02-03-2009
THE DEEP EYNDE
"Blackout: The Dark Years"
(People Like You/Masterpiece)
Time: (78:26)
Rating : 7
L'imminente ritorno (previsto per la metà del 2009) della band californiana con un nuovo full-lenght è precorso dalla loro label con un 'best of' che ripercorre una oramai sostanziosa carriera. Non dal punto di vista numerico, però: la nuova release sarà infatti la sesta ufficiale e, considerando che la nascita della band di Fate Fatal (voce e frontman fondatore) risale ai primi anni novanta, è palese che lo studio di registrazione non è stato frequentato assiduamente. Ma i palchi sì: i Deep Eynde sono la tipica band da palcoscenico e da sempre i loro tour sono interminabili e generosi, teatrali ed energici. Pure il nostro paese li ha visti protagonisti in scena molteplici volte. L'anno in cui i Nostri si legano alla label tedesca (totalmente dedicata ai suoni death-rock e gothabilly, con band storiche che vanno dagli Adicts ai Demented Are Go passando per i Meteors, solo per citare le più conosciute) è il 2005, con la ristampa (precedentemente prodotta da Disaster Records) dell'album "Shadowland" sia in formato vinile che CD, per poi continuare il sodalizio con l'uscita del 2007 di ottimo gradimento "Bad Blood". In "Blackout" c'è tutto l'universo dei Deep Eynde, limitato ad un settore preciso, ma meno ripetitivo di altre band di genere. Suoni che vanno dal primo post-punk di storica memoria come i Southern Death Cult di Ian Astbury al canonico rockabilly degli Stray Cats, come in "13th Floor", passando per le maniacali psicopatie sonore del recentemente scomparso Lux Interior e dei suoi Cramps. Il tutto condito dalle rabbiose chitarre in stile primo punk, figlie anche delle nevrosi dei New York Dolls o degli Stooges. Il suono che ne esce è variegato: molto più eclettico rispetto alle monotone uscite di Zombina & The Skeletons o di recenti meteore quali Vanishing, in quasi ottanta minuti di ascolto, sebbene il genere di per sé non si conceda mai momenti di rilassamento, offre gamme non stereotipate. Disco madido di sudore e di riff eseguiti da Stress alla sei corde e dal basso di Rob Graver, ritmati da una batteria che non si rinchiude nei soliti battiti veloci ma che sa rallentare nel momento in cui il sound lo richiedere, per poi infiammarsi senza schemi troppo lineari. Il tutto al servizio della voce calda e poco urlante di Fate Fatal. È questa la grande prerogativa degli statunitensi, il non abusare dell'urlo come comunicazione, diventando anzi quasi confidenziale nel canto. Simile in ciò a Dave Vanian, voce dei Damned, o ad Iggy Pop. Ascoltate "Voodoo Baby" o la lenta "Ignite", suggestivi momenti in cui cadono gli stereotipi di genere e nascono le affinità con il post-punk più ragionato. "Blackout: The Dark Years" vi accompagnerà nel cammino evolutivo di una band che ha scelto di centellinare la proposta della propria musica per non rischiare l'assuefazione in un genere che vive sul confine del '...già sentito...'. Ed è un cammino piacevole, dove i suoni magari risultano datati ma la classe è alta; questa raccolta è un bel modo per ingannare l'attesa per il nuovo lavoro, che da indiscrezioni del leader stesso promette di essere più scuro nel suono, in controtendenza con il mood del momento che vuole invece la rinascita di suoni più allineati con il punk o lo psychobilly, ma si sa: i veri artisti stupiscono proprio nell'andare controcorrente...
Nicola Tenani