19-02-2011
THE MIST OF AVALON
"Dinya"
(Echozone/Masterpiece)
Time: (56:55)
Rating : 7
Storia convulsa quella dei Mist Of Avalon, band svedese di Uppsala, graziosa città universitaria che con i suoi 128mila abitanti è la quarta della Svezia per popolazione (!). Pochi ma buoni, verrebbe da dire, dal momento che in quelle lontane lande si possono riempire i locali e scalare le classifiche anche con la musica goth. Storia convulsa perchè i Nostri iniziano a suonare nel lontano 1994, registrano due full-length rispettivamente nel 1998 e nel 2000 e poi, dopo un EP nel 2001, silenzio fino ai giorni nostri. Ora, grazie a nuovi innesti nella line-up, il treno riprende la sua marcia e 'le nebbie di Avalon' riesumano finalmente i dodici fantasmi che vanno a comporre l'album "Dinya". Nel mezzo alcune importanti gig di spalla a gruppi del calibro di Tiamat, NFD, Funhouse e 69 Eyes, nonché un grave lutto dovuto al decesso di Sacko Kalifeh per arresto cardiaco. Non è quindi una sorpresa che "Dinya" risuoni del tutto diverso dai suoi predecessori: se infatti i primi due album erano caratterizzati da un suono che alternava darkwave e gothic metal, sulla scia di gruppi dell'epoca quali Daeonia e Secret Discovery (quelli dei primi anni '90), ora ci troviamo di fronte ad un lavoro dal suono più raffinato e curato e, come molti dicono quando si strizza maggiormente l'occhio al mainstream, più consapevole e maturo. L'ascolto delle prime due tracce, "Helpless" e il singolo "Said It All", è decisamente piacevole: se fosse per questi due brani, il giudizio sull'album sarebbe eccellente. Ci troviamo di fronte ad un gothic rock melodico con numerosi innesti elettronici dove emerge chiara la capacità compositiva del gruppo, soprattutto nell'iniziale "Helpless", con un cambio di tonalità sul bridge da far venire i brividi. Capacità di arrangiamento e composizione, a discapito però di una personalità che purtroppo si nasconde dietro troppi modelli: dai Paradise Lost di "Host" ai Depeche Mode, soprattutto per quanto riguarda la timbrica vocale (anche se la prima impressione è stata che il cantante fosse Max Giunta dei Babylonia...). Per quanto la voce di Aram Yildiz sia espressiva e melanconica come poche, non riesce a discostarsi dai riferimenti primari del genere (come del resto troppe altre band synthpop) e, anche quando diventa più aggressiva, lascia inevitabilmente spazio a paragoni evidenti (Linkin' Park e Andrea Ferro dei Lacuna Coil sul refrain di "Said It All"). "Sacrifice" e "Tell Me" abbassano notevolmente la qualità del prodotto, con refrain ancora più mielosi, quasi ad invocare gli Him. Con l'avanzare dei brani l'ossatura synthpop lascia spazio a un'interpretazione più indie, con chitarre più presenti, un uso sporadico di strumenti etnici e, in due occasioni, anche backing vocals femminili, come nella riflessiva "Waiting Still", dolcissimo episodio che mostra come i Mist Of Avalon, se volessero, potrebbero essere malinconici e orecchiabili allo stesso tempo senza cadere per forza in melliflui ritornelli. Negli ultimi brani si assiste a un'evoluzione inaspettata: "Negri", l'altro singolo, si snoda su territori più industrial attraverso suoni elettronici più corposi e distorti, con una voce più profonda. La seguente "Loosing Yourself" è ancor più abrasiva ed energica, la base ritmica spinge sull'acceleratore e le aggressive linee vocali sono sporcate da filtri ed effetti. Chiude "Soul Eater", che riprende in parte le tematiche musicali della bellissima "Waiting Still". Forse, con questa sorta di evoluzione all'interno di un solo lavoro, i Mist Of Avalon ci hanno voluto rendere partecipi del loro presente ancora incerto e dei possibili sviluppi futuri? Resta il fatto che questo "Dinya", con la sua maturità e il suo pathos, sicuramente li rilancia in pieno nel gran fermento del nuovo millennio. Se solo non cadessero così spesso in preda a facili tentazioni...
Silvio Oreste
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