29-09-2010
MAKARAS PEN
"Makaras Pen"
(Projekt/Audioglobe)
Time: (50:50)
Rating : 7
Dough White ci aveva già dolcemente stupito con i due eccellenti album dei delicati e onirici Tearwave, portando nel nuovo millennio una marcata nostalgia per le produzioni 4AD e per un particolare modo di intendere la musica darkwave, a cavallo tra eterea e shoegaze. Oggi, quello che può essere definito come uno dei più puri discepoli di Robin Guthrie si affaccia sulle scene con un nuovo progetto dal nome Makaras Pen. Assoldati da Mr. Rosenthal e la sua Projekt, danno alle stampe un album che rimane per certi aspetti ancorato a questo tipo di sonorità, per altri ne segna un distacco a favore di una maggior propensione verso un indie-rock dalle tinte oscure e dallo slancio post-rock. La qualità delle composizioni non raggiunge gli alti livelli dei Tearwave, ma fa registrare comunque una forte personalità e una professionalità al di là del comune. Di esperienza, nel quintetto di Buffalo, ce n'è, e si sente. Basta ascoltare la trascinante progressione del brano di chiusura "Opus 6" per farsi un'idea della qualità del prodotto. Poi la voce di Emma Willis (che a tratti ricorda Cindy Levinson dei Levinhurst e a tratti quella della cult-band italiana Sybil) è una ventata di aria fresca: pulita e precisa nella tecnica sfoggiata, timida e introversa nelle emozioni che intende far scaturire dagli argomenti trattati. Quello che manca è forse una varietà nelle linee melodiche e nel timbro, che rischiano di stufare l'ascoltatore per la loro ripetitività e che, tra l'altro, poco si adeguano alle parti più grintose e graffianti. Il sognante pop dei primi brani, in bilico tra Slowdive e i più recenti Cocteau Twins, mette in luce quanto le parti 'pulite' (in questo caso le strofe) siano più adatte alle corde della delicata voce di Emma, e probabilmente la Nostra avrebbe dovuto marcare le altre con più grinta. Schema che peraltro si ripete nella maggior parte dei brani, soprattutto nella prima metà del disco. Quando i Makaras Pen si liberano da questi schemi sfoggiano le prestazioni migliori, come nella leggiadra "What's Really Happening", gioiosa e nostalgica nel ricreare atmosfere proprie della giovinezza, o nella trascinante "Through The Mirror", dove Dough si esibisce anche in un assolo dopo il riuscito refrain. Schema ancor diverso per "Tightrope" e "Envy And Lust", caratterizzate tanto da strofe coinvolgenti quanto da ritornelli meno convincenti. Nel dettaglio, la prima si forgia di un pregevole inizio darkwave, di un inaspettato refrain acustico, di destabilizzanti scream vocals maschili nella parte centrale e di un coinvolgente crescere in stile shoegaze nel finale. La seconda, anch'essa accattivante nelle note iniziali ma debole nel ritornello, presenta un duetto con Jeff Kanfender dei Daysleepers. La conclusione è però di ottima fattura, con la già citata "Opus 6", un volo ad ali spiegate nel post-rock più emozionale, un affresco che timidamente disegna le prime linee con plettrate in stile mandolino, per poi esplodere in trascinanti cavalcate dal profondo mood. Un buon lavoro, sicuramente apprezzabile da un vasto range di pubblico e che pone le basi per ottime prospettive future.
Silvio Oreste