19-05-2017
CENTHRON
"Allvater"
(Scanner)
Time: CD (51:27)
Rating : 5.5
Giunti al quindicesimo anno di attività discografica ed al settimo album (il quinto consecutivo per la Scanner), i tedeschi Centhron non hanno mai impresso cambi di passo decisivi alla propria carriera, limitandosi a rifinire a livello di produzione e di arrangiamenti la propria harsh-EBM tutta muscoli, ferocia, ballabilità e melodie di derivazione techno. Uno stile che in tutti questi anni è rimasto uguale a sé stesso, senza che il trio di Brema riuscisse mai a partorire un lavoro capace di spiccare in una discografia priva di sussulti. "Allvater" non fa eccezione, riproponendo per intero la formula dei precedenti capitoli: ritmi pompati, groove ballabile a profusione, giri melodici presi a prestito dalle scene più smaccatamente danzerecce, dosi massicce di testosterone e la voce rabbiosa di Elmar Schmidt a condurre i giochi. Al solito, il problema principale è la penuria di varianti: una condotta che nasce dalla paura di osare, ed in tal senso i Centhron stanno bene attenti a non uscire mai dal seminato. L'incipit rappresentato da "Marschiert, Ihr Hunde", benché privo di sorprese, lascia ben sperare in virtù di una melodia non troppo ingombrante e di una buona tensione, ma nei brani più pompati ("Skullfucker", "Frontschwein", "Sie Will", la serratissima "Hetzer" e via dicendo...) il trio non riesce ad incidere, soprattutto a causa di scelte melodiche sin troppo debitrici nei confronti di certa techno che finiscono per annacquare quella rabbia che il Centhron-sound vuole esprimere. Per contro, quando i ritmi rallentano per farsi più cadenzati le cose funzionano molto meglio, come in "For Victory", nella title-track (molto oscura prima di infiammarsi con cattiveria) e, soprattutto, nell'intenso atto finale "Valhall", ben costruito e capace di porzioni sinfoniche come di un piglio maestoso, nonché vero picco dell'intero lavoro. Tutto sommato potabile anche "Raubtier", più strutturata nei cambi di tempo, mentre fra i pezzi più muscolari si distingue la sola "Blitzkrieg", forte di un groove che trasuda ferocia; musicalmente più ordinaria "De Sade", che però può vantare l'apporto della soprano Melanie Neuhöfer per il refrain. Nessuna sorpresa in un album che alterna qualche valido guizzo ad un songwriting di maniera: l'impressione è anche stavolta quella di una band che non si preoccupa minimamente di trovare nuovi sbocchi creativi per compiere l'atteso salto di qualità, rimanendo ancorata a soluzioni prevedibili e prive di velleità.
Roberto Alessandro Filippozzi