28-01-2017
PALE THORNS
"Somberland"
(Divided Visions)
Time: CD (44:27)
Rating : 7
Uscita nel giugno del 2016, l'opera prima di Pale Thorns (nome che dietro di sé nasconde l'artista svedese Magnus Lindh, già membro del duo Skin Area) si rivela ottimale per l'inverno in corso, vestendosi di un grigiore sonoro e concettuale già evidente nell'esplicativo digipak che la contiene. Lindh qui lavora a 360 gradi, occupandosi della composizione dei pezzi, delle foto, dell'artwork e della produzione, confezionando un album che sin dal momento in cui lo si prende in mano trasmette appieno la bellezza del nebbioso, del freddo, di quei luoghi stigmatizzati in un'istantanea ghiacciata tipici della sua terra di Svezia, rintracciabili sia nella copertina che nel booklet. Lo stesso grigiore chiaroscurale lo troviamo ascoltando le otto tracce che musicano "Somberland", che già dal titolo rimanda ad un "mondo fuori dal mondo" permeato da ombre e nebbie perenni o, a detta dello stesso artista, ad una soundtrack agrodolce per un affogamento. L'album gioca effettivamente molto su di un connubio di luci ed ombre sonore che creano un contrasto massiccio e poderoso: da un lato abbiamo la luminosità melodica di certe scelte chitarristiche, dall'altro i droni incalzanti e riempitivi delle stesse chitarre avvinghiati a field recordings di varia natura. Già da un'apertura come "A Downward Spiral" si evincono molte cose sull'approccio sonoro di Lindh in questa sua veste solista, attraverso una combinazione ritmica e melodica molto orecchiabile da un lato, che ricorda un approccio virato verso lo shoegaze o l'alternative rock, e a tratti deturpata nel suo incedere da improvvisi quanto dissonanti piegamenti del suono chitarristico, che spingono la linearità generale verso terreni sonori più opprimenti e pesanti. Molto più sperimentale e disturbante si presenta invece "Human Landfill", singolo che tra l'altro anticipava l'album, tra delay fagocitanti ed opprimenti che ci investono in diverse ondate, mescolate a fumosi farfuglii campionati e field recordings. Segno della varietà espressiva voluta per questo lavoro, la successiva "Lightstorm" si veste di una stasi arpeggiata psichedelica e melodica allo stesso tempo, dalla quale scaturisce a tratti una possente e vibrante marcia noise/drone. "Through Passed Times", così come "Deserted Highway" in seguito, funziona come interludio ambient chiaroscurale, sospeso e vivido ed in conflitto con field recordings di pioggia e fulmini della seconda, il cui ribollire si fonde con quello dei droni chitarristici di Lindh. Più efficace e di forte impatto emotivo resta il connubio drone/shoegaze, come accade in "The Way Out", mosaico di lunghi droni attufati e melodici nell'apertura trasportati in seguito su cadenzati colpi percussivi e cori gutturali, in un contrasto davvero emozionale e coinvolgente. Emblematico anche il finale di "Dead End", oscuro ed opprimente sia nell'uso della chitarra che nelle percussioni pulsanti, lacerato da una melodia di chitarra distorta, come flash nel buio, che rende il tutto più orecchiabile ma allo stesso tempo dissonante, triste e spasmodicamente teso verso un suono più salvifico che non arriva mai, come si evince anche dai soliti cori gutturali che aumentano il senso di colloso peregrinare verso bui abissi di nera disperazione. Album vigoroso ed evocativo, un collage sonico dai lineamenti salvifici e disperati che andrà a toccare ogni sfaccettatura del nostro sentire.
Lorenzo Nobili
https://palethorns.bandcamp.com/