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Room 102

18-01-2010

VELVET ACID CHRIST

"The Art Of Breaking Apart"

Cover VELVET ACID CHRIST

(Dependent/Masterpiece)

Time: (71:14)

Rating : s.v.

Spesso lamentiamo la staticità di certi artisti, incapaci di uscire da schemi precostituiti che finiscono per diventare una sorta di gabbia, che in certi casi fa addirittura comodo a quei nomi che fanno ben attenzione a non uscire mai dal seminato per non scontentare la propria fanbase. Non è certamente questo il caso della creatura di Bryan Erickson, ed anzi, l'estroso artista del Colorado ci porta al rovescio della medaglia: parlando del suo nono album ufficiale, infatti, è legittimo chiedersi cosa ne penseranno i fans di vecchia data, dal momento che il Nostro, pur nel suo rinomato eclettismo, si è verosimilmente spinto troppo oltre per quelli che possono essere i gusti dei cyber-freaks. Se da un lato è nota la passione del musicista americano per nomi come Cure, Death In June e Legendary Pink Dots (ed a ciò si aggiunga il fatto che il disco preferito di Bryan per il 2009 è stato "Flowers From Exile" dei Rome), Mr. Erickson ci rende anche noto che il nuovo lavoro è stato pesantemente influenzato dal folk apocalittico e da molta musica di matrice acustica, oltre ad essere nato in un periodo di sua totale solitudine durato tre anni (dai tempi dell'uscita del precedente "Lust For Blood", dunque). Tutto ciò ha portato ad un forte stravolgimento nel sound di Velvet Acid Christ, oggi diviso fra la classica matrice elettronica ed un approccio acustico più smaccatamente intimista e 'dark' (per il quale la complicità dell'amico e collaboratore Todd Loomis, mente dell'ottimo progetto The Twilight Garden di cui vi parleremo presto, deve aver giocato un ruolo importante), in un quadro d'insieme difficile da digerire appieno proprio per l'eccessivo dualismo del songwriting. Se in passato avevamo ammirato Velvet Acid Christ soprattutto per quel suono iperstratificato, malato, 'marcio', distorto e violento, anche in parentesi più trance-oriented come l'ottimo "Twisted Thought Generator", oggi assistiamo ad un approccio più scarno ed asciutto all'elettronica: lo testimoniano tanto il singolo "Caustic Disco" quanto l'opener "Tripped Out", ambedue tanto dirette ed efficaci quanto più marcatamente 'minimali' rispetto alle vecchie cose, con l'occhio ben rivolto all'EBM delle precedenti decadi ed ai club. Restano più ancorate all'elettronica altre due tracce, peraltro strumentali: parliamo di "Vaporized" e di "Killed In Space", e se quest'ultima si presenta vorticosamente pompata in stile psy-trance, la prima, pur nel suo acido impeto danceable, già pone in evidenza inserti di chitarra che, nel caso specifico, emanano un flavour mediterraneo davvero curioso. E dopo una riproposizione di "Phucking Phreak" (dall'album del '98 "Calling Ov The Dead", qui reintitolata "Phucked Up Phreak"), solamente meglio prodotta e poco più, siamo già alla fine della parte electro-oriented, perché nei restanti brani, pur fra beat generati elettronicamente e synth, troveremo in prevalenza chitarra acustica e vocals pulite (ebbene sì!): su queste coordinate si muovono infatti "Black Rainbows", "Killing A Stranger", la title-track, "Amnesia", "Faithless" e la conclusiva "Silver" (quest'ultima quanto mai vicina a Death In June), tutte scandite da tempi medio-lenti e giocate anzitutto sulla sei corde, per un risultato dai tratti dark-folk che profuma dei nomi di cui sopra tanto cari a Bryan. Intendiamoci: queste canzoni hanno un loro fascino oscuro da non sottovalutare, ma siamo convinti che potevano venire meglio impiegate per un eventuale side-project, perché siamo certi che i fans di vecchia data di Velvet Acid Christ si aspettassero ben altro dal longevo act americano, e non sapremmo davvero dire quanto possano gradire un allontanamento così netto dai canoni stilistici che hanno reso famoso Bryan Erickson nel panorama electro. E se già le canzoni possono aver lasciato l'amaro in bocca a molti, non sono certo d'aiuto i circa 17 minuti che seguono la traccia conclusiva, in cui Bryan e Todd narrano della genesi del disco in una sorta di intervista che ha quasi il sapore di 'giustificarne' gli spiazzanti contenuti. Valutare con un voto un'opera così fuorviante, destinata a dividere nettamente la critica, è impresa ardua che rischia di non aiutare in alcun modo il lettore ad orientarsi, quindi ci sottraiamo a tale rompicapo usufruendo del fatidico 'senza voto' e invitando i seguaci di Velvet Acid Christ ad un attento ascolto preventivo, nella speranza che in futuro Bryan torni sui suoi passi e/o separi nettamente due anime musicali così poco coese in progetti ben distinti fra loro.

Roberto Alessandro Filippozzi

 

http://www.velvetacidchrist.com/

http://www.dependent.de/