06-10-2010
NOUVELLE VAGUE
World Tour 2010
Estragon, Bologna, 17/09/2010
di Nicola Tenani
foto Nicola Tenani
SETLIST:
One Hundred Years
Master And Servant
Ever Fallen In Love
Dancing With Myself
Metal
Don't Go
Heart Of Glass
Human Fly
Guns Of Brixton
Too Drunk To Fuck
So Lonely
Sex Beat
Just Can't Get Enough
Sweet Dreams
Israel
Blister In The Sun
Parade
Love Will Tear Us Apart
Relax
Bela Lugosi's Dead
Bologna e l'Estragon: per un'ampia fascia di persone, comprendente almeno tre generazioni, un connubio importante. Il locale, situato nella prima periferia felsinea, propone quasi quotidianamente show che vanno dalle vecchie glorie del movimento new-wave alle nuove leve dell'indie o del metal, passando senza distinzione per il rock, il punk, lo ska e le novità del pop italiano non troppo 'mainstream'. Date uno sguardo ai programmi mensili proposti per rendervi conto che nella location del diavoletto beffardo (un logo invitante...) ognuno può trovare una risposta, una serata idonea. E noi torniamo sempre volentieri all'Estragon per la capienza e l'ottima acustica, unita ad impianti luci e sound professionali e di qualità che chiunque può confermare. Serata nuvolosa e calda quella in cui sul palco sono saliti i NOUVELLE VAGUE, una delle più sfiziose espressioni del pop francese. Specializzati in cover, fin dagli esordi hanno giocato sul triplice sinonimo linguistico Nova-Nouvelle-New: uniteli rispettivamente a Bossa, Vague, Wave e non sarà difficile accorgersi che in questo gioco tra idiomi si nasconde, nemmeno troppo celata, la sfera sonora di Marc Collin ed Olivier Libaux. Questo è Nouvelle Vague: un progetto che di tutto ciò che tra punk, wave e pop dell'epopea eighties può essere coverizzato, ne ha fatto, in tre full-lenght, nuovi ed ancora luminosi cavalli di battaglia. Due personaggi che quei suoni li hanno destrutturati, ricostruiti con sonorità nuove, spesso di matrice carioca raffinata, unito ad un impiego molto ampio di voci quasi sempre femminili, a cui di volta in volta attingere per lo stage o la sala d'incisione. A Bologna la splendida coppia di regine di fiori era composta dall'australiana Nadeah e da una non bene identificata nuova singer, di cui non posso confermarvi l'identità. Una coppia di grandissime soubrette ancora prima di avere ugole dai colori suadenti o aggressivi, tenute sotto pressione per tutta la durata del lungo show. Energia pura e sensualità arrogante per la bionda, dolcezza con voce da sirena per la bruna: questo notevole potenziale, unito all'ottima tecnica, ha donato quasi due ore di divertimento a un pubblico abbastanza numeroso per una location indoor durante il periodo ancora estivo. Se state immaginando un concerto perfetto, vi sbagliate: Nouvelle Vague in questi anni trascorsi dal debut-album eponimo all'ultima prova in studio " 3" hanno spostato il proprio raggio verso suoni che rimandano al reggae, allo ska o all'indie. In questo modo il bacino di apprezzamento dei francesi si è notevolmente allargato, ma la diretta conseguenza è la diversa resa sonora. È il tasto dolente delle cover: quando viene toccata la sfera personale, i ricordi originari, il giudizio diventa soggettivo, però, come in questo frangente, dando un forte valore all'oggettività del giudizio, "Israel" in versione reggae, seppur soft, mi ha sconvolto. Non me ne voglia il vocalist Gerald, nulla di personale, ma questo innesto 'afro' in un sound normalmente carioca-chic non mi ha entusiasmato. In altri momenti, la darkwave viene onorata in pieno: surreale l'inizio con "One Hundred Years", onirica e vellutata, e lo stesso dicasi per "Love Will Tear Us Apart", ripulita dalla disperazione esistenziale di Ian Curtis ed offerta in quanto puro gioiello di intima poesia. Divertente anche lo sdrammatizzare delle nevrosi punk dei Clash di "Guns Of Brixton" o dei Dead Kennedys di "Too Drunk To Fuck". Spazio anche al pop di "Relax", grazioso rifacimento alla memoria dei Frankie Goes To Hollywood, o "Sweet Dreams" degli Eurythmics, ricreata senza infamia né lode. Ben due momenti (applauditissimi) dedicati ai Depeche Mode: "Just Can't Get Enough" e "Master And Servant"; proprio Martin Gore ha partecipato, non unico, come voce originale in "3", album che ha definitivamente consacrato al grande pubblico il clan di Marc Collin. I francesi hanno finito: all'Estragon inizia la serata dance su sonorità eighties, e rimangono le considerazioni finali. Un piccolo successo, però arrivare ad altre sfere di pubblico è costato il sacrificio di quel suono degli inizi, suadente come lo era (e lo è) la voce di Melanie Pain, nonostante tutto il gruppo di voci femminili che gravita intorno al combo sia di felicissime ugole. Un'alchimia bollente si va raffreddando, e tornando a casa dopo aver abbandonato il locale, una domanda mi gira nella testa continuamente, insinuandosi lenta tra i vari pensieri: in futuro vorrò rivederli se dovessero continuare gradualmente ad abbandonare la sofisticata bellezza degli esordi?