13-02-2011
JACQUY BITCH
"When Walls Cry"
(Alone Prod.)
Time: (56:28)
Rating : 7.5
Se con il passare degli anni certi illustri nomi della florida ondata goth degli esordi si sono lasciati travolgere da tutt'altri generi musicali, o nel peggiore dei casi hanno persino denigrato il loro passato, di certo non si può dire che al francese Jacquy Bitch manchi la costanza e la tenacia, e soprattutto l'entusiasmo di un ragazzino che si affaccia per la prima volta all'interno del panorama musicale e cerca di esserne protagonista. La carriera ultraventennale che si porta sulle spalle, divisa tra i primi anni con i Neva e poi, dal 1990, con due cassette autoprodotte e quattro album solisti, pone di diritto la sua stravagante ed eccentrica figura in una posizione di tutto rispetto nel suo paese d'origine (ma non solo), rafforzandola di connotazioni quasi leggendarie. E nonostante rimanga ormai volutamente ai margini della scena gotica per il fatto di non comprare dischi e non frequentare più i locali (vive da eremita in un paese nel nord della Francia), non riesce a smettere di comporre e scrivere testi, sospinto, come egli stesso spiega, da un crescente senso di indignazione verso la stupidità umana. Il titolo "When Walls Cry" riflette questo punto di vista, accantonando in parte i temi religiosi e decadenti che hanno caratterizzato il songwriting del passato. Supportato da un trio di strumentisti al basso, alla batteria e alla chitarra, che da oltre tre anni lo seguono in tour, Jacquy si prodiga nella ricerca di un suono deathrock ancorato alle origini americane degli anni ottanta, ma personalizzato dalle tastiere che egli stesso suona e programma e da una voce lacerante e suggestiva, che infonde alle sue opere qualcosa di particolare; voce che a parere di molti ricorda quella di Rozz Williams (suo idolo indiscusso), ma che per quanto mi riguarda si forgia di slanci alla Peter Murphy e 'svaccate' alla Johnny Rotten, nonché di una timbrica a volte accostabile a quella dell'immenso King Diamond e altre volte a quella malsana e teatrale del miglior Garm ai tempi degli Arcturus. Spostandosi sul lato musicale, si notano invece alcuni riferimenti ai Mission, in particolare in "Crowel" (quasi un plagio...) e, globalmente, agli episodi più groovy e rock di Fields Of The Nephilim e Christian Death, con chitarre quasi sempre distorte e ultraflangerate che a tratti presentano somiglianze col sound dei Vendemmian. L'iniziale "Surprise" si affaccia con prepotenza e istintività, "Le Pas" ci conduce invece al cospetto del suo mondo, genera un interesse e un fascino singolare quando su una canonica melodia cantilenante cambia registro vocale, passando improvvisamente sull'ottava inferiore. "Hèrèsie" affonda radici nella wave più tribale, "Abbandonè" in quella più rock-oriented. Ma è con la rivisitazione del classico "Suicide" che ci spalanca le porte a quello che è il suo intimo più profondo: un refrain di rara bellezza colpisce fin dal primo ascolto. "Le Choix" è un altro tassello fondamentale, immediato e diretto fin dall'inizio, demoniaco per le atmosfere create dai synth, dotato infine di un ritornello superlativo. "L'Ange Dèchu(e)" è invece sospeso tra l'allegro/spensierato e il giocoso/nostalgico, più rock e meno oscuro di altri, ma sempre molto accattivante. Nel mezzo qualche brano non particolarmente ispirato, che sa più che altro di riempitivo, ma che non pregiudica la sentenza finale su quello che comunque è decisamente un buon disco, per un artista che continua a mettere passione e devozione in tutto quel che fa. Nell'attesa che venga a promuovere il disco anche in Italia, possiamo tranquillamente gustarci un album onesto e per la maggior parte caratterizzato da belle canzoni.
Silvio Oreste