corde. Di nuovo la female-voice regina nella cover dei Kirlian Camera "Fields Of Sunset" del 1991 (l'album era l'indimenticato "Todesengel"), e pure gradevoli, tra classiche atmosfere neofolk mescolate a richiami celtici verso orizzonti acustici quasi psichedelici, le varie "Oblivion" e "Horizon".

Piccolo soundcheck ed ecco la seconda band: i ROMA AMOR. Confesso che aspettavo questo combo che sostituiva i Tears Of Othila, ed i romagnoli non mi hanno affatto deluso. Minimali e cerebrali, le nove canzoni mi hanno catturato nella loro complessa semplicità; in questo controsenso c'è tutta l'essenza del duo. Quasi un lieder 'bastardo' per l'uso delle lingue tedesca ed italiana il brano "Der Treve Hvsar": la bella voce di Euski intervallata dai suoi fischiettii cattura subito l'attenzione, mentre pizzica leggera la sua chitarra acustica. Poi un piccolo duetto alle sei corde: accordi tra le dita lievi di Euski, arpeggi per quelle veloci di Candela; "Next" è lieve come lo sono loro, impalpabili ma concreti come la loro musica, onirici come un quadro di Chagall. Tra i vari strumenti impiegati spunta a volte la fisarmonica, ed il quadro così è completo nel suo esistenziale insieme; la voce roca e teatrale di Euski si esalta tra i suoni di accordion nell'esecuzione di "Les Amants De Saint Jean". Lo stile 'chanson' vive di questi ingredienti, generando quell'empatia che vince tra le nuove evoluzioni del neofolk italico. Il recupero delle canzoni maledette, l'atmosfera noir condita da strumenti spesso 'vintage', come un organetto più volte impiegato durante il live, sono il frutto di quella scuola sui generis che Ianva prima e Recondita Stirpe poi hanno portato avanti, come pure i Nostri, uniti a tutti coloro che vincono nel credere in questo filo che lega più culture spesso mediterranee. È un brano francese del 1942, periodo che nei vent'anni precedenti e nei dieci successivi ha forgiato l'Europa nel male, ma anche nell'estremo esaltare sé stessa e la propria grandezza decadente. Più di un pezzo non è farina del sacco dei Roma Amor, ma figlio della loro ottica nel sentirlo proprio, così "Mother Fist" di Marc Almond viene eseguita strumentalmente da un vibrafono e dall'organetto prima citato. Verso la fine del live è la Romagna a vivere nel dialetto ravennate de "La Zirinelda", strega che torna a nascere anche tra le note del kazoo, oltre che nelle rimembranze del combo. La conclusione è l'omaggio al Breil di "Amsterdam", ed in questa canzone ci sono tutte le caratteristiche del nuovo corso dark e neofolk europeo: Ianva e Rome come altri che non si adeguano agli stereotipi nordici e marziali, ma che crescono sulle rimembranze antiche o moderne di cantautori come Leonard Cohen, giusto per citare l'esempio più catalizzante, o De Andrè per restare tra i nostri confini. Viene allora da chiedersi: il mercato discografico, che osanna e celebra la musica di De Andrè, dove sparisce quando dovrebbe nutrire i suoi figli legittimi? È un grande onore che sia la nostra musica a tributare asilo a queste sonorità, riviste in tema a noi vicino.

Prima dell'ospite più atteso è il momento della performance di CONDANNA, one-man-band di ambito industrial elettronico che ha avuto in passato sulle nostre pagine rilievo in occasione dell'uscita dell'album "E I Vermi Ameranno La Mia Carne". Il pisano, per la precisione di Volterra, al contrario di altri artisti a lui similari, dietro le proprie macchine esprime energia, isolato nella parte posteriore del palco, esule dal rapporto musicista-pubblico. Le mille campionature sulle quali elabora suoni e beat richiedono concentrazione; unico cordone con la platea rimangono le installazioni visive, a volte estreme, senza però scadere in provocazioni gratuite e 'splatterismi' inutili come altre volte in passato ho dovuto, con rammarico, assistere. Musicalmente l'alternanza power e glitch di alcuni brani, come nell'opener "Anatomia Del Caso, L'Arte È Morte", nel suo essere troppo radicale nei graffi sonici espressi non riscuote in me eccessivo consenso. Stessa sensazione 'a pelle', perché epidermico è il rapporto immediato con il genere, per il brano conclusivo: "Non Credere, Non Volere, Non Esistere". Non è un caso che entrambe le song siano contenute in lavori precedenti. Parlando con l'artista nell'intervallo prima dell'ultimo live, ho scoperto con piacere immenso che le song che mi stuzzicavano saranno contenute nel prossimo lavoro, ancora in fase di realizzazione ma non lontano dal divenire realtà commerciale. Il motivo principale è una maggiore 'succosità' fluida del suono, maggiormente trance e vivibile a livello corporeo; maggiori influenze ambient come in "Primavera". Musica che vira, senza rivoluzionarsi ma rimanendo frutto dell'estro di Condanna, verso suoni IDM, elaborati e non urticanti, ipnotici come "Sangue Di Cane": mi aspetto che l'album in fase di progettazione sia un passo avanti verso questi suoni, che anche presso voi lettori stanno riscuotendo favori.

Rispetto alle edizioni precedenti, la parte live dell'iniziativa volge verso il termine in orario accettabile: all'incirca verso l'una è il momento di :OF THE WAND AND THE MOON:, il progetto principe e personale di Kim Larsen. Due esponenti entrambi danesi sul palco: al fianco del nostro l'esecuzione alle tastiere è stata curata da Niels Rønne, da anni collaboratore con Larsen, ma presente in svariati progetti con comparizioni significative al fianco di diversi autori del neofolk europeo, tra cui Sonne Hagal. Il tema legante è la chitarra acustica di Kim, arpeggiata, pizzicata nei tanti temi proposti insieme alla voce a volte greve, altre sussurrata, ma sempre penetrante. Questo negli anni ha determinato il piccolo culto per :Of The Wand And The Moon:. Il limite è che un combo così minimale risulta scarno nel lungo periodo: per chi è già rimasto affascinato dalle molteplici soluzioni strumentali presenti nell'ultimo progetto Solanaceae, portare sullo stage questa soluzione troppo ridotta nelle diciotto canzoni suonate risulta fiaccante. Occorrerebbe una line-up più ampia per non privare la musica del danese dei suoni del violino, delle percussioni, della fisarmonica, di tutto ciò che ammalia l'ascolto dei lavori passati e presenti. Citando "Solanaceae", il nuovo lavoro uscito dall'incontro tra Larsen e svariati musicisti da lui coinvolti, su tutti Michael Laird di Unto Ashes, il brano proposto a Bologna, "The Blood Of My Lady", mantenendo il fascino di voce ed arpeggi cullanti, manca dei tanti petali che formano la corolla di questa song. Diciotto brani che ripercorrono la carriera di OTWATM ed i suoi album; i piccoli inni pagani da "Sonnenheim", "Summer Solstice" e la gloria del sole celebrata nella potenza evocativa del timbro vocale di Larsen, supportato dalle campane tubolari, e "Winter Solstice", o sempre dello stesso album "Hollow Upon Hollow", magica anche in questa veste minimale ed acustica, seppur priva delle atmosfere del disco. Il piccolo neo è stata le regolazione da parte del fonico della Korg di Niels Rønne: la tastiera per buona parte della performance è rimasta in ombra, almeno fino al settaggio precedente "Hail Hail Hail"; da questo momento il volume più alto l'ha tolta dall'anonimato, donandole la dignità che merita. Il compagno di Kim Larsen cerca in più momenti di caratterizzare il live giostrandosi tra tasti e clavietta (in questo modo si assapora la nostalgia che questo strumento, alternativo nel suo modesto essere alla fisarmonica, evoca nelle melodie di Sonne Hagal), come in "Honour", oppure in "Winter Veil". Nel finale sempre Rønne si alterna tra la tastiera, mentre con la mano sinistra si accolla anche l'onere di cadenzare "Gal Anda" con la mazza, percuotendo ritmicamente (ma non militarmente) il tamburo. Curioso il donare al pubblico il testo della canzone stampato su fogli alla fine di ogni esecuzione, un modo per sancire l'intesa, il patto metafisico tra artista e spettatore perché della serata con lui trascorsa qualcosa rimanga, ed anche per far sì che in questo modo si possa approfondire con un gesto simbolico il pensiero che nasce nella mente di Larsen e cresce nelle sue liriche, per poi giungere a chi di ciò vuole fruire. Diciotto brani per un concerto generoso fino all'ultimo bis: "Raven Chant", attesa ballata rimasta nell'immaginario di chi negli anni ha seguito :Of The Wand And The Moon: fin dall'esordio discografico con l'album "Nighttime Nightrhymes". Così proposto un festival di un giorno ha un valore superiore rispetto al passato, e grosse critiche agli organizzatori non se ne possono muovere; la musica proposta è stata di buona qualità in tutti i quattro live, con punte d'eccellenza, e iniziative simili meritano un pubblico superiore. Guardando al futuro non si può essere estremamente ottimisti in questa fase transitoria, ma amiamo la musica 'in carne ed ossa' ed auspichiamo che nuove leve, insieme ai soliti 'veterani' dello stage, presenzieranno numerose per vivere in più strati generazionali quella forte emotività che è la musica dal vivo.