29-11-2010
LEVINHURST
+ Lia Fail
Covo, Bologna, 15/10/2010
di Nicola Tenani
foto Nicola Tenani
Per la prima volta il Covo mi ospita, promettendomi una serata toccante: sul palco del piccolo locale nella prima periferia di Bologna due dei tre 'Imaginary Boys', ovvero coloro che insieme a Robert Smith sono stati i fondatori, e di conseguenza il 'Big Bang', di una parte importante e gloriosa del fenomeno darkwave internazionale. Sono Michael Dempsey (come non citare anche la sua presenza, sempre alle quattro corde, nei Lotus Eaters di quel "No Sense Of Sin" prototipo della wave romantica?) e Lol Tolhurst, indimenticabile batteria nella parte più gloriosa dei Cure (di cui ambedue sono stati protagonisti); riguardo a quest'ultimo, pensate solo a ciò che furono le fondamentali sessioni percussive così opprimenti di "Faith", ma ancor di più in "Pornography" e "Seventeen Seconds"... Un uomo dal valore intrinseco enorme per tutta la cultura oscura, ma non siamo qui per celebrarlo nei fasti passati, bensì per il presente, che da qualche anno ha un nome: Levinhurst. Andiamo però con ordine: prima della top-band, un supporto locale che già conosciamo per un precedente incontro dal vivo: i LIA FAIL. Continuano le vicissitudini di una band che meriterebbe una fiction televisiva: di nuovo una dipartita della voce femminile, ora sostituita dalla nuova singer Sabella, che nonostante sia a mio avviso troppo acuta nelle note (siamo in ambiti dark-folk), ha comunque saputo in fretta inserirsi nell'organico entrando in sintonia con il resto della band, fortunatamente da tempo stabile. Scendere di qualche nota nel pentagramma le permetterebbe di affiancare ancor meglio Andrea e la sua voce, così confidenziale e calda: l'obbiettivo dovrebbe essere non solo il canto comune, il 'gestire' insieme le vocalità nei rinforzi o nei duetti, ma la vera e propria simbiosi, quasi erotica se vogliamo, del canto a due voci maschile e femminile. Il resto della band è rodato, anzi, Edoardo mi è piaciuto più che in passato, dando un carattere che a volte mancava alla sua session acustica, talvolta messa in secondo piano dalle percussioni di Giuseppe Sansolino o dal basso del leader storico Nico Solito. Sette song per mostrare i propri progressi, ed ho ammirato l'amalgama, la schiettezza del suono nell'eseguire la cover dei Sol Invictus "In The Wake Of The Wolf", proprio perché a mio avviso si maggiormente addice a loro per il suono più cupo ed acido rispetto al folk acustico di ispirazione germanica (che per completarsi richiederebbe altre percussioni). Lo stesso vale per l'inedita "New Dimension", proposta con ottimo pathos, ma è giunto il momento della maturità per una band che non può più rimandare l'appuntamento con il primo full-lenght e con la sala d'incisione, cosa che dovrebbe avvenire a breve. Ora è il turno dei LEVINHURST, ma nel momento in cui mi giro e vedo poche decine di persone alle mie spalle mi chiedo cosa non vada, cosa non attiri nemmeno in questa situazione il popolo dark bolognese, così numeroso ed imbellettato nelle serate danzanti. Manca la cultura, ed è doloroso pensare che tante persone che conosci alla fine siano solo involucri da incipriare di bianco sul viso per un contesto di ballo: in questo modo si sta involvendo una realtà che in passato era lustro anche fuori dai confini. Gli assenti sono ingiustificati, li lasciamo all'illusione di appartenere ad un movimento che non li riconosce e siamo pronti, anche se non numerosi come dovrebbe essere, ad applaudire i due 'ragazzi immaginari' ed i loro colleghi di palcoscenico, partendo da quella Cindy Levinson che in studio mi ha convinto nei due album datati 2004 e 2007 e dalle chitarre di Toni Hami, di forte ispirazione shoegazer, e di Eric Bradley, più brit-wave rispetto al collega. Line-up di grandissima caratura tecnica e vocale, rimane solamente la scelta di quale tipologia di concerto proporre: il nuovo corso o l'essere vecchie glorie che non cedono agli anni. Inutile dire che la scelta è caduta sulla seconda soluzione, quindi si va da "Play For Today" a "Fire In Cairo", passando per "Accuracy", "10:15 Saturday Night", "Boys Don't Cry", "Three Immaginary Boys", fino al bis finale esploso sul ritmo punk-wave di sapore garage (erano quelli ancora archetipi di un sound in divenire) con "Jumping Someone Else's Train", sulle cui note Michael Dempsey ha regalato una lezione di tecnica al basso memorabile. Il tutto a scapito dei Levinhurst, ovviamente, che in quanto tali sul palco sono affiancati dal 'fantasma Cure', con Cindy che canta con voce femminile le prime hit di un giovane ed incazzato, disadattato e poetico Robert Smith. Ha cantato bene Cindy, ma d'altronde la fortuna di Smith è stata l'interpretazione, non di certo l'intonazione, ma c'è stato troppo poco spazio per ciò che la singer ha costruito insieme a Dempsey e Tolhurst, ossia tre album, di cui i primi due decisamente belli: "House By The Sea" del 2007 con addirittura un unico brano suonato, qualcosa in più dal full-lenght del 2004 "Perfect Life". A ciò aggiungete che, nel nome dei Cure, anche il sound dei Levinhurst ha subito uno stravolgimento, virato dalle atmosfere electroclash e lounge del disco ad una performance tra il darkwave e lo shoegaze per non creare mood dissimili tra passato e presente. Mi aspettavo la genuinità che me li ha fatti apprezzare nel loro collocarsi tra progetti come Chandeen, Cranes o Hungry Lucy, piuttosto che l'ostentazione di tutto il bagaglio Cure, contentino in questa situazione per la generazione di quarantenni o giovani neofiti che forse la formazione originale con 'Bobby' Smith difficilmente mai vedranno. Un'ora di ottima musica in ogni caso, che non giustifica l'ennesima latitanza del pubblico felsineo; abbandono il Covo con una schizofrenica appagatezza/scontentezza per ciò che vorrei avere voluto e ciò che invece ho avuto, e che mi porta a sperare in futuro di vedere i veri Levinhurst senza fantasmi, nonostante al momento siamo quasi ad Halloween. Dolcetto o scherzetto? Un po' entrambi...