28-08-2012
ADRIAN H AND THE WOUNDS
"Dog Solitude"
(Projekt)
Time: (46:10)
Rating : 8
Ai più attenti sostenitori della frangia più teatrale e cabaret-oriented delle derive del post-punk difficilmente sarà sfuggito, nel 2009, il debutto eponimo di questo quintetto di Portland, capitanato dal carismatico Adrian H e degnamente completato dai The Wounds. Ed a chi magari si è subito appassionato alle sorti di questo curioso combo americano, grazie gli ampi meriti di un esordio più che mai sopra le righe, potrà suonare non nuovo questo atteso seguito, essendo già uscito in Europa via Danse Macabre sul finire dello scorso anno. Ora tocca alla Projekt occuparsi di dare lustro a questo gioiellino nel mercato statunitense, ma siamo certi che, vista la visibilità di cui gode l'etichetta di Sam Rosenthal nel Vecchio Continente, in caso di necessità non sarà difficile reperirne anche qui una copia, sebbene rispetto alla stampa firmata Danse Macabre verrebbero a mancare un paio di remix, per la cronaca. Quisquilie a parte, quello che colpisce maggiormente nel songwriting della band è la capacità di narrare storie fumose, losche e torbide facendo perno sul cantato/recitato scuro e profondo del tenebroso crooner Adrian, sfruttando sonorità che partono dal più teatrale cabaret post-punk per esplorare soluzioni diverse ma sempre a tinte ombrose, capaci di proiettare l'ascoltatore in qualche malfamato locale notturno ricavato da inospitali scantinati, fra personaggi poco raccomandabili e donne di cui non ti fideresti mai, in un suggestivo bianco e nero che odora di tabacco, di fumo, di superalcolici e di profumi eccessivi, con posacenere stracolmi, bicchieri vuoti, carte da gioco, soldi che passano di mano in mano, prostitute al riparo dagli orrori della strada ed un pianista ragionevolmente preoccupato dal fatto che qualcuno possa aver scordato il celeberrimo detto circa il non sparare sulla sua categoria... Dal palco male illuminato e traballante di questo postaccio ai margini della società, dove si nascondono i peggiori infami, reietti e farabutti, i cinque di Portland intonano canzoni che non potrebbero risultare più adatte a cotanta cornice noir, in un macabro cabaret di umane miserie che si lascia andare al groove dell'istrionica versione di "Hoist That Rag (di Tom Waits), alla passionalità in tre quarti di "Chim Chim Cher-ee" (cover di uno dei più celebri brani tratti da "Mary Poppins"), ai crudeli meccanismi delle minacciose, ipnotiche, penetranti e letali di "That Hurts" e "Dog Solitude", alla melodiosa danzabilità del refrain di "What She Wants" (con la dolce voce di Darcy McMullen). Perfettamente in grado di adattare al proprio teatrale contesto noir (irrobustito e reso più scuro rispetto al debutto, ma anche più ritmato e ricco di dettagli, ben esaltati dalla corposa produzione) i più miserevoli sentimenti di mestizia ("Memory" e l'eccellente cover di "Border Patrol" di Bain Wolfkind, a dire dell'eclettismo che anima l'album), così come di un istrionismo tale da non poter lasciare indifferenti ("Bad Man" e le sue finezze, fra l'onnipresente - e sempre impeccabile - piano ed il sax), il gruppo di navigati musicanti ed uomini di mondo porta avanti la propria messinscena dell'esistenza, con la consapevolezza di chi ne ha visto le più tristi e riprovevoli miserie e non riesce più a stupirsi di niente, né a provare un briciolo di rimorso per nulla, salvo quei rari momenti di umanità che l'altro sesso, nei suoi frangenti di fragile sensualità, riesce sempre a risvegliare... Adrian H e le sue sudice storie di malaffare, al pari del poliedrico Voltaire e dei suoi deliri horror-latino-rockabilly, non potevano non far parte di un roster come quello della Projekt, autentico faro quando si vogliono scoprire realtà capaci di una forte personalità artistica a tutto tondo. A parte gli affascinanti accostamenti delle note ufficiali, da Tom Waits ai Bauhaus, da Nick Cave ai Love And Rockets (e magari anche un tocco di Leonard Cohen, perché no?), se avete capito bene cosa aspettarvi ed è roba che vi fa drizzare le antenne, non perdeteli per alcuna ragione, perché sanno bene come si seduce un pubblico.
Roberto Alessandro Filippozzi
http://www.adrianhandthewounds.com/