06-11-2011
SCHLEIMER K
"Wounded Wood"
(Infrastition/Audioglobe)
Time: (36:08)
Rating : 7
Gli Schleimer K nacquero nei primi anni ottanta, quando le ceneri del punk portarono alla luce un variegato panorama di proposte musicali influenzate da ogni forma d'arte. Tra i cosiddetti movimenti dadaisti ed espressionisti di quell'epoca si collocò il duo franco/inglese formato da Dominique Brethes e Michael Wolfen, musicalmente a cavallo tra l'eccentrico dandismo gotico dei Bauhaus e le intransigenze industriali di Cabaret Voltaire e Throbbing Gristle, con una forte attenzione verso un'immagine teatrale e provocatoria in analogia con i contemporanei Virgin Prunes. "Wounded Wood" è una versione rimasterizzata del secondo e ultimo album da studio della band, risalente al 1983. Come appare piuttosto scontato ai giorni nostri, tra i riferimenti degli Schleimer K, oltre ai già citati gruppi, figuravano indubbiamente i Velvet Underground più soporiferi, il David Bowie più sperimentale e i Pink Floyd più psichedelici. "Wounded Wood", che consta di una formazione a quattro elementi (al duo sopraccitato si uniscono Mark Benjamin al basso e alle chitarre e Billy Duncan al sax e alle percussioni), è caratterizzato da un tappeto sonoro inquietante e non strutturato, sul quale synth malefici, ritmi ossessivi e recitazioni malsane ed evocative si susseguono senza sosta e riferimenti. Sicuramente simili peculiarità rappresentano il bello e il cattivo tempo dell'opera, che da una parte immerge l'ascoltatore in un limbo immaginifico e spirituale dall'indubbio fascino, ma dall'altro rende difficile l'ascolto se non predisposti a quello specifico umore e stato d'animo; un disco di questo tipo può suscitare visioni catartiche e sensazioni oniriche, ma allo stesso tempo può banalmente annoiare e annichilire lo spirito e la volontà. La melodia è quasi del tutto assente, se non nelle rare occasioni dove il sax trasmigra su trame narcotiche e carezzevoli; non si possono intendere i brani nella forma-canzone classica della musica occidentale, quindi niente strofe e niente refrain, solo un susseguirsi di cantilene e arzigogoli strumentali su quelle che ad un primo ascolto appaiono come vere e proprie improvvisazioni estemporanee. In un contesto di questo tipo è difficile parlare di singoli brani, ma per mood e sensazioni evocate spicca l'opener "Demon Lust", scandita da un tempo metronomico, un giro di basso in primo piano secondo i canoni dei primi And Also The Trees, un'alternanza di sax e synth nei momenti di tensione più alta e una voce che danza ora in maniera introspettiva, ora secondo urla liberatorie in un mix tra Peter Murphy e Lou Reed; "The Head Turned Away" si distingue invece per l'incedere funereo, scandito da una pulsione cardiaca sulla quale poggiano accordi di piano sospesi e arpeggi di chitarra graffianti; "Hope Deep Inside" offre invece un ritmo più scandito e il lato maggiormente elettronico della band; "Paradise Slips Past So Easily" si inerpica su sentieri esoterici e orientaleggianti grazie al sax di Billy; la conclusiva "The Office For The Dead" è immersa in un mood ambient rumoristico e dissonante che ricorda le sperimentazioni più ardite di Popol Vuh e Can. In fondo un disco affascinante, ma non per tutti: un interessante prodotto di nicchia per gli appassionati di un preciso tipo di sonorità, con il quale gli Schleimer K vanno a rimpinguare la folta serie di rimasterizzazioni ad opera di nomi vari ormai prossime al trentesimo anniversario.
Silvio Oreste