05-01-2009
THE CURE
"4:13 Dream"
(Geffen)
Time: (52:55)
Rating : 5
Se uno dei gruppi storici (e stiamo parlando del più longevo e famoso) che ha scritto pagine indimenticabili del suono dark è da parecchi anni divenuto uno dei nomi più vituperati e maltrattati dallo stesso pubblico che amò profondamente lavori imprescindibili quali "Seventeen Seconds", "Faith", "Pornography" e "Disintegration", un motivo ci deve pur essere, ed è da rintracciarsi inevitabilmente fra gli alti e bassi di una carriera che ha visto molte, troppe virate pericolose verso sonorità che non avremmo mai voluto sentir scaturire dalla penna di Robert Smith... Dopo aver tentato di distruggere la memoria della storica triade dei primi anni '80 di cui sopra a colpi di singoli spudoratamente pop (troppi da citare, ma li conosciamo tutti, ed hanno rappresentato la consacrazione nel mainstream per i Cure, con l'ovvia conseguenza della disaffezione da parte del pubblico più dark-oriented), Smith riuscì nell'89 a regalarci ancora qualcosa di importantissimo con "Disintegration", per poi tenere pericolosamente il piede in due scarpe con "Wish", prima di affondare quasi definitivamente la barca con l'osceno "Wild Mood Swings" nel '96... A seguito di un disco così inaccettabile, Smith seppe donarci uno splendido colpo di coda con un album da molti bistrattato ma sicuramente valido come "Bloodflowers", riaccendendo le speranze di tanti fans di lunga data (per lo meno i più open-minded...); speranze stroncate da un altro lavoro eccessivamente commerciale e privo di motivi d'interesse come fu "The Cure" (2004), mediocre prova che riaccese con forza gli animi dei detrattori. Era quindi con le dita incrociate che, personalmente, attendevo il nuovo parto della band, sperando in un ulteriore sussulto d'orgoglio da parte del vecchio Robert, anche se l'artwork, in linea con quello del precedente opus (ed in vero orribile!), già lasciava presagire il peggio... Che, puntualmente, si è concretizzato: anche "4:13 Dream" prosegue sulla falsariga di "The Cure", con un sound pop-rock vagamente 'alternative' che magari potrà far breccia tra quell'orda di ragazzini che all'epoca non c'era e che scopre solo oggi anche i Placebo ed i 'nuovi' Apoptygma Berzerk, ma che senza alcun dubbio scontenterà quasi totalmente chi amò i veri Cure negli anni del massimo splendore... E piange nuovamente il cuore, anche perché l'iniziale "Underneath The Stars" profuma proprio delle atmosfere di "Disintegration", ma è subito seguita da tre canzonette pop che rimandano alle prove peggiori dei Cure... "Siren Song" ricorda qualcosa di "Bloodflowers" e a tratti si lascia apprezzare, e poi ecco di nuovo una sequenza di cinque futili episodi pop-rock, prima che la solida "Sleep When I'm Dead" ci riporti ad atmosfere più intriganti, se non altro per il vigoroso groove; bene anche l'esplosività rock di "The Scream", che riporta anch'essa a certe cose di "Bloodflowers", prima che la vorticosa "It's Over" faccia calare il sipario senza infamia e senza lode. Niente da fare: nonostante l'affiatamento dell'attuale line-up a quattro ed un Robert sempre in perfetta forma vocale (diamo a Cesare quel che è di Cesare), l'andazzo generale di casa Cure continua a strizzare l'occhio al pop radiofonico ed al rock alternativo, con buona pace di quel pubblico di un tempo che, ormai, ha pienamente ragione nel muovere le proprie feroci critiche. A questo punto c'è solo più da sperare che Robert ricada in un qualche stato di profonda depressione: l'anno del suo 49esimo compleanno, col relativo (nuovo) 'giro di boa', poteva essere quello giusto, ma è andata diversamente.
Roberto Alessandro Filippozzi