12-08-2009
MANTUS
"Königreich Der Angst"
(Trisol/Audioglobe)
Time: (43:11)
Rating : 8
Devono il proprio nome ad una delle divinità dell'otretomba etrusco, i Mantus: Manth (da lui e dalla consorte Mania si deve anche l'etimologia di Mantova), infatti, regnava nell'ade villanoviana agli ordini di Tinia, un po' come gli Zeus ed Ade ellenici. Così la loro musica: sepolcrale ed epica, funerea ed eterea, seppur pregna di maestose e definitive plettrate di chitarra. Al loro quinto album, dopo delle prime prove tutt'altro che esaltanti, mantengono la fedeltà verso la Trisol, che nelle doti del duo ha sempre investito. "Königreich Der Angst" esce a distanza di tre anni dalla doppia raccolta "Chronik" con tutte le carte in regola per far breccia anche nel cuore gotico italico. Per vari motivi: l'affinità electro-goth con L'Âme Immortelle ed i Blutengel (che in Italia hanno riscosso da sempre ottimi favori), mescolati ad un sottile fascino metal che Martin Schindler esalta nei suoi poderosi riff. Il tutto unito ad un certo classicismo di quei Lacrimosa che anni fa amavamo. Un cocktail potenzialmente esplosivo. Aggiungetevi anche una certa propensione teuto-goth di stampo Goethes Erben o Untoten, anche se è presente il rischio di scadere nel prevedibile tentativo di essere un progetto derivativo; eppure Thalia e Martin riescono ad esaltare il loro sound, dando un'impronta diretta e personale. Naturale e molto intonato in ogni momento il canto di Martin, diverso dal baritonale impostato di Chris Pohl o dal simil-growling di Thomas Rainer, mentre invece Thalia risulta affine, trionfando al microfono per intonazione e colore, alla cugina austriaca Sonja Kraushofer. Dieci tracce orchestrate perfettamente con lo stesso gusto nella ricerca che da sempre in terra germanica esalta il senso drammaturgico di Der Graf e dei suoi Unheilig; se a volte progetti similari scadono nel ridicolo, nel caso di "Königreich Der Angst" siamo di fronte ad un componimento che alle volte ha le caratteristiche di 'sinfonico' per la minuziosa ricerca degli effetti emotivi. Già dalla title-track si evince che non è un disco da sottovalutare, subito incisivo tra atmosfere eteree e riff potenti, ma il meglio lo si ascolta nelle tracce successive. Su tutte "Wo Die Einsamkeit Beginnt", languida nella voce di Martin, corrosivo nell'uso del plettro usato come un grilletto per sparare potere dalla chitarra, rallentata nei momenti in cui si prepara la carica energetica. Incantevole la voce mai growling, sebbene in più momenti la situazione 'metal' la potrebbe volere; la virtù aggiunta del disco sta proprio qui: librarsi tra teuto-goth e doom senza invadere mai i campi. Anche le prove vocali di Thalia meritano menzioni: "Ein Sanfter Tod" le richiede grazia nel suo destreggiarsi tra visioni gotiche ancestrali e profumi etnici indefiniti, e la Nostra dona leggiadria al sound 'tirato' senza scomporlo. Insieme esaltano le loro doti nel duettare in "Winter", legata ad una tradizione che sconfina in questo caso nel doom dove primeggiano i My Dying Bride: lento e melodico, attendendo il momento giusto per infiammarsi, tirando i fiati sonori e vocali fino all'ossessione in cui, e solo allora, la mano percuote le corde nei flatpicking devastanti. Un inchino al duo proveniente dalla Westfalia per aver saputo cogliere le mille possibilità che il goth offre coniugandole con fascino, legando l'etereo immaginario che s'innalza verso l'alto con la crudele presenza sotterranea della Mietitrice: in questo ibrido noi proviamo seduzione, e di ciò ringraziamo.
Nicola Tenani