05-01-2009
UNIVERSAL POPLAB
"Seeds"
(Wonderland Records)
Time: (43:15)
Rating : 7.5
Inevitabilmente all'inizio del nuovo anno ci si ritrova a smaltire alcune recensioni di quello appena concluso rimaste inevase, ed il terzo album del trio di Götheborg è fra queste, in quanto pubblicato a metà del 2008. Con alle spalle due validi full-length ed una manciata di azzeccati singoli, la band svedese torna sul mercato con un lavoro che è la summa stessa dello Universal Poplab-style: puro synthpop di scuola inizio anni '80 (primi Depeche Mode, tanto per darci un riferimento lampante), fresco, ritmato, catchy, coinvolgente e dannatamente melodico, fatto di brani immediati abilmente 'conditi' da qualche buona spruzzata di chitarra, ben diretti da un cantante (Christer Lundberg) che sa il fatto suo. Il confine col 'pop' è sempre più labile, specie se ci focalizziamo sugli ariosi ed impeccabili refrain dei quali "Seeds" è pieno zeppo, ma la band sa distinguersi in virtù di una produzione davvero eccellente, con suoni che restano destinati a chi, pur ponendosi nell'ottica di ascoltare roba più 'easy', non può sopportare la futilità dell'ignobile musica commerciale odierna. Che gli Universal Poplab non abbiano scoperto l'acqua calda è un dato di fatto, ma va dato loro merito di essere semplicemente inappuntabili in quello che fanno: a sostenerlo c'è un lotto di dieci canzoni tutte assolutamente apprezzabili, a partire dall'iniziale hit "Fame & Hate" (primo singolo estratto), a dir poco spumeggiante, sino alla conclusiva "Maximum City", melodica e passionale, eppur capace di regalarci un finale dance in un crescendo emotivo davvero notevole. Gli Universal Poplab rappresentano quello che superficialmente potremmo definire il lato più 'disimpegnato' del synthpop, ma in realtà lo spessore artistico e l'abilità negli arrangiamenti emergono chiaramente, come dimostrano tanto episodi freschi ed agili come "The Way Things Work", "On The Run", "Summer Struck", "Another Last Time" e "Pearl" quanto momenti di più ampio respiro, come lo sono sia "Touch" (sempre catchy, ma con più stile) che il gioiellino "Don't Believe The Hype", capace di infiammarsi alla grande dopo un incipit melodico. Ovviamente non manca qualcosa per i cuori più sensibili, nella fattispecie l'ottima "The Toast That Never Ends", segno che la gradita tradizione di bei momenti appassionati quali "Dice Roller" o "Black Love Song" procede per il meglio. Nessuno si aspettava stravolgimenti di sorta nel sound dei Nostri, i quali hanno portato avanti con coerenza un discorso ben intrapreso dal 2003 a questa parte, cesellando finemente un suono che ha tutti i numeri per mietere ampi consensi presso il pubblico del synthpop, specialmente nell'Eden musicale scandinavo e nella sempre ricettiva Germania. Ora speriamo che anche i seguaci nostrani del synthpop non manchino di dedicare le giuste attenzioni a "Seeds": ne vale la pena.
Roberto Alessandro Filippozzi
http://www.universalpoplab.com/
http://www.wonderlandrecords.com/