03-07-2009
DIARY OF DREAMS
"(if)"
(Accession/Audioglobe)
Time: (65:04)
Rating : 8
Il decimo studio-album della band tedesca, che giunge a due anni dall'ottimo "Nekrolog 43", è la testimonianza di uno stile ormai perfettamente affinato col tempo, soprattutto dopo l'eccellenza raggiunta con "Nigredo". Tutte le caratteristiche del suono cesellato negli anni dal frontman e leader indiscusso Adrian Hates trovano in "(if)" la miglior vetrina possibile: il grande pathos, il forte senso di drammaticità e le trame strumentali sempre più squisitamente organiche sono la piattaforma perfetta per un lotto di canzoni ancor più raffinate negli arrangiamenti, esaltate da una produzione a dir poco superlativa (complice un certo genio che risponde al nome di Daniel Myer, mente degli Haujobb). Il Diary Of Dreams-style assomiglia sempre più ad una scultura la cui lavorazione ha richiesto anni, ma che infine ha portato ad una perfezione formale indiscutibile: partendo da questa fondamentale prerogativa è stato possibile migliorare ancora una volta ogni aspetto, a partire dai dettagli, con un Adrian la cui voce tocca oggi nuove vette d'eccellenza e di espressività. Nessuno stravolgimento del sound, quindi, bensì la volontà di rifinire in modo certosino il songwriting senza perdere mai di vista il lato emozionale, che nei Diary Of Dreams è una componente essenziale. Non deve quindi sembrare che si voglia in qualche modo sminuire il lavoro della band asserendo che Adrian e soci hanno semplicemente fatto i Diary Of Dreams: lo dimostrano sia l'opener "The Wedding", sinfonica, cadenzata e piacevolmente efficace, che momenti intensamente drammatici quali "Requiem 4.21", la struggente ed appassionata "The Colors Of Grey" e la soffusa "Mind Over Matter", al pari di episodi nel più tipico stile del combo tedesco quali l'energica "Odissey Asylum", la tagliente ed oscura "Wahn!Sinn?", la cadenzata e spigolosa "The Chain", l'inquieta "21 Grams Of Nothing" e la conclusiva, appassionata "Kingdom Of Greed", come da copione basata sul piano e la voce di Adrian, arricchita oltremodo da ottimi arrangiamenti per un risultato a dir poco splendido. Fa piacere ritrovare qualcosa di danceable (anche se in maniera controllata, nel classico stile della band) con "Choir Hotel", ma i momenti più sorprendenti dell'intero lavoro si rivelano essere "Poison Breed" e "King Of Nowhere": due episodi estremamente dinamici, ariosi, diretti e catchy che funzionano molto meglio di "The Wedding" (scelta per il primo videoclip) e che aprono potenzialmente nuove porte ai Diary Of Dreams verso un pubblico più ampio, senza però rinunciare alle prerogative-cardine di uno stile consolidato ed inconfondibile, e la sensazione è che queste soluzioni possano portare a nuovi sbocchi nel futuro, onde rendere ancor più interessante e completa la parabola artistica del colosso teutonico. I Diary Of Dreams si confermano fra i migliori interpreti del suono (electro)gothic odierno, forti di uno stile unico ed inimitabile che ancora una volta è stato tradotto in un album degno di appartenere alla collezione di ogni amante della migliore musica oscura.
Roberto Alessandro Filippozzi
http://www.accession-records.de/